Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine405-424

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@CORTE DI APPELLO DI GENOVA Sez. III, ord. 19 febbraio 1999. Est. Giacalone - Ric. XY.

Misure cautelari personali - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Presupposti - Precedenti penali - Condotta dell'indagato al tempo dell'emissione della misura coercitiva - Valutazione.

Misure cautelari personali - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Entità della riparazione - Determinazione - Criteri.

In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, i numerosi precedenti penali del soggetto privato della libertà personale come pure la circostanza che il medesimo, accusato da un collaboratore di giustizia di aver funto da corriere di stupefacenti, avesse la disponibilità di un camioncino adibito al trasporto di bestiame, non possono essere valutate sotto il profilo di una condotta cosciente e volontaria del soggetto medesimo atta a trarre in errore il giudice al momento dell'adozione della misura cautelare. (C.p.p., art. 314).

Ai fini della liquidazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione, il parametro aritmetico non pregiudica una più ampia valutazione che tenga conto, in maniera globale, anche delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. (C.p.p., art. 314).

(Omissis). - A seguito delle rivelazioni di due noti collaboratori, G.V. e G.S.R., iniziava procedimento penale a carico di numerosi personaggi indicati quali partecipi a gravi attività criminose e, tra l'altro ad un cospicuo traffico di sostanze stupefacenti fatte giungere a Genova anche dalla Calabria, regione di origine degli stessi propalanti e della maggior parte degli accusati.

Una delle dichiarazioni di G.V. riguardava A.G. indicato come collaboratore di Z.R. nel trasporto appunto dalla Calabria a Genova di notevoli quantitativi di eroina occultata in cassette contenenti generi alimentari nel periodo compreso tra la primavera del 1989 e l'11 novembre 1989.

Il Gip presso il Tribunale di Genova, in data 20 dicembre 1994 emetteva nei confronti dell'A., così come nei confronti di molti altri accusati, provvedimento di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere ravvisando la sussistenza di sufficienti indizi di colpevolezza, provvedimento eseguito in data 17 gennaio 1995.

L'imposizione di tale misura veniva revocata il 4 aprile 1996 a seguito di pronunzia del tribunale per il riesame che pur ribadendo, come aveva fatto in precedenti occasioni, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'imputato, escludeva, peraltro, che, in presenza di un Kg. di eroina «parlata», potesse essere ravvisata nei fatti contestati l'aggravante dell'ingente quantitativo riconoscendo che a seguito di tale ridimensionamento della accusa doveva farsi riferimento a termini di durata della misura cautelare più contenuti e, nel caso, già esauriti.

Con sentenza del 6 giugno 1997 l'A. veniva poi assolto dalla accusa «per non aver commesso il fatto». Il tribunale, premessa la attendibilità del dichiarante e ritenuto che la chiamata in correità fosse intrinsecamente credibile in quanto precisa, dettagliata ed inerente a fatti che il medesimo aveva affermato di aver vissuto in prima persona, quali il suo recarsi alla stazione proprio per prendere dalle mani dell'A. le cassette contenenti la droga, con le quali lo stupefacente era fatto arrivare a Genova, aveva fatto riferimento all'uso di un autocarro adibito al trasporto di bestiame. Tuttavia, le stesse circostanze nulla hanno a che fare con una condotta cosciente e volontaria del soggetto atta a trarre in errore; tantomeno possono essere valutati sotto tale profilo i pur numerosi precedenti penali dello stesso A.

Si tratta, dunque, di determinare l'ammontare della riparazione. I criteri da seguire sono quelli, equilibrati e condivisibili, indicati da altra pronunzia delle sezioni unite della Corte di cassazione, la n. 27 del 31 maggio 1995. Ciò premesso, si osserva che nel caso di specie non può essere preso in considerazione un qualche danno all'immagine subita dall'A. dalla ingiusta detenzione; il nutrito certificato penale dal quale risulta anche la applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di due anni, osta alla possibilità di ravvisare un simile pregiudizio. È, poi, da escludere che il contatto con strutture carcerarie abbia rappresentato per il richiedente una esperienza traumatica o afflittiva come può essere per un incensurato. Si tratta di considerazioni che non consentono di troppo discostarsi da quel parametro aritmetico, conseguente alla proporzione tra il limite massimo dell'indennizzo - cento milioni di lire - e la massima durata della custodia cautelare - sei anni - che comunque va preso come punto base di riferimento tenuto conto che nel caso in esame la detenzione è durata un anno, tre mesi e 18 giorni. D'altra parte, dovendo fare una valutazione, globale e svincolata da criteri troppo rigidi, delle conseguenze personali e familiari conseguenti alla privazione del primario bene della libertà, occorre tener conto dell'intuibile progressivo aggravarsi del peso della detenzione con il protrarsi della sua durata; delle conseguenze negative sulla situazione familiare - sul punto si è asserito, e la moglie ha rilasciato al proposito dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che l'attività lavorativa dell'A. costituiva l'unica fonte di reddito della famiglia - e dei solo denunciati e, peraltro, possibili effetti negativi sulla salute del detenuto. Pertanto, considerato tutto quanto precede, ad avviso della Corte può essere assegnata all'A., a titolo di riparazione, la somma che si stima equa di lire 27.000.000.

