Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@TRIBUNALE DI ARIANO IRPINO 8 marzo 2009. Est. Abbondandolo - Condominio Matteotti (avv. Luparella) c. Cuoco (avv. Pratola)

Appalto (Contratto di) - Garanzia - Per le difformità e vizi dell’opera - Inadempimento del progettista e dell’appaltatore - Concorrente responsabilità - Azione ex art. 1667 c.c. - Solidarietà - Azione di regresso.

In caso di danno risentito dal committente di un’opera per concorrenti inadempienze del progettista e dell’appaltatore, sussistono le condizioni perché le predette figure siano ritenute solidalmente corresponsabili. Sicché il committente può rivolgersi indifferentemente all’uno od all’altro per conseguire il risarcimento dell’intero danno; il debitore escusso potrà agire in regresso verso l’altro corresponsabile per la ripetizione della parte da esso dovuta. (C.c., art. 1292; c.c., art. 1299; c.c., art. 1667; c.c., art. 2055) (1).

    (1) In tal senso si vedano Cass. 4 dicembre 1991, n. 13039, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 12; Cass. 24 febbraio 1986, n. 1114, ivi 1986, fasc. 2.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con atto ritualmente notificato il «Condominio Matteotti» in persona dell’amministratore Fulvio Pironti citava in giudizio innanzi a questo tribunale l’impresa House Painter di Cuoco Francesco ed esponeva:

– che con contratto di appalto del 17 maggio 2000 erano stati affidati all’impresa dei lavori straordinari di manutenzione consistenti nell’impermeabilizzazione, isolamento termico superficiale e tinteggiatura dell’edificio condominiale;

– i lavori erano stati ultimati ed il prezzo era stato pagato;

– sennonché nel novembre 2002 la tinteggiatura esterna aveva cominciato a sbiadirsi ed a presentare chiazze di tonachino base;

– che il detto vizio era stato tempestivamente denunziato e ne era stata chiesta l’eliminazione, ma senza esito, stante la contestazione da parte dell’impresa.

Ciò premesso chiedeva la condanna del convenuto alla «riduzione del prezzo» od alla eliminazione dei vizi e difformità dell’opera, con condanna altresì al risarcimento dei danni.

Instauratosi il contraddittorio il convenuto contestava l’avverso dedotto e chiedeva il rigetto della domanda. Eccepiva in via principale l’intempestività della denunzia dei vizi e nel merito l’infondatezza dell’avversa pretesa, atteso che le opere erano state ricevute dal committente e verificate come conformi al progetto da parte dello stesso tecnico del condominio.

La causa, acquisita la documentazione ritualmente prodotta e disposta C.T.U., è stata assegnata a sentenza e deve essere decisa.

MOTIVI DELLA DECISIONE. – La domanda è fondata e va accolta nei termini di seguito precisati.

Preliminarmente va detto che non sussiste prescrizione o decadenza in relazione all’eccepita tardività della denunzia.

Infatti i vizi dell’opera vanno denunziati, se nascosti o scoperti in fase successiva, a decorrere dal momento in cui emergono o vengono scoperti (art. 1667 c.c. applicabile alla fattispecie in esame) e non vi sono elementi per non ritenere che la denunzia sia stata tempestiva rispetto alla scoperta dei vizi, né rilievo ha l’accettazione dell’opera. Né può avere rilievo l’eventuale corresponsabilità del direttore dei lavori, infatti la persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe di costoro e l’eventuale diseguale efficienza causale di esse può avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento tra i corresponsabili; conseguentemente, il giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna, ovvero se il danneggiato abbia rinunziato alla parte del credito corrispondente al grado di responsabilità del coautore dell’illecito da lui non convenuto in giudizio (rinunzia non ravvisabile peraltro nel mero fatto di non aver agito anche contro quest’ultimo) o abbia comunque rinunziato ad avvalersi della solidarietà nei confronti del corresponsabile convenuto (Cass. civ., sez. III, 5 ottobre 2004, n. 19934), mentre nel caso di specie non risulta esercitata l’azione di regresso, sicché il danno deve essere risarcito per intero.

Nel merito, dalla espletata consulenza tecnica, è emersa la sussistenza dei vizi lamentati da parte attrice. Il C.T.U. ha così concluso: «In via definitiva, per quanto esposto, ritengo che sussistano i vizi lamentati da parte attrice generanti sin da una cattiva scelta dei materiali che da leggerezze nella messa in opera».

Per la loro esatta individuazione e per la individuazione delle cause dei vizi stessi si richiama la consulenza in atti.

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Tutto ciò premesso e considerato che quando trattasi di accertamenti e valutazioni tecniche la sentenza si può ritenere adeguatamente motivata anche con il solo richiamo alla consulenza, questo giudice non ha motivo di discostarsi dalle risultanze della consulenza stessa.

