Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine211-215

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@CORTE DI APPELLO DI VENEZIA 27 novembre 2001. Pres. Rodighiero - Est. Citterio - Imp. X.

Giudizio civile e penale (rapporto) - Azione civile - Cognizione da parte del giudice penale - Limiti.

Il giudice penale conosce dell'azione civile solo nei limiti in cui, già dalle attività che gli sono proprie, in relazione agli sviluppi dell'esercizio dell'azione penale, acquisisce o abbia acquisito gli elementi probatori utili alla decisione. (C.p.p., art. 578) (1).

    (1) Conforme, nel senso di affermare l'accessorietà dell'azione civile nel processo penale, Cass. pen., sez. un., 24 settembre 1998, Citaristi, in questa Rivista 1998, 525, con nota contenente utili riferimenti giurisprudenziali.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Marina Codato, imputata di appropriazione indebita aggravata per essersi impossessata di un prodotto farmaceutico del valore di 26.000 lire nella farmacia dove svolgeva funzioni di magazziniera, aveva opposto il decreto penale originariamente emesso nei suoi confronti, chiedendo il giudizio abbreviato (fin d'ora va rilevato che l'importo indicato nella denuncia è quello di lire 23.000).

Fissata l'udienza, dopo un primo rinvio per omessa notificazione del decreto alla persona offesa, alla seconda udienza si costituiva parte civile il titolare della farmacia de qua; il giudice, rilevata la nullità dell'ispezione, che aveva condotto al rinvenimento del farmaco nella borsetta dell'imputata, e delle dichiarazioni spontanee rese nella circostanza dalla Codato, emetteva sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perché il fatto non sussiste.

Il Gip, osservato che era già stata esercitata l'azione penale, che l'art. 129 c.p.p. doveva trovare il più ampio ambito di applicazione e che, sotto tale profilo, era irrilevante il fatto che la Codato avesse richiesto il giudizio abbreviato, argomentava che all'atto dell'acquisizione della confezione vi erano già indizi di reità nei confronti della donna, rappresentati dalle specifiche dichiarazioni accusatorie che, nei suoi confronti, il titolare della farmacia aveva prima reso ai carabinieri. Ciononostante, osservava il Gip, i miliari avevano «chiesto contezza del prodotto farmaceutico» alla Codato, dopo la sua identificazione, ottenendone lo svuotamento della borsa ed una sorta di confessione (con l'indicazione della destinazione del farmaco ad un'amica e dell'intenzione di pagarlo nel prossimo pomeriggio). Da qui l'ordinanza che aveva statuito la nullità, ai sensi dell'art. 178 n. 3 c.p.p., dell'ispezione e l'inutilizzabilità delle dichiarazioni, per l'omesso avviso della facoltà di farsi assistere da difensore fiduciario o l'omessa nomina in alternativa di un difensore d'ufficio, e per l'essere state le dichiarazioni, indicate in verbale come spontanee, in realtà provocate dall'esito dell'ispezione.

  1. - Insorgono contro tale pronuncia, e contro l'ordinanza precedente, il procuratore generale e la parte civile.

2.1. - Il P.G. chiede che, annullata l'ordinanza, gli atti siano rimessi ad altro Gip per le valutazioni in ordine all'ammissibilità del giudizio abbreviato ed al merito ovvero per la fissazione dell'udienza dibattimentale ai sensi dell'art. 464 comma 1 c.p.p.

Lamenta che il primo giudice non abbia applicato le forme previste da tale ultima norma, pronunciando de plano la sentenza ex art. 129 c.p.p. In particolare, in rito, pare censurare la scelta di non procedere oltre nel giudizio abbreviato, ove ammesso, o con la fissazione del giudizio dibattimentale, così facendo venir meno il contraddittorio.

Nel merito contesta che nella condotta dei carabinieri siano riscontrabili un'ispezione o una perquisizione, giacché i militari si sarebbero limitati a chiedere notizia del farmaco e di visionare il contenuto della borsa, dalla Codato spontaneamente esibito, così dando rituale applicazione al disposto dell'art. 248 comma 1 c.p.p. (che, nota l'appellante, è appunto disciplina espressa dell'invito per evitare la perquisizione). «Per questo» nessuna nullità sarebbe configurabile quanto alle modalità di acquisizione del «corpo di reato» e, conseguentemente, piena utilizzazione avrebbero le dichiarazioni spontanee verbalizzate nell'immediatezza del fatto, ai sensi dell'art. 350 comma 7 c.p.p.

In ogni caso, conclude il P.G., non solo la sostanziale flagranza, ma anche le mere dichiarazioni della persona offesa denunciate comproverebbero la responsabilità della Codato, sì da rendere ingiustificata la pronuncia ex art. 129 c.p.p. anche sotto tale profilo.

2.2. - La parte civile, ovviamente ai soli fini civilistici, chiede in rito la dichiarazione di nullità dell'udienza del 24 febbraio 2001 e degli atti conseguenti, ai sensi dell'art. 604 comma 4 c.p.p., e, nel merito, l'accertamento della responsabilità dell'imputata e la sua condanna alla rifusione dei danni (che quantifica in dieci milioni di lire), con eventuale provvisionale, nonché delle spese di lite.

Con primo motivo deduce come dal verbale di udienza risulti che il primo giudice, dopo aver emesso ordinanza dichiarante la nullità dell'attività di indagine e di inutilizzabilità delle dichiarazioni dell'imputata, abbia pronunciato sentenza ex art. 129 c.p.p. senza provvedere sulla richiesta di giudizio abbreviato, senza sentire le parti e senza farle concludere sul punto, in particolare violando l'art. 421 c.p.p. e, quanto alle parti, l'art. 178 c.p.p. lett. b) per il P.M.e l'art. 178 lett. c) per la parte civile. L'appellante ricorda in proposito la giurisprudenza di legittimità che insegna come in ogni caso il giudice che ritenga sussistenti le condizioni per l'applicazione dell'art. 129 c.p.p., in sede di opposizione a decreto penale, non possa procedere de plano, dovendo comunque seguire il rito della camera di consiglio.

Con secondo motivo contesta, da un lato, che nella fattispecie vi sia stata ispezione o perquisizione, e comunque un'attività invasiva di persona o luoghi, anch'egli richiamando in proposito il disposto dell'art. 248 c.p.p.; dall'altro, che le dichiarazioni spontanee della Codato siano inutilizzabili, essendo tale conseguenza prevista per la sola fasePage 212 dibattimentale. In ogni caso, conclude, tutto quanto accaduto è nella denuncia della persona offesa, atto che non è stato oggetto di alcuna pronuncia di nullità o inutilizzabilità e che sarebbe sufficiente a provare la colpevolezza della prevenuta.

3.1. - All'odierna udienza il procuratore generale ha rinunciato all'appello, ribadendo le ragioni dell'impugnazione in rito, ma argomentando con ragioni di opportunità nel merito, in relazione all'evidente modestia della somma di cui si discute, tale da far dubitare addirittura di trovarsi di fronte ad un fatto tipico offensivo dell'interesse protetto dalla norma penale incriminatrice. Considerazioni che, incidentalmente, la Corte giudica non manifestamente infondate, anche per le valutazioni da ultimo bene argomentate nella sentenza Trib. Roma 2 maggio 2000, Ostensi (pubblicata in Cass. pen. 2001, 1266, p. 2532 ss., con nota adesiva di autorevolissima dottrina).

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