Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine233-242

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@TRIBUNALE DI CAMERINO 9 dicembre 2008. Est. Potetti - Imp. V

Giudizio penale di primo grado - Dibattimento - Esame dei testimoni - Contestazioni - Versione già resa dal teste durante le indagini preliminari - Utilizzazione in dibattimento come prova dei fatti in essa affermati - Esclusione.

Ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma secondo, la versione già resa dal teste durante le indagini preliminari non può essere utilizzata nel dibattimento come prova dei fatti in essa (versione) affermati, nemmeno quando il teste, pur non ricordando i fatti in dibattimento, tuttavia afferma che la versione resa durante le indagini preliminari (che gli viene contestata in dibattimento) corrispondeva alla verità dei fatti. (C.p.p., art. 500) (1).

    (1) In termini generali si veda Cass. pen., sez. I, 30 novembre 1996, Mauro, in questa Rivista 1997, 220. Secondo tale precedente, ex art. 500, comma secondo, le dichiarazioni rese dal teste in sede di indagini preliminari possono formare oggetto di contestazione ed essere allegate al fascicolo del dibattimento soltanto se costui abbia già deposto in sede dibattimentale. Tale presupposto – indispensabile per l’utile inserimento di dette dichiarazioni nel fascicolo del dibattimento ai fini di una loro valutazione probatoria – viene meno nell’ipotesi in cui il testimone in sede dibattimentale dichiari di far uso della facoltà di non deporre ai sensi dell’art. 119, comma primo, c.p.p.

MOTIVI DELLA DECISIONE. – Seguendo i motivi di impugnazione, si valuta e decide come segue.

1) – Omesso rinvio dell’udienza del 7 luglio 2006.

Dal certificato del Pronto Soccorso, datato 6 luglio 2006, ore 18.30, risulta che il difensore avv. ... era affetto da «Faringotonsillite con dispnea», con prognosi di giorni cinque.

Risulta che il difensore avv. ... era comunque presente all’udienza del 7 luglio 2006.

In sintesi, il GdP rigettava l’istanza di rinvio perché la discussione del processo era stata più volte rinviata; per evitare danni alla celerità del processo e agli interessi delle parti; perché l’avv. ... avrebbe potuto farsi sostituire da altro collega o collaboratore di studio.

Successivamente il difensore dell’imputato formulava le proprie conclusioni.

Posto quanto sopra, il motivo è infondato. Infatti, lo stato di dispnea (il profano la può chiamare “affanno”) è semplicemente un comune e blando disagio nella respirazione, che non impedisce a chi parla di esprimersi in modo tale da essere compreso.

La capacità di vocalizzare può essere semmai incisa dalla laringite, che coinvolge le corde vocali, e che non viene in rilievo nel caso presente.

2) – La valutazione del merito. Sintesi dell’istruttoria di primo grado.

La ricostruzione della verità processuale è sostanzialmente affidata alle tre testimonianze che di seguito si riportano in sintesi.

  1. Teste ...

    Riferiva la teste-parte civile che il giorno del fatto si trovava presso un’amica.

    Aveva udito abbaiare dei cani, era uscita, e aveva visto ..., il quale si succhiava il sangue dalla mano.

    Quindi erano entrati in casa, ed era entrato anche il cane del ..., ferito sul collo.

    L’... era uscita di casa per ritornare nell’abitazione della sua amica, quando aveva sentito la voce di ..., il quale chiamava ..., e poi aveva detto: «Che voleva quella rompicoglioni»; poi il ... aveva proseguito a parlare con ...

    La teste aveva preso un registratore e l’aveva infilato nella pancia, perché quello continuava ad insultarla (ma lui non l’aveva vista).

    ... cominciò poi ad insultarla con le parole: «stronza, cretina, stupida».

    Allora la teste gli aveva detto che avrebbe registrato tutto.

    Al fatto erano presenti ... e quelli che si trovavano intorno alle abitazioni.

  2. Teste ...

    Dichiarava di avere assistito alla discussione tra il ... e l’..., ma di non ricordare quanto fosse accaduto fra i due, pur confermando quanto aveva riferito ai carabinieri di ...

    Precisava che nell’occasione la signora ... non aveva mai parlato.

    Il teste, a seguito di contestazioni ex art. 500 c.p.p., effettuava una serie di conferme di quanto aveva già dichiarato durante le indagini, precisando: «... però io non ricordo nulla oggi».

  3. Teste ...

    Dichiarava di non aver sentito né visto discussione alcuna fra il ... e l’...; però ricordava che il ... disse, riferendosi all’...: «che vuole quella, perché non si fa i fatti suoi»; che aveva sentito il ... che parlava in modo alterato, ma non aveva compreso il senso delle sue parole; però la sera stessa o il giorno dopo la signora ... si era lamentata perché il ... l’aveva offesa.

    3) – Soluzione del processo. Premesse in diritto.