Atteso che la amministrazione non si è opposta all'accoglimento della domanda, le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti (Omissis).

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@CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 3 settembre 1998. Pres. Merlino - Est. De Donato - Imp. Belforte.

Impugnazioni penali in genere - Impugnazione del pubblico ministero - Sentenze pronunciate in primo grado da tribunale periferico per uno dei delitti indicati dall'art. 51, comma 3 bis, c.p.p. - Legittimazione - Individuazione.

La legittimazione all'impugnazione del pubblico ministero è disciplinata esclusivamente dall'art. 570 c.p.p. in connessione con l'art. 594 per l'appello ed all'art. 608 per il ricorso per cassazione. Tali norme non sono state modificate in occasione dell'introduzione nel nostro ordinamento delle direzioni distrettuali antimafia. Pertanto contro le sentenze pronunziate in primo grado da un tribunale periferico per uno dei delitti indicati dall'art. 51, comma 3 bis, c.p.p. l'appello può essere proposto dal procuratore della Repubblica presso quel tribunale o dal procuratore generale presso la corte d'appello. Qualora l'accusa al dibattimento avanti al tribunale periferico venga rappresentata da magistrato appartenente alla direzione distrettuale antimafia, questi è legittimato ad impugnare ai sensi dell'art. 570, comma 2, c.p.p. Analogamente, qualora l'accusa al dibattimento venga rappresentata dal sostituto procuratore presso il tribunale periferico designato ai sensi dell'art. 51, comma 3 ter, c.p.p., egli è legittimato all'impugnazione ai sensi del medesimo art. 570, comma 2, c.p.p. (C.p.p., art. 570; c.p.p., art. 51).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. (Omissis). - Il difensore di Belforte Domenico ha eccepito l'inammissibilità dell'appello del P.M. contro la sentenza di primo grado, poiché proposto da organo incompetente. Ha rilevato, infatti che, aPage 408 norma dell'art. 51, comma 3 bis, c.p.p., le funzioni di pubblico ministero riguardo ai procedimenti relativi, tra l'altro, all'imputazione di associazione per delinquere per stampo camorristico sono attribuite nel corso delle indagini preliminari e del giudizio di primo grado all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (ufficio presso il quale è istituita, come articolazione interna dello stesso, la direzione distrettuale antimafia), sicché il potere di impugnare la sentenza pronunziata in primo grado spetterebbe alla procura distrettuale e non potrebbe essere esercitato da magistrati estranei a tale ufficio ed in particolare non da un magistrato in servizio presso la procura della Repubblica presso il giudice periferico competente per il giudizio, benché questi sia stato designato per fungere da P.M. nel dibattimento, ai sensi dell'art. 51, comma 3 ter, c.p.p., atteso che tale designazione ha carattere eccezionale e riguarda solo l'espletamento del dibattimento, sicché non potrebbe estendersi al potere dell'impugnazione della sentenza, così come statuito dalla Suprema Corte per l'analoga fattispecie di delega al rappresentante del pubblico ministero, che in primo grado ha presentato le conclusioni per l'accusa, a rappresentare l'accusa anche nel giudizio di secondo grado, ai sensi dell'art. 570, terzo comma, c.p.p. Pertanto il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria C.V., che, avendo rappresentato l'accusa nel dibattimento di primo grado, in quanto all'uopo designato ai sensi dell'art. 51, comma 3 ter, c.p.p., ha poi proposto l'appello in discorso, avrebbe esercitato un potere di cui non era titolare neppure in virtù di tale designazione e da ciò discenderebbe l'inammissibilità dell'impugnazione per difetto di legittimazione. I difensori degli altri imputati si sono associati a tale eccezione, mentre il P.G. ne ha chiesto il rigetto e la Corte si è riservata di decidere su di essa con il merito.

All'esito del dibattimento il P.G. ha chiesto che, ritenuta la continuazione tra i reati per i quali si procede e quello di associazione camorristica già giudicato con sentenza di questa Corte del 3 luglio 1986, Belforte Domenico fosse condannato all'ulteriore pena di due anni di reclusione e Belforte Salvatore all'ulteriore pena di quattro anni di reclusione, con la misura di sicurezza dell'assegnazione ad una...

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