Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine781-792

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@TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI TORINO Ord. 28 marzo 2007. Pres. Burzio - Est. Vignera - Imp. G.

Giudizio per decreto - Decreto di condanna - Nuova formulazione dell'art. 360, comma 5, c.p.p. - Norma sostanziale più favorevole al reo - Applicabilità della disciplina ai decreti penali divenuti esecutivi - Fondamento. Pena - Riabilitazione - Condizioni per la concessione - Decorrenza dei termini previsti dall'art. 460, comma 5, c.p.p. - Interesse ad ottenere la riabilitazione - Esclusione.

L'art. 460, comma 5, c.p.p., nel testo introdotto dall'art. 37, comma 2, lett. b), L. 16 dicembre 1999 n. 479 (in base al quale, nel caso di condanna inflitta con decreto penale divenuto esecutivo, il reato è estinto se, entro i termini previsti, l'imputato non commette altri reati) deve considerarsi norma sostanziale e, quindi, in quanto disposizione più favorevole al reo è applicabile pure ai decreti penali divenuti esecutivi prima dell'entrata in vigore della predetta L. n. 479/99. (C.p.p., art. 460) (1).

Poiché l'eliminazione di ogni effetto penale conseguente alla riabilitazione è del tutto equivalente a quella conseguente all'estinzione del reato per decorrenza dei termini previsti dall'art. 460, comma 5, c.p.p., non sussiste alcun interesse a richiedere la riabilitazione quando la pena sia stata applicata con decreto penale di condanna e siano utilmente decorsi i termini predetti. (C.p.p., art. 460; c.p.p., art. 179) (2).

    (1) Il prevalente orientamento giurisprudenziale, espresso dalle sentenze citate in motivazione, si pone in linea con quanto affermato dall'ordinanza in epigrafe. Unica voce dissenziente è costituita da Cass. pen. 11 aprile 2001, Papa, in questa Rivista 2001, 768.


    (2) In argomento si veda Trib. sorv. Napoli 12 dicembre 2002, in Juris Data n. 5/2006, secondo cui, poiché la riabilitazione può essere richiesta soltanto decorsi cinque anni dal momento in cui è stata eseguita la pena principale, allo scadere del termine quinquennale, se si è verificato l'altro requisito richiesto dalla legge per ottenere la pronuncia di riabilitazione (quello della buona condotta), risulterà in ogni caso integrata la fattispecie estintiva di cui all'art. 460, comma 5, c.p.p. Pertanto, poiché l'estinzione del reato nel termine prescritto dalla legge al verificarsi delle condizioni in essa dettate è in tutto equivalente alla eliminazione di ogni effetto penale della condanna derivante dalla riabilitazione, sarà sufficiente a sortire l'effetto richiesto una declaratoria di estinzione da parte del giudice dell'esecuzione, cui l'istanza dovrà essere inoltrata.


IN DIRITTO. 1. - La riabilitazione nella fattispecie è stata richiesta, anzitutto, in ordine ad un decreto penale di condanna emesso dal