Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine675-680

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@CORTE DI APPELLO DI CATANZARO Ord. 5 aprile 2006. Pres. ed Est. Zampi - Imp. X.

Misure cautelari personali - Custodia cautelare Pluralità di provvedimenti coercitivi emessi nei confronti di un medesimo imputato - Contestazioni "a catena" in caso di reati connessi - Retrodatazione del momento iniziale della misura a norma dell'art. 297 comma 3 c.p.p. anche per i reati non connessi - Necessità che gli elementi indiziari posti a base delle successive ordinanze risultassero già in atti al momento della emissione della prima ordinanza - Sussistenza.

L'intervento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 273 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi quando gli elementi posti a base della successiva ordinanza erano già presenti negli atti al momento della emissione della precedente ordinanza, impone di rivedere l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite in base al quale, in caso di connessione, la retrodatazione del momento iniziale della misura opera a prescindere dalla circostanza se gli elementi indiziari fossero o meno acquisiti agli atti), dovendosi ritenere che sia comunque imprescindibile, ai fini della applicazione della norma, la esistenza agli atti del procedimento degli elementi posti a base della successiva ordinanza cautelare sin dal momento della adozione della prima misura cautelare, sia in caso di connessione sia in caso di mancanza di connessione. (C.p.p., art. 273) (1).

    (1) Per utili riferimenti, si vedano: Corte Cost., 3 novembre 2005, n. 408, in questa Rivista 2006, 143 e Cass. pen., sez. un., 22 marzo 2005, Rahulia, ivi 2005, 574.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - La Corte, letta la istanza depositata il 3 aprile 2006 con la quale Mancuso Pantaleone, nato a Limbadi il 27 luglio 1961, appellante avverso la sentenza emessa il 15 marzo 2005 dal G.U.P. presso il Tribunale di Catanzaro, ha chiesto la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare; osserva quanto segue.

L'istanza è fondata sulla applicabilità del disposto di cui al terzo comma dell'art. 297 c.p.p.

Premette il Mancuso di essere stato attinto da ordinanza di custodia cautelare per il delitto di cui all'art. 629 c.p. in data 7 febbraio 2002 nell'ambito del procedimento n. 3755/01 R.G.N.R. Vibo Valentia e, successivamente, nell'ambito di altro procedimento (n. 3204/02 R.G.N.R. Catanzaro), da altra ordinanza di custodia cautelare dell'11 agosto 2003 per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. (oltre che per altri reati per i quali è tuttavia stato poi assolto e dei quali è quindi irrilevante trattare).

Il primo procedimento, dopo il rinvio a giudizio, è stato rimesso dal Tribunale di Vibo Valentia, con ordinanza ex art. 521 c.p.p., al P.M. presso il Tribunale di Catanzaro essendo emersa la sussistenza della aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203/91, e il prevenuto è stato rinviato a giudizio immediato con decreto del 7 luglio 2003, a seguito della richiesta di giudizio immediato formulata il 30 giugno 2003 (Proc. pen. n. 1433/03 R.G.N.R. Catanzaro).

Il secondo procedimento, nato autonomamente da una diversa indagine, è invece sfociato in una sentenza di condanna del Mancuso in primo grado alla pena di quattro anni di reclusione ed è ora pendente in fase di gravame, con udienza fissata per il 5 maggio 2006.

L'istante, richiamando la sentenza delle Sezioni

Unite della Corte di Cassazione del 22 marzo 2005 n. 21957, Rahulia, rileva che indubbiamente i due reati sono connessi e che ad essi va quindi applicato il disposto del terzo comma dell'art. 297 c.p.p. così come interpretato dalla Corte Suprema, ovvero nel senso che in caso di concorso formale, continuazione o connessione teleologica tra vari reati, la emissione di successive ordinanze cautelari per fatti commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza impone di retrodatare la custodia al momento iniziale di privazione della libertà personale, a prescindere dalla circostanza se vi fossero già in atti sin dall'inizio gli elementi per adottare le ulteriori misure coercitive.

In questo senso invoca la scarcerazione per decorrenza dei termini di fase in relazione anche alle indagini preliminari, «ora per allora».

Va sin da ora osservato che quest'ultimo profilo appare del tutto secondario, poiché, se fosse corretta la lettura invocata dall'istante, sarebbero decorsi anche i termini massimi di durata della custodia cautelare, coincidenti nel caso di specie con la entità della pena irrogata.

Il presupposto dal quale muove il Mancuso non può essere condiviso.

Infatti, dopo l'intervento delle Sezioni Unite è giunta la interpretazione elaborata dalla Corte Costituzionale, la quale ha offerto del terzo comma dell'art. 297 c.p.p. una lettura diversa e più restrittiva, che deve essere privilegiata.

Ed infatti è logico ritenere che se il giudice delle leggi avesse inteso adeguarsi alla ermeneusi del Supremo Collegio avrebbe preso atto del c.d. «diritto vivente» ed offerto una lettura in sintonia con quei prin-Page 676cipi, attraverso una sentenza interpretativa di rigetto oppure attraverso una sentenza di accoglimento che contenesse identiche affermazioni.

La diversa interpretazione data dalla Corte Costituzionale è invece lampante nel punto in cui la motivazione della citata sentenza dà ragione della pronuncia della Cassazione, ma significativamente esclude espressamente che quel principio possa essere equiparato al «diritto vivente», pur provenendo dal massimo consesso depositano dei compiti di monofilachia.

È allora evidente che la Corte Costituzionale ha inteso attribuire all'art. 297 comma 3 c.p.p. una portata diversa da quella fatta propria dalla Corte Suprema e, trattandosi di una declaratoria di illegittimità costituzionale, il principio espresso dal giudice delle leggi è vincolante per ciascun giudice.

La fondamentale differenza che si ravvisa tra le due opinioni consiste nel fatto che la Cassazione ha esteso la retrodatazione della custodia per i casi di contestazione a catena sulla base della semplice connessione tra i vari reati, «indipendentemente dalla possibilità di assumere dagli atti l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure» - con una evidente estensione pressoché indiscriminata della regola anche a reati assolutamente non conoscibili dal P.M. all'atto della adozione della prima misura cautelare -, mentre la Corte Costituzionale ha espressamente precisato che l'art. 297 comma 3 c.p.p. deve applicarsi anche (e soltanto) a fatti diversi non connessi, «quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza»: il punto essenziale da valutare, pertanto, non va identificato nella connessione, bensì nella esistenza agli atti processuali degli elementi necessari per la adozione del provvedimento coercitivo.

Ciò che, a ben guardare, opera un perfetto bilanciamento tra le...

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