Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI CATANIA Sez. II, 12 novembre 2005, n. 1081. Pres. Pirrone - Est. Grasso - Carnemolla ed altra (avv. Picci) c. Iapichino (avv. Scorfani).

Canone - Patti contrari alla legge - Ripetizione delle somme - Termine semestrale di decadenzaEsercizio della relativa azione nel suddetto termine - Conseguenze - Ripetibilità dei canoni indebitamente corrisposti per l'intera durata del rapporto sino al rilascio - Esclusione - Prescrizione decennale - Opponibilità da parte del locatore - Sussistenza.

Il termine decadenziale di cui all'art. 79 L. n. 392/78 non ha il significato di consentire al conduttore di agire - entro sei mesi dal rilascio dell'immobile - per la ripetizione di quanto pagato al locatore in misura ultra-legale, anche per i canoni risalenti ad oltre 10 anni prima. (L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 79) (1).

    (1) La pronuncia in epigrafe si pone in netto contrasto con il principio accolto da Cass. 26 maggio 2004, n. 10128, in questa Rivista 2004, 689 con nota critica di F. PETROLATI, Sulla decadenza come termine favorevole al conduttore. Tale ultima sentenza - la quale per la prima volta ha affrontato la questione della compatibilità tra la decadenza stabilita dall'art. 79, comma 2, L. n. 392/78 (in tema di ripetizione del canone superiore a quello equo) con il termine ordinario di prescrizione - ha in particolare escluso che possa essere eccepita la prescrizione al conduttore che agisca per la ripetizione dell'indebito entro il termine semestrale di decadenza. In tale caso, secondo i giudici della S.C., il conduttore può recuperare tutto quanto indebitamente corrisposto nell'intera durata del rapporto sino al rilascio.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con ricorso depositato l'11 febbraio 2004, Carnemolla Michele e Albani Annalisa convenivano, dinanzi a questa Corte, Iapichino Angela, proponendo appello avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa, Sezione di Vittoria, dell'11 novembre 2003, la quale, pronunciando sulla domanda di ripetizione di somme pagate a titolo di canoni di locazione, proposta dalla Iapichino, locataria di un appartamento ad uso abitativo, aveva condannato gli odierni appellanti a corrispondere all'attrice, a titolo di differenza tra quanto dovuto e quanto corrisposto, l'importo totale di Euros 9.431,40, oltre a rifondere alla stessa le spese processuali.

Formulando diversi motivi di impugnazione, gli appellanti chiedevano che la corte di appello rigettasse la domanda proposta nei di loro confronti dall'attrice e condannasse quest'ultima a rifondere loro le spese dei due gradi del giudizio.

Costituitosi il contraddittorio, Iapichino Angela resisteva all'impugnazione proposta nei suoi confronti, chiedendone il rigetto, con la conferma della sentenza impugnata e la condanna degli appellanti alla rifusione, in suo favore, delle spese del nuovo grado del giudizio.

Con ordinanza del 17 marzo 2004 veniva negata inibitoria.

All'udienza del 24 ottobre 2005, dopo la discussione, la Corte pronunciava sentenza, dando lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con il primo motivo di appello, gli appellanti lamentano che il tribunale non abbia considerato operante la decadenza di cui all'art. 79 della L. n. 392/1978, anche a prescindere dalla riconsegna materiale dell'immobile; dovendo essa decorrere di già dalla manifestazione di volontà del conduttore di non volere più rinnovare il contratto.

La censura è infondata.

Invero, senza che il tenore della norma possa, sul punto, indurre perplessità di sorta, il termine decadenziale decorre solo dalla materiale ed effettiva riconsegna dell'immobile al locatore (Cass. III, 14 marzo 1995, n. 2936; Cass. n. 2071/1993).

L'eccezionalità della disposizione, poi, in ragione del complessivo favor della L. n. 392 cit. per il conduttore, non consente interpretazioni analogiche peggiorative della posizione di quest'ultimo.

Per ragioni di comodità espositiva conviene, a questo punto, prendere in esame il terzo motivo d'appello con il quale viene lamentata la mancata applicazione degli artt. 11, 2 e 2 bis, L. n. 359/1992.

Il motivo di cui detto è infondato.

Manca del tutto qualsivoglia elemento sulla base del quale possa sostenersi che le parti siano addivenute alla stipula di contratto in deroga. A bilanciamento del maggior sacrificio del conduttore, l'art. 11 della legge cit. impone al locatore di rinunziare alla facoltà di disdetta alla prima scadenza. Rinunzia che, nel caso in esame, nonostante gli sforzi espositivi degli appellanti, non è dato rinvenire affatto. Né può farsi passare per omologo della detta rinunzia la previsione, di cui alla L. n. 392/1978, di rinnovo tacito in assenza di espressa tempestiva disdetta; poiché, appunto, ciò è quanto la legge stessa concede, in ogni caso, al conduttore e non il frutto di una concessione del locatore.