Sicché riconosciuti i vizi e le difformità dell’opera, come individuati nella consulenza in atti, va accolta la domanda e va condannato il convenuto al risarcimento dei danni da liquidarsi in misura corrispondente ai costi necessari per la eliminazione dei vizi stessi e quantitativi dal C.T.U. nella misura di euro 14.723,11. Non vi è prova di altri danni, né possono essere accolte altre domande, essendo la pronunzia risarcitoria satisfattiva di ogni pretesa di parte attrice.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. (Omissis).

@TRIBUNALE DI MACERATA Sez. I, ord. 20 febbraio 2009. Est. De Tommaso - Rossi (avv. Gattafoni) c. Albertini (avv. Formica)

Possesso - Azione di reintegrazione da spoglio - Legittimazione - Detentore - Legale di fiducia cui il proprietario abbia consegnato le chiavi dell’immobile - Sussiste.

Il legale di fiducia al quale il proprietario abbia conferito la disponibilità materiale della cosa mediante la consegna delle chiavi e l’incarico di occuparsi dell’immobile (anche attraverso il reperimento di occasioni di vendita), ben può dirsi agire a titolo di detentore nell’interesse altrui, come tale legittimato ex art. 1168, secondo comma, c.c. a difendere con l’azione di reintegrazione la detenzione da fatti lesivi di terzi diversi dal possessore. (C.c., art. 1168) (1).

    (1) In tema di regime probatorio (e, in particolare, di distribuzione dell’onere della prova tra le parti) nel procedimento possessorio instaurato a tutela della detenzione qualificata, cfr. Cass. 20 maggio 2008, n. 12751, in Ius&Lex dvd n. 2/2009, Ed. La Tribuna e Cass. 3 marzo 1994, n. 2111, ibidem.

MOTIVI DELLA DECISIONE. – I resistenti contrastano la domanda di tutela possessoria avanzata dall’avv. Rossi sull’assunto dell’insussistenza (o comunque della mancata dimostrazione della sussistenza) in capo allo stesso di un rapporto obbligatorio di detenzione che lo legittimerebbe all’azione possessoria; la difesa è coerente con il rifiuto, frapposto all’istante, di consegnargli le nuove chiavi del cancello, perché non aveva mostrato alcun titolo che lo legittimasse (cfr. deposizione di Simone Cittadini, marito della Albertini).

Il detentore è legittimato alla proposizione dell’azione di reintegrazione nel processo, secondo quanto prevede il secondo comma dell’art. 1168 c.c. (tranne che per ragioni di servizio di ospitalità); peraltro il detentore che agisce per la reintegra è tenuto a dimostrare, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, l’esistenza del titolo obbligatorio di detenzione, in quanto la posizione possessoria del detentore non ha un’estensione oggettiva pari a quella del possessore stricto sensu, tale da prescindere dal vincolo obbligatorio che ne concreta e delimita il fondamento, onde il giudice, di fronte alle contestazioni dell’intimato, deve compiere l’accertamento del rapporto obbligatorio e la verifica relativa al fatto che l’attività contestata dal preteso autore dello spoglio rientri nell’ambito della detenzione consentita dal rapporto (cfr. Cass. 8489/2000; Cass. 5555/96; Cass. 6412/94).

Ciò detto, in primo luogo l’esistenza del titolo di detenzione non va necessariamente provata per iscritto, – da cui l’infondatezza della pretesa dei convenuti e che fosse loro esibito il titolo che legittimasse il Rossi – ed in secondo luogo, allegato e provato un rapporto di detenzione del bene sulla base di un rapporto di mandato al Rossi conferito dal legittimo proprietario, ciò che rileva ai fini di causa è la prova che il ricorrente avesse esercitato in nome del proprietario il potere sulla cosa, secondo un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà, nei limiti consentiti dal titolo stesso, il quale determina il modo in cui il detentore ha avuto la disponibilità materiale della cosa e la misura del potere di fatto sulla stessa esercitato, individuando la stessa possibilità di tutela possessoria della detenzione, esclusa in caso di detenzione per ragioni di servizio o ospitalità (cfr. Cass. 12751/2008; Cass. 1299/98; Cass. 2111/94).

Orbene, nella fattispecie, le risultanze in atti (deposizioni testimoniali, dichiarazioni scritte e documenti in atti) sono sufficienti per accordare all’avv. Mario Rossi la veste di detentore ai sensi e per gli effetti dell’art. 1168 comma 3 c.c.

L’avvocato istante, già legale di fiducia della sorella defunta del proprietario dell’immobile cui si accede dal cancello in contestazione, Yordan Vasilev Dyakov, aveva le chiavi del cancello da attraversare per raggiungere l’immobile del Dyakov; era stato da lui incaricato sin dal 2007 di trattare la vendita, proprio con gli odierni resistenti; portava professionisti di sua fiducia a visitare l’immobile per reperire occasioni di vendita; aveva incaricato un...

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