    3.1) – Per quanto riguarda le dichiarazioni rese dalla parte civile, occorre ricordare l’insegnamento della Suprema Corte, secondo il quale in tema di valutazione della prova testimoniale, le dichiarazioniPage 234 rese dalla persona offesa, sottoposte ad un attento controllo di credibilità, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilità dell’imputato, senza che sia indispensabile applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 commi terzo e quarto c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso, fino a valutare l’opportunità di procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. n. 33162/04).

    3.2) – Per quanto invece riguarda le dichiarazioni del teste ..., occorre rimarcare che, ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 2, le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste.

    Ciò posto, occorrono alcune considerazioni in diritto, dato che le dichiarazioni di questo teste rappresentano l’unico potenziale e sostanziale riscontro alla testimonianza della parte civile.

    Il caso è classico.

    Il teste, chiamato a testimoniare a distanza di tempo anche notevole rispetto ai fatti per cui è processo afferma, in perfetta buona fede, di non ricordare i particolari richiestigli, ma che comunque li riferì immediatamente, e secondo verità, alla polizia giudiziaria (e magari, come in questo caso, «conferma» le precedenti dichiarazioni, pur senza ricordare ormai nulla del fatto).

    A questo punto il giudice è chiamato a scelte assai delicate.

    Una prima scelta è quella del se al teste immemore sia possibile fare la contestazione (non è del tutto pacifico).

    Ove abbia dato soluzione positiva a questa prima questione il giudice dovrà poi misurarsi con il secondo comma dell’art. 500 («Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste»), la cui interpretazione letterale e restrittiva (esclusivo giudizio sulla credibilità) equivarrebbe a perdere i dati di cognizione a suo tempo riferiti dal teste alla polizia giudiziaria (posto che ritenere credibile o meno il «non ricordo» dibattimentale del teste nulla aggiunge, di per se stesso, al bagaglio conoscitivo del giudice).

    L’alternativa è intuitiva: ritenere che il teste, richiamando per relationem la dichiarazione resa alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini (e pur non ricordando i fatti sui quali è esaminato in dibattimento), abbia mutato la natura della precedente versione resa nella fase investigativa (da atto di indagine a testimonianza dibattimentale).

    Ad analizzare la risposta del teste («non ricordo i fatti di cui mi chiedete, ma li ho riferiti alla polizia giudiziaria secondo verità»; questa è la sostanza delle dichiarazioni del teste ..., pur diversamente verbalizzate) è facile avvedersi che oggetto della dichiarazione di scienza fatta dal teste non sono i fatti rilevanti per il processo (es. numero di targa, tipo e colore di un certo veicolo usato per una rapina), ma un altro e diverso fatto, di per sé inutile ai fini della ricostruzione dei fatti rilevanti per il processo (e cioè il fatto che il teste abbia riferito i fatti rilevanti alla polizia giudiziaria secondo verità).

    In pratica il teste immemore in questo caso dichiara che tra i fatti realmente accaduti e quelli riferiti alla polizia giudiziaria vi è identità; ma non dice (perché non lo ricorda) ciò che interessa al processo, e cioè quali siano questi fatti.

    Ciò che serve al processo (nel nostro caso le parole pronunciate dall’imputato) potrebbe essere acquisito solo mediante ulteriori operazioni, e cioè inserendo (mediante lettura) nel fascicolo dibattimentale, e poi utilizzando, le dichiarazioni già rese dal teste durante le indagini.

    Il problema ineludibile è allora quello di decidere se tali operazioni siano consentite dall’art. 500 c.p.p. (valutazione del precedente difforme solo ai fini della credibilità e divieto di acquisirlo al fascicolo del dibattimento al di fuori delle ipotesi eccezionali ivi previste), ma prima ancora, e soprattutto, se siano consentite dal comma quarto dell’art. 111 Cost., il quale prevede il principio del contraddittorio nella formazione della prova (in senso contrario a tali operazioni Trib. Ascoli Piceno, sezione distaccata di San Benedetto del Tronto, 29 giugno 2001, in G.U. 1º Serie speciale, 10 ottobre 2001, n. 39, pp. 61 e 63; Trib. mil. Torino, 14 giugno 2001, ..., in Giust. pen., 2002, III, da c. 167).

    L’opinione di questo giudicante, allo stato, è negativa, proprio per la formulazione letterale delle suddette disposizioni ordinaria e costituzionale, oltre che per l’intenzione garantista del legislatore che da esse traspare.

    Si rifletta inoltre su ciò: che l’attestazione di verità del teste sulle sue precedenti dichiarazioni (magari attraverso la classica domanda: conferma quelle dichiarazioni?) non le trasforma, ovviamente, in dichiarazioni rese nel contraddittorio, come vuole la norma costituzionale.

    Giustamente in dottrina si è sottolineato il rischio che le operazioni di recupero per tale via delle precedenti dichiarazioni diventino un modo per aggirare la loro inutilizzabilità, e si è rilevato che il dichiarante...

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