La giustizia come servizio pubblico essenziale

AutoreGiorgio Floridia
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@1. Premessa

Non appartengo certo ai critici per partito preso e meno che mai per partito politico e perciò mi affretto a dire che apprezzo moltissimo il pacchetto di interventi immediati per accorciare i tempi delle procedure giudiziarie predisposto dal ministro Angelino Alfano. Come è noto, l'elenco di queste misure urgenti è costituito - come si legge nell'articolo di Negri su "Il Sole 24 Ore" del 30 aprile u.s. - dalle seguenti: sentenze in forma sintetica e rafforzate da penali a carico dei trasgressori; allargamento della competenza dei giudici di pace; sanzioni dirette a reprimere le c.d. Manovre defatigatorie, e cioè preordinate a provocare un artificioso allungamento del processo; giudizio di ammissibilità preordinato allo scopo di deflazionare il ricorso alla Suprema Corte; trasformazione del giudizio di cognizione in un giudizio sommario a contraddittorio limitato definito con ordinanza che, se non impugnata, assume efficacia di sentenza; possibilità di consentire il ricorso a testimonianze scritte; abrogazione del rito societario e delega al Governo per lo sfoltimento dei riti e per il rilancio dell'istituto della conciliazione. Come è agevole riscontrare dall'elenco che precede si tratta di un pacchetto "importante" di misure che sono tuttavia e rimangono congiunturali. Esse hanno - in altri termini - il denominatore comune di non essere strutturali e di mirare ad un risultato puramente quantitativo in termini di maggiore speditezza dei procedimenti e di maggiore quantità dei provvedimenti a scapito di un qualsiasi profilo qualitativo. Orbene, non nego affatto che per determinate materie l'incremento della quantità dei provvedimenti preordinato alla accelerazione delle procedure sia un grande valore. Ma questo solo quando sia preferibile una decisione rapida della controversia rispetto ad una decisione ponderata, ma tardiva. Bisogna tuttavia dare atto che l'obiettivo dell'accelerazione delle procedure a scapito della qualità delle decisioni è un obiettivo di ripiego, giustificabile solo quando si sia costretti ad operare - come succede adesso - in uno stato di vera e propria necessità. Il vero obiettivo di una riforma efficace del sistema giudiziario è quello di creare una gestione in equilibrio fra quantità e qualità: nel senso che la quantità sia quella necessaria per rispondere ad una domanda di giustizia originata da esigenze reali e meritevoli di tutela; la qualità sia - a sua volta - quella necessaria a corrispondere adeguatamente Page 8 alla crescente complessità dell'ordinamento sostanziale e processuale ed alla conseguente crescente complessità dei problemi applicativi. Questo obiettivo non può essere raggiunto se la riforma non viene pensata come strutturale e, poiché la struttura non può essere concepita se non con riguardo alla funzione, è necessario pensarla partendo dalla eliminazione di tutte le cause di inefficienza previamente individuate. In altri termini, occorre prima di tutto chiedersi da quali cause traggono origine le inefficienze non solo quantitative ma anche qualitative. Nell'individuare tali cause non bisogna "avere paura" di contraddire postulati ideologici che fanno parte della nostra cultura e della nostra individuale collocazione politica. Poiché una giustizia quantitativamente e qualitativamente efficiente è un valore in sé, non vi possono essere cause di inefficienza giustificabili ideologicamente e meno che mai tecnicamente.

@2. La giustizia come servizio pubblico essenziale

La prima e la più importante causa di inefficienza è che la giustizia non è organizzata come un servizio pubblico essenziale. Non mi soffermo sulla qualificazione della magistratura come un potere dello Stato, contrapposto all'occorrenza al potere esecutivo e talvolta anche a quello legislativo, perché sarebbe un punto di partenza di natura puramente ideologica ancorché culturalmente nobilitato dalla rivoluzione borghese di montesquieu. Se la qualificazione serve a garantire l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati, ben venga! ma se la qualificazione serve - invece - come avviene attualmente per impedire che la funzione giudiziaria sia organizzata, come deve esserlo un qualsiasi servizio essenziale, e cioè con una struttura orientata al risultato, allora sarebbe perfino preferibile rinunciare all'autonomia ed all'indipendenza perché il costo di queste due prerogative sarebbe di molto superiore al beneficio. A parte il paradosso, il vero è che autonomia ed indipendenza non sono affatto incompatibili con l'efficienza del servizio giudiziario. Il problema è che i valori costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza sono stati completamente travisati, da quando sono stati riferiti non all'ordine giudiziario ma ai singoli magistrati, ciascuno dei quali è divenuto autonomo ed indipendente, e perciò detentore di un potere il cui esercizio è assolutamente ingovernabile.

