Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI PERUGIA 25 maggio 2000, n. 418. Pres. Amato - Est. Di Salvo - Imp. L.

Prova penale - Valutazione - Dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminari - Dichiarazioni confermate in dibattimento - Mancanza - Dichiarazioni contrastate da altri elementi di prova - Configurabilità - Conseguenze - Inutilizzabilità delle medesime - Sussistenza.

In applicazione del disposto di cui all'art. 1 della L. 25 febbraio 2000, n. 35 (cd. legge sul «giusto processo»), sono inutilizzabili le dichiarazioni accusatorie rese, nel corso delle indagini preliminari, da soggetti poi sottrattisi alla verifica in contraddittorio, la cui attendibilità, in sede dibattimentale, non solo non è stata confermata ma, addirittura, parzialmente contrastata da altri elementi di prova. (L. 25 febbraio 2000, n. 35, art. 1) (1).

    (1) La sentenza che si pubblica costituisce una delle prime applicazioni dell'art. 1 della recente L. 25 febbraio 2000, n. 35. In tema di «giusto processo» v., in dottrina, Il giusto processo (a cura dell'Associazione tra gli studiosi del processo penale), Ed. Giuffrè, Milano 1998.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con sentenza in data 3 novembre 1995 il Tribunale di Terni dichiarava L.S. colpevole dei reati, meglio specificati in epigrafe, di tentata violenza carnale, lesioni personali e minaccia ai danni di K.A. ed H.L.

Il tribunale, ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, condannava l'imputato alla pena di anni uno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena.

I primi giudici fondavano il proprio giudizio di colpevolezza sulle deposizioni rese dalla persona offesa K.A., non confermate al dibattimento, ritenendole riscontrate dalla consulenza medica disposta nei confronti della stessa e dalla denunzia posta dall'altra persona offesa H.L., fidanzato della K.

Avverso la predetta sentenza ha proposto tempestivo appello il difensore dell'imputato contestando l'attendibilità delle persone offese.

Ad avviso dell'appellante, la consulenza medica in atti evidenziava sulla persona della K. segni di colluttazione, calci e pugni, ma non i segni tipici della violenza carnale, quali ecchimosi e graffiature agli arti superiori ed all'interno delle cosce, come peraltro precisato dallo stesso consulente del P.M., il quale aveva anche escluso la sussistenza di lesioni di natura psichica a carico della K.

Concludeva l'appellante perché, in via principale, fosse mandato assolto dalle imputazioni ascrittegli per non aver commesso il fatto.

In via subordinata richiedeva una congrua riduzione della pena.

All'odierna udienza, sentita la relazione svolta dal dott. Di Salvo, P.G. e difensore dell'imputato concludevano come da verbale.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'appello è fondato e merita accoglimento nei termini di seguito precisati.

In via preliminare, va ribadito che entrambe le persone offese K.A. e H.L. si sono sempre sottratte alla verifica in contraddittorio, delle pesanti accuse formulate a carico dell'odierno appellante e che, come rettamente sostenuto dal difensore dell'imputato nei motivi di gravame, la c.t. del consulente d'ufficio del P.M. ne ha in parte anche smentito gli assunti.

Infatti, il consulente d'ufficio ha evidenziato che entrambe le persone offese, da lui sentite, non fecero alcuna menzione del coltello ed addirittura che la cicatrice sul braccio della K. è «di vecchia data» (cfr. Ctu in atti, fol. 3).

Ha ancora evidenziato il Ctu che «per quanto concerne la dinamica dei fatti, nel corso delle operazioni peritali non sono emersi elementi certi a sostegno dell'una o dell'altra versione» (cfr. Ctu in atti, fol. 5) e che «la lesività riscontrata alla K. dai sanitari del Pronto Soccorso è una lesività genericamente contusiva, priva di quegli elementi tipici dell'azione violenta concessa alla fase di costrizione, volta cioè a vincere la resistenza della vittima alla violenza carnale. Ci si riferisce in particolare ad ecchimosi e graffiature in sedi specifiche quali il volto, gli arti superiori e l'interno delle cosce» (cfr. Ctu in atti, foll. 5-6).

Orbene, in presenza di un quadro clinico così insufficiente e contraddittorio, che non riscontra, anzi contrasta, le dichiarazioni delle persone offese, la sola denunzia resa alla P.G. da K.A. e da H.L., mai esaminati in contraddittorio, non è idonea a pervenire ad una sentenza di condanna.

In particolare, va evidenziato che la versione dei fatti sostenuta dalle persone offese è stata anche decisamente contestata dall'imputato, incensurato e munito di regolare permesso di soggiorno, il quale ha riferito che:

a) la sera dei fatti egli ebbe una colluttazione con entrambe le persone offese, per motivi connessi all'alloggio che occupavano tutti insieme;

b) fu aggredito dalla K. dapprima con una bottiglia e poi con un coltello e che le lesioni che la stessa subì furono dovute alla sua legittima difesa dall'aggressione subita;

c) che H.L. gli preannunziò che, per dispetto, la K. lo avrebbe denunziato per violenza carnale.

Preso atto che lo stesso Ctu ha riferito che «nel corso delle operazioni peritali non sono emersi elementi certi a sostegno dell'una o dell'altra versione» (cfr. Ctu in atti, fol. 5), a norma dell'art. 1 della legge 25 febbraio 2000, n. 35 (cd. Legge sul «giusto processo») difettano i requisiti di utilizzabilità delle deposizioni rese da K.A. e da H.L., in quanto le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore, sono valutate, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, solo se la loro attendibilità è confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità. Page 432

Nel caso in esame, non soltanto l'attendibilità delle persone che hanno reso le dichiarazioni accusatorie di cui sopra non è stata confermata da altri elementi di prova, ma è stata addirittura anche parzialmente contrastata.

Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, due deposizioni possono reciprocamente riscontrarsi tra loro, soltanto a condizione che sia stata dapprima positivamente riscontrata l'intrinseca attendibilità di entrambe; verifica che, nel caso in esame, ha dato esito negativo.

Alla luce di tutto quanto evidenziato, né in punto di dirotto, né in punto di logica giuridica, possono essere utilizzate le deposizioni rese da K.A. e da H.L. in ordine alle modalità con le quali la K. riportò le lesioni personali indicate nel capo d'imputazione; il che impone l'assoluzione dell'appellante dai reati di cui ai capi A) e C) perché il fatto non sussiste.

Inoltre va evidenziato che l'imputato ha precisato, (peraltro con dovizia di particolari e parzialmente riscontrato dalla Ctu) di essere stato aggredito dalle stesse persone offese e di avere reagito per legittima difesa e che lo stesso Ctu ha affermato che non sono emersi elementi clinici certi a sostegno dell'una o dell'altra contrapposta versione dei fatti.

Come noto, a norma del terzo comma dell'articolo 530 c.p.p., anche un dubbio sull'esistenza della causa di esclusione della punibilità (dubbio che nel caso in esame non è apodittico o congetturale, ma è stato motivatamente sostenuto dallo stesso C.t. d'ufficio) impone l'assoluzione dell'imputato a norma del primo comma dell'art. 530 c.p.p. anche dall'imputazione di cui al capo B) della rubrica. (Omissis).

@CORTE DI APPELLO DI BRESCIA 13 marzo 2000. Pres. Platè - Est. Mazza - Imp. Ghedi ed altri.

Giudizio...

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