Con il quarto motivo viene contestata la legittimazione passiva degli appellanti, stante che proprietario dell'immobile locato sarebbe Albani Matteo Emilio, padre dell'appellante Albani Annalisa, il quale, per Page 174 spirito di liberalità aveva inteso elargire alla figlia e al genero i canoni.

Anche il detto motivo non può essere accolto. È notorio che il diritto di locare non presuppone la proprietà della cosa.

Nel caso in esame dalle incontestate ricevute prodotte risulta inequivocamente che locatori erano gli appellanti. Né ciò può ritenersi incompatibile con il prospettato diritto di proprietà dell'Albani, il quale, proprio per le intime relazioni parentali, ha lasciato la titolarità del rapporto locatizio alla figlia e al genero. Quanto al fatto che durante la fase iniziale dello stesso Albani Annalisa non avesse ancora raggiunto la maggiore età risulta irrilevante per più ragioni. Fino al marzo 1990 (epoca nella quale la predetta era oramai maggiorenne), come si dirà immediatamente appresso, la pretesa restitutoria deve essere considerata prescritta. In ogni caso, in ragione della minore età, gli atti di gestione del rapporto locatizio dovevano necessariamente essere compiuti da uno degli esercenti la potestà genitoriale.

Con il secondo motivo di appello viene contestato il mancato accoglimento da parte del giudice di prime cure della sollevata eccezione di prescrizione decennale.

Questa censura appare fondata.

In primo luogo va osservato che corretto risulta il riferimento alla prescrizione ordinaria, trattandosi di ripetizione d'indebito (in tal senso Cass. 14 marzo 1995, n. 2936).

Secondo una corrente interpretativa, che ha trovato sostegno in elaborazioni dottrinarie e talune decisioni di merito e recente autorevole avallo in un primo pronunciamento della S.C. (Cass., III, 26 maggio 2004, n. 10128, in Foro it., 2004, I, 3087), il termine decadenziale di cui al citato art. 79 avrebbe il significato di consentire al conduttore di agire per la ripetizione, entro sei mesi dal rilascio, anche per i canoni risalenti ad oltre dieci anni prima; nel mentre la consumazione del detto termine semestrale non impedirebbe a costui di azionare pretesa ancora non prescritta. Si è soggiunto che una tale interpretazione discende dal favore del legislatore per la parte debole (il conduttore), in analogia alla normativa giuslavoristica: la predetta andava protetta, in costanza di rapporto, dal rischio delle «ritorsioni» del locatore, il quale, davanti alla giusta pretesa di veder rideterminato il canone secondo legge, avrebbe potuto impedire la tacita rinnovazione alla scadenza. Soluzione costituzionalmente orientata, poiché, in difetto, sarebbe apparso irragionevole la disparità di trattamento riservata alle pretese del conduttore, soggette alla decadenza rispetto a quelle del locatore, libere dal detto limite.

La Corte non condivide il riferito ragionamento. In primo luogo va osservato non potersi prescindere in maniera siffattamente vistosa dal contenuto letterale della disposizione, la quale, senza nulla aggiungere in ordine al decorso della prescrizione, si limita a sottoporre al detto termine decadenziale il diritto di ripetizione, da parte del conduttore di somme corrisposte contra legem.

Non secondario appare poi il rilievo, già evidenziato in dottrina, che i casi di sospensione del decorso della prescrizione sono tassativamente previsti e regolati dalla legge.

Non si mostra, in realtà, così convincente il parallelismo con la disciplina giuslavoristica. Invero, il rapporto locatizio in esame trovava garanzia di stabilità nell'art. 1 della legge cit., nel mentre, la rinnovazione tacita, in caso di mancata disdetta (art. 3), da sola, non aveva trasformato il rapporto a tempo indeterminato. Ora, la sospensione del decorso della prescrizione, come noto, opera in materia di lavoro, per intervento della Corte costituzionale (sent. n. 63 del 10 giugno 1966, n. 143 del 20 novembre 1969 e n. 174 del 12 dicembre 1972), solo per i rapporti cd. non a tutela reale. Né il diritto di disdetta, normativamente previsto (né poteva essere diversamente), può essere equiparato al licenziamento nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che, appunto, strutturalmente non ha prefissione di termine. Inoltre, va rilevato che il richiamo alla disciplina giuslavoristica, laddove voluto, risulta essere stato effettuato dal legislatore espressamente (cfr. art. 447 bis, c.p.c.).

Infine, non pare potersi condividere l'asserto secondo il quale l'interpretazione qui avversata sarebbe l'unica costituzionalmente compatibile. Il termine decadenziale avrebbe lo scopo di limitare drasticamente nel tempo il ricorso ad azioni che implicano il computo dei canoni attraverso l'utilizzo di parametri plurimi e complessi, evitando di lasciare per lungo tempo nell'incertezza la validità della convenzione negoziale. Lo stesso non pone un'irragionevole restrizione ai diritti del conduttore in relazione a quelli del locatore, per il quale non opera una tale preclusione. Difatti, come ha osservato la stessa Corte costituzionale (ordinanza di manifesta infondatezza n. 141/94, in Giust. civ. 1994, I, 1447), le...

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