I corollari di questa assurda involuzione sono molti e tutti inefficientistici.

@3. L'ingresso nella Magistratura

I magistrati entrano in magistratura - come si dice per non parlare di assunzione - subito dopo la laurea e, siccome - come è noto - l'Università non è professionalizzante, essi "entrano" sulla base di una selezione per concorso pubblico organizzato Page 9 mediante prove esclusivamente teoriche, scritte ed orali, di assoluta genericità, e cioè necessariamente riconducibili a problemi di qualificazione giuridica in senso ampio. Essi "entrano" dunque senza nulla sapere del compito che dovranno svolgere. Dopo che sono entrati, i giovani magistrati fanno un periodo di pratica chiamato "uditorato" e cioè affiancano un magistrato ed osservano come Egli svolge il suo compito. Mi permetto di dire che questo tirocinio è assolutamente inadeguato, per tante ragioni che non è il caso qui di esaminare. Basti pensare che nel giro che l'uditore compie non è affatto necessariamente compresa la funzione che Egli poi andrà a svolgere concretamente; per non dire che il giudice-padrino o - se si vuole - tutor non necessariamente è un modello di sapienza al quale uniformarsi. Certo è che, quando il giovane magistrato "assume le funzioni" (come si vede nella terminologia ufficiale la parola "lavoro" è rigorosamente bandita) quasi sempre non sa neppure lontanamente che cosa deve fare. Ê legittimo chiedersi come allora sia possibile che faccia adeguatamente ciò che dovrebbe fare. La risposta è agevole: il suo compito è svolto giocando "di rimessa" e non mai in modo direttamente propositivo. Sia nel civile che nel penale, se i giovani magistrati venissero lasciati soli, e dovessero gestirsi autonomamente senza l'impulso "direzionale" degli avvocati, certamente non riuscirebbero a far progredire il procedimento. Imparano ben presto a scegliere, più che a decidere, la posizione che a loro sembra, per qualsiasi ragione, preferibile e naturalmente questa dinamica, non certo soltanto procedurale, conduce ad un risultato molto spesso condizionato dalla abilità e capacità difensiva della parte che prevale nel giudizio finale. I giovani magistrati italiani operano dunque con piena inconsapevolezza professionale e culturale, e perciò il loro modo di operare è a tutti gli effetti una sperimentazione individuale "in corpore vili". Fino a poco tempo fa, questa imperdonabile sequenza, era temperata dalla necessaria "collegialità", e cioè dal fatto che le più importanti funzioni decisionali venivano svolte da organi collegiali nei quali i giovani e gli anziani potevano interagire. Collegiale era, per definizione, l'Ufficio delle Procure della repubblica retto da un capo capace di svolgere effettivamente un ruolo di direzione e di controllo sulla attività dei sostituti procuratori. La collegialità nelle procure è progressivamente sparita perché il rapporto gerarchico si è sostanzialmente dissolto. Nei procedimenti civili la collegialità della decisione era una regola indefettibile e le "camere di consiglio" erano - come posso testimoniare personalmente - veri e propri mini-dibattiti funzionali ad un adeguato approfondimento di ogni singola fattispecie e funzionali - altresì - alla formazione di orientamenti giurisprudenziali della "sezione" coerenti e consapevoli.

Il dissolversi sostanziale del rapporto gerarchico nelle Procure della repubblica e l'abolizione della collegialità nelle cause civili hanno reso pericolosissima per i citta dini la gestione del servizio giudiziario soprattutto quando esso viene svolto dai magistrati più giovani e dotati di minore esperienza.

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@4. I cittadini sono inermi

Ê naturale chiedersi come una organizzazione così "pericolosa" per i cittadini possa non provocare situazioni di esplosivo malcontento. Non che non si denuncino di quando in quando episodi intollerabili di malagiustizia, ma essi vengono denunciati soltanto quando il cittadino è stato irreversibilmente "triturato" senza che abbia potuto difendersi in alcun modo (il caso Tortora insegna!). Orbene, la risposta è semplice: le situazioni esplosive che in realtà si verificano in grande numero, non possono esplodere perché la deflagrazione è soffocata da due fattori che, sotto questo profilo, possiamo definire di compensazione reciproca: 1) gli avvocati non hanno interesse ad assumere, anche per mezzo dei loro ordini, posizioni di denuncia neppure di fronte a comportamenti abnormi di questo o quel singolo magistrato, perché qualsiasi risultato, anche oggettivamente insopportabile, è sorretto da un vincitore che se ne avvantaggia e da un vinto che...

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