Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine355-365

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@CORTE DI ASSISE DI S. MARIA C.V 11 febbraio 2004. Pres. Cosentino - Est. Corbo - Imp. Schiavone.

Prova penale - Documenti e scritture - Dichiarazioni anonime - Utilizzabilità - Divieto - Ragioni.

Il divieto di cui all'art. 240 c.p.p. risponde all'esigenza di garantire il controllo sulla genuinità e sull'affidabilità delle fonti di prova; esso, pertanto, riguarda l'efficacia dimostrativa delle dichiarazioni anonime per il loro contenuto rappresentativo, ma non preclude la possibilità di provare il semplice fatto storico dell'esistenza, in un dato momento, di un documento anonimo, ovviamente nella parte in cui questo non rilevi per il suo profilo narrativo. (C.p.p., art. 240) (1).

    (1) Per utili riferimenti sul punto, si veda Cass. pen., sez. III, 26 settembre 1997, Sirica, in questa Rivista 1997, 642.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'istanza avanzata dalla Difesa deve essere solo parzialmente accolta.

Il P.M. ha prodotto, alle udienze del 14 gennaio 2004 e del 28 gennaio 2004, due documenti anonimi, uno manoscritto con caratteri a stampatello e l'altro dattiloscritto, i quali risultano consegnati ad ufficiali di P.G. della Stazione C.C. di Villa Literno in data 28 marzo 1989 da Ciliento Paolo, padre di Ciliento Bruno Salvatore, vittima dell'omicidio per cui si procede (cfr. verbale di consegna del 28 marzo 1989).

La difesa, sul rilievo che si tratta di documentazione di provenienza anonima, ne ha chiesto la declaratoria di inutilizzabilità.

Il P.M., invece, ha dedotto che trattasi di documenti legittimamente acquisibili al fascicolo del dibattimento perché costituenti corpo del reato e comunque la cui provenienza è riconducibile a persone determinate, all'esito di accertamenti tecnici espletati nella fase delle indagini preliminari.

La prima asserzione del P.M., però, non è assolutamente condivisibile, poiché le due lettere anonime, precedendo temporalmente l'omicidio, non possono in alcun modo essere ritenute «cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso» ovvero «cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo», secondo la chiara definizione che l'art. 253, comma 2, c.p.p. dà della nozione di «corpo del reato». Il secondo rilievo del P.M., poi, non può essere accolto poiché nulla è stato allegato dal magistrato requirente circa modalità ed esito degli accertamenti tecnici espletati.

Ciò posto, deve osservarsi che i documenti di cui si è chiesta l'acquisizione sono sì anonimi; non può dirsi, però, che entrambi contengano quelle che tecnicamente sono definibili «dichiarazioni anonime».

È opportuno premettere, infatti, che l'art. 240 c.p.p. non vieta l'acquisizione di documenti anonimi, bensì di «documenti che contengono dichiarazioni anonime». Tale disposizione, nell'assoluta assenza di precedenti giurisprudenziali editi, è stata interpretata dalla dottrina come precetto normativo che ammette l'acquisibilità di documenti anonimi non dichiarativi, quali, ad esempio, le fotografie.

Se tale è l'interpretazione che deve darsi alla suddetta disposizione, però, è evidente che possono essere ritenute acquisibili anche quei documenti che consistono in enunciati linguistici non narrativi, ma che hanno la funzione di fatto-comportamento, come ad esempio scritti o discorsi fonoregistrati contenenti frasi minatorie prive di qualsiasi contenuto rappresentativo.

La suesposta conclusione risulta invero suggerita dalla nozione sistematica del concetto di dichiarazione, come elaborato dalla dottrina processual-penalistica. Si allude, in particolare, all'orientamento di merito e legittimità assolutamente consolidato che si è formato con riferimento alla disposizione di cui all'art. 62 c.p.p.: a questo proposito, infatti, la giurisprudenza ha affermato che non può essere ritenuta dichiarazione e che può pertanto costituire oggetto di testimonianza da parte della P.G. la frase pronunciata dall'imputato con contenuto di minaccia o di avvertimento priva di contenuto narrativo (cfr. Trib. Milano, 8 ottobre 1991, Belloli; Cass. pen., 28 aprile 1997, Console).

Del resto, il principio generale che vieta l'acquisizione di informazioni anonime, codificato tra gli altri dagli artt. 195, comma 7, c.p.p., 203 c.p.p. e 333, comma 3, c.p.p., fa riferimento appunto alle notizie, ossia a quegli enunciati linguistici narrativi, che, rappresentando un fatto ad essi esterno, possono manipolarlo, alterarlo o modificarlo, e quindi impongono al Giudice di individuare la fonte da cui provengono per saggiarne l'attendibilità. È evidente, invece, che tale esigenza non sussiste allorché l'enunciato linguistico non abbia contenuto narrativo di fatti ad esso esterni, ma rilevi come fatto in sé, esclusivamente perché è venuto in essere.

Alla luce di queste precisazioni può osservarsi che la lettera vergata manualmente non può essere allo stato acquisita, a differenza di quella redatto con l'ausilio della macchina da scrivere.

La prima, infatti, contiene un'esposizione diretta alla vittima di notizie raccolte da persone non identificate, chiudendosi con un esplicito «queste sono cosePage 356 che mi sono state riferite da una persona a te nemica», ed ha quindi palesemente un contenuto narrativo.

