Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI CATANIA Sez. II, 27 marzo 2000. Pres. ed est. Maiorana - Imp. Ventura.

Misure cautelari personali - Estinzione - Termini di durata massima della custodia cautelare - Sospensione - Periodo di sospensione ex lege per ricusazione del giudice - Computabilità.

In tema di custodia cautelare, durante il dibattimento di primo grado, il termine di fase previsto dall'art. 303, comma primo, lett. b), n. 3, c.p.p. deve ritenersi ex lege sospeso, in conformità alla disposizione ex art. 1, comma 3, del D.L. n. 553/96, dalla data del provvedimento che ha accolto la ricusazione di un giudice a quella in cui il dibattimento davanti al nuovo giudice è pervenuto nello stesso stato in cui si trovava allorché era intervenuta la dichiarazione di ricusazione. Del periodo di tale sospensione non si tiene conto nel computo del termine di fase di cui all'art. 304, comma sesto, c.p.p. (C.p.p., art. 304; c.p.p., art. 303) (1).

    (1) Per un ulteriore approfondimento in argomento, si vedano, oltre la citata sentenza Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2000, Barreca, in questa Rivista 2000, 159; Corte ass. app. Venezia, ord. 17 giugno 1996, Battaggia, in Riv. pen. 1997, 730, con nota di ELIO ZAFFALON, I termini di custodia cautelare decorrono anche durante il procedimento incidentale di ricusazione, salvo contrario provvedimento del giudice della ricusazione,, e Corte ass. Palermo, 18 gennaio 1997, Marcianò, in Foro it. 1998, II, 168.

(Omissis). - Rileva la Corte che Ventura Andrea è imputato detenuto appellante avverso la sentenza della Corte di assise di Catania - sezione prima supplente - emessa il 18 luglio 1998, con la quale venne condannato alla pena complessiva dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi tre, essendo stato dichiarato colpevole del reato di omicidio in danno di Consoli Massimo nonché dei reati connessi; ciò premesso, ritiene la Corte infondata la superiore istanza; ed, invero, non c'è dubbio che dal decreto che dispose il giudizio emesso dal Gip presso il Tribunale di Catania il 13 luglio 1995 fino alla data di pronuncia della sentenza di primo grado (18 luglio 1998) è decorso il termine di anni tre e giorni cinque, ed è noto pure che l'art. 303, comma primo lett. B) n. 3 c.p.p. prevede, per la suddetta fase, nella specie il termine di durata massima della custodia cautelare di anni uno e mesi sei, mentre l'art. 304, comma sesto c.p.p. dispone che la durata della custodia cautelare non può «comunque» superare, nella fase in questione, il doppio del termine suindicato (cioè anni tre), il quale nella fattispecie in esame, secondo la tesi sostenuta dall'istante, sarebbe stato superato per giorni cinque; ritiene la Corte, però, che nella specie non è decorso il termine massimo di fase suddetto; va in proposito osservato che, durante il dibattimento di primo grado, il termine di fase previsto dall'art. 303, comma primo, lett. B) n. 3 c.p.p. deve ritenersi ex lege sospeso (v. Cass., sez. I, 8 febbraio 1999, ric. Barreca ed altri), in perfetta aderenza alla disposizione di cui all'art. 1, comma terzo, del D.L. 23 ottobre 1996 n. 553 conv. in L. n. 652/1996, dalla data del provvedimento che ha accolto la ricusazione di alcuni componenti della corte di assise a quella in cui il dibattimento davanti al nuovo giudice è pervenuto nello stato in cui si trovava allorché era intervenuta la dichiarazione di ricusazione; in particolare va osservato che, nel caso in esame, la Corte di appello di Catania con provvedimento 11/12 giugno 1997 ha accolto le dichiarazioni di ricusazione presentate nei confronti di alcuni componenti della corte di assise per la sussistenza della situazione di incompatibilità di cui all'art. 34, comma secondo, c.p.p. a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37/1996; va poi notato che il dibattimento di primo grado è pervenuto alla corte di assise, diversamente composta, nello stato in cui si trovava allorché erano intervenute le dichiarazioni di ricusazione sopra esposte all'udienza del 17 settembre 1997, nella quale la corte di assise, con ordinanza resa in detta udienza, dichiarò di utilizzare tutti gli atti di causa sino a quel momento compiuti; ciò premesso, va altresì notato che, secondo la precisa ed inequivocabile disposizione contenuta all'art. 1, comma quinto del suindicato D.L. n. 553/1996, nel computo del termine di fase di cui all'art. 304, comma sesto c.p.p. (e cioè del predetto termine di anni tre) «non si tiene conto» del periodo di sospensione sopra esposto di giorni novanta; diversamente dispone invece il predetto art. 1, comma quinto, con riferimento al computo della durata complessiva della custodia cautelare, in ordine alla quale si deve tenere conto pure della sospensione di cui all'art. 1, comma terzo, citato; reputa la Corte di non potere fare applicazione nel caso in esame dei principi affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza della 5ª sezione penale 29 marzo/10 aprile 2000 n. 1915 invocata dall'istante; ed, invero, a parte il rilievo che la Corte di cassazione, sezione sesta, con la sentenza 17 marzo 2000 n. 1376 ha affermato, in ordine allo stesso tema, principi esattamente opposti, va osservato che nella fattispecie assolutamente inconferente appare il richiamo alla normativa di cui all'art. 1, comma terzo D.L. n. 250/1996 (peraltro non convertito in legge), per il quale i termini previsti dall'art. 303, comma primo c.p.p. decorrevano di nuovo dalla data del provvedimento che aveva accolto la dichiarazione di astensione o di ricusazione, dato che nel caso in esame è pienamente applicabile invece la disciplina prevista in subiecta materia dal successivo D.L. n. 553/1996 conv. in L. n. 652/1996, che ha diversamente regolamentato la fattispecie de qua introducendo, per come sopra visto, una ipotesi di sospensione ex lege dei termini di custodia cautelare, peraltro chiaramente più favorevole all'imputato rispetto alla fattispecie della regressione; ciò posto, nessun rilievo ha nella specie l'affermazione per cui la norma di cui all'art. 1, comma terzo D.L. n. 250/1996 (ed, in genere, quella di cui all'art. 303, comma Page 686 secondo c.p.p. che disciplina il caso della regressione del processo, nella quale può inquadrarsi il disposto di cui al D.L. n. 250/1996) non costituisce deroga alla disposizione di cui all'art. 304, comma sesto c.p.p., avuto riguardo alla diversità di situazioni processuali, che giustificano una specifica e pregnante esigenza di tutela in favore dell'imputato nel caso di regressione del processo, per come peraltro in sostanza ammesso in seno alla stessa sentenza della Corte di cassazione n. 1915/2000, in cui, nella parte finale, si afferma che il termine massimo di custodia cautelare di anni tre era in quel caso comunque decorso pur tenendo conto della sospensione di giorni 28 di cui al D.L. n. 533/1996; va escluso, poi, qualsiasi profilo di incostituzionalità della norma di cui all'art. 1, comma quinto del suindicato D.L. n. 553/1996, dato che la norma suddetta ha carattere eccezionale, rispondendo ad una esigenza straordinaria e temporanea, dipendendo la protrazione della custodia cautelare da una contingente e non ripetibile emergenza determinata dalla improvvisa dilatazione delle cause di incompatibilità di cui all'art. 34 c.p.p., cui il legislatore ha fatto fronte con la legge n. 652/1996 e con i numerosi decreti legge che la hanno preceduta; in questa situazione nella fattispecie è evidente, sulla base di quanto suesposto, che il termine massimo di anni tre in ordine alla fase che va dalla data del decreto di fissazione del giudizio alla data della pronuncia della sentenza di primo grado non è stato affatto superato, poiché l'esubero di giorni cinque evidenziato dall'istante viene ad essere abbondantemente compensato dalla neutralizzazione del periodo di tempo di giorni novanta, di cui si è detto in precedenza; per questi motivi rigetta la superiore istanza. (Omissis).

@TRIBUNALE DI MACERATA Ufficio Gip 11 ottobre 2000. Est. Potetti - Imp. X.

Prova penale - Facoltà dei difensori per l'esercizio del diritto alla prova - Elementi prodotti ex art. 38 att. c.p.p. - Utilizzabilità nella fase dell'udienza preliminare - Sussistenza - Utilizzabilità nel giudizio abbreviato - Sussistenza.

Le indagini difensive di cui all'art. 38 att. c.p.p. sono utilizzabili nella fase dell'udienza preliminare ed anche nel giudizio abbreviato. (Att. c.p.p., art. 38) (1).

    (1) In dottrina, cfr. ERALDO STEFANI, Manuale delle indagini difensive nel processo penale, Ed. Giuffrè, Milano 1999 e FRANCESCO GANGEMI, L'investigatore privato ed il nuovo codice di procedura penale, in questa Rivista 1991, 165.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - (Omissis).

Posto che la favorevole soluzione in ordine al capo a), per l'imputato, nel presente processo, consegue essenzialmente a dichiarazioni assunte dal difensore ex art. 38 att. c.p.p., conviene ribadire e motivare che questo giudice ritiene tali dichiarazioni pienamente utilizzabili in questa sede.

Ciò anche alla luce di un insegnamento giurisprudenziale che ammette le indagini difensive a contrapposizione di quelle del pubblico ministero, e quindi ammette tali indagini difensive non solo nella fase delle indagini svolte ex art. 358 e ss. c.p.p., ma anche nella fase delle indagini integrative svolte ex art. 430 c.p.p. (quindi addirittura successive alla emissione del decreto che dispone il giudizio) (v. sez. III, 26 settembre 1997, Lutfija, in Diritto Penale e Processo 1997, da p. 1332, e in Arch. n. proc. pen. 1997, da p. 640); non solo: la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 16/1994 (in Giust. pen. 1994, I, c. 211, n. 2 del "Considerato in diritto") già evidenziava, in relazione alla fase dell'udienza preliminare, "... l'assenza di norme che circoscrivano la facoltà del difensore di raccogliere nella fase in questione elementi utilizzabili all'udienza preliminare."

Per la possibilità di produrre indagini difensive ex art. 38 att. c.p.p. nella...

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