La seconda, invece, si limita a dire: «Oggetto: pentito, infame e bastardo, è giunta la tua ora, (finalmente). Addio "nfamone" buon anno !!! ci vediamo all'inferno». Essa, pertanto, non ha contenuto narrativo, ma meramente minatorio: di conseguenza, essa non può essere ritenuta, ex art. 240 c.p.p., «documento contenente dichiarazione» ed è quindi acquisibile al fascicolo del dibattimento. (Omissis).

@TRIBUNALE DI NAPOLI Sez. III, 10 marzo 2005. Pres. ed est. Pezzella - Ric. Lupo.

Difesa e difensori - D'ufficio - Liquidazione del compenso - Costi della procedura esecutivaRimborsabilità da parte dell'Erario - Esclusione.

La liquidazione delle competenze del difensore d'ufficio a carico dell'Erario, ex art. 116 D.P.R. 115/2002, non può comprendere i costi del procedimento di recupero nei confronti dell'assistito conclusosi senza successo, pur essendo il mancato esito di tale tentativo indispensabile per l'accoglimento dell'istanza di liquidazione. (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 116) (1).

    (1) Conforme sul punto, Trib. pen. Padova, 17 luglio 2004, in Diritto e Giustizia, n. 38/2004, 43.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il difensore istante in data 22 febbraio 2003 veniva, all'atto dell'arresto, nominata difensore d'ufficio dell'imputato Mone Claudio.

L'arrestato veniva giudicato lo stesso 22 febbraio 2003 con rito direttissimo all'esito del quale gli veniva applicata su richiesta la pena ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p.

Il difensore presentava all'imputato regolare richiesta di pagamento degli onorari, quantificati nella somma complessiva di euro 595,00 oltre 10% per rimborso spese generali e IVA e CPA come per legge.

La richiesta rimaneva inevasa, per cui l'avv. Lupo chiedeva ed otteneva in data 10 giugno 2003 al Consiglio dell'Ordine degli avvocati il parere n. 1427/03 sulla base dell'allora vigente art. 82, primo comma, D.P.R. n. 115/2002, parere (il n. 1427/03 del 10 giugno 2003) che veniva reso per la richiesta somma di euro 595 oltre 10% per rimborso spese generali, IVA e CPA.

Sulla scorta di tale documentazione il difensore otteneva a suo favore in data 28 agosto 2003 dal Giudice di pace di Napoli l'emissione contro Mone Claudio di un decreto ingiuntivo (il n. 6848/03) per la somma complessiva di euro 701,16 (corrispondenti ad euro 595,00 oltre rimborso forfettario del 10%, IVA, CPA e rimborso diritti e spese pagate all'ordine professionale per euro 46,66).

In data 29 ottobre 1993 il suddetto decreto ingiuntivo veniva notificato al debitore Mone e, non opposto, diveniva esecutivo con decreto di esecutività del 12 gennaio 2004.

In data 8 marzo 2004 l'avv. Lupo notificava al Mone atto di precetto per la somma complessiva di euro 1.156,47 (di cui euro 701,16 per sorta portata dal d.i. 6848/03, euro 11,10 per interessi, euro 152,47 per spese, diritti e onorari come liquidati in decreto, euro 291,74 per diritti e onorari come da atto di precetto).

Veniva quindi attivata una procedura esecutiva mobiliare, che terminava il 12 maggio 2004 con un pignoramento che dava esito negativo.

Non avendo ottenuto alcun ulteriore riscontro da parte del debitore in data 3 giugno 2004 l'avv. Lupo avanzava, pertanto, al giudice del procedimento penale istanza di liquidazione ex art. 116 D.P.R. 115/02 chiedendo la corresponsione di complessivi euro 1.247,27 (di cui euro 595,00 per onorario difensore d'ufficio, euro 605,61 per rimborso procedura esecutiva ed euro 46,66 per spese e diritti rilascio parere di congruità, oltre IVA e CPA su euro 1200,61).

In data 10 giugno 2004 il Got che aveva emesso la sentenza liquidava al difensore istante la somma complessiva di euro 587,72 (di cui euro 517,06 per diritti e onorari, euro 50,00 per rimborso spese generali ed euro 20,66 per spese rimborsabili), oltre IVA e CPA.

Avverso tale decreto di liquidazione l'avv. Lupo proponeva in data 30 giugno 2004 la presente opposizione ex artt. 84 e 170 D.P.R. n. 115/02 lamentando (cfr. ricorso in atti):

a) la «mancata liquidazione dell'intero onorario ritenuto congruo dal Consiglio dell'Ordine e immotivatamente compresso dal Giudice»;

b) il «mancato rimborso dell'intera spesa sostenuta per il parere di congruità (ormai pacificamente riconosciuta al difensore da tutta la giurisprudenza emessa sul punto), che non si comprende per quale motivo sia stata ridotta quasi alla metà»;

c) la «mancata liquidazione delle spese sostenute dal difensore per portare a termine la procedura esecutiva fino al verbale di pignoramento negativo».

La sola doglianza sopra indicata sub b) appare, tuttavia, fondata.

Quanto alla lamentata «mancata liquidazione dell'intero onorario ritenuto congruo dal Consiglio dell'Ordine e immotivatamente compresso dal Giudice» va rilevato che, com'è pacificamente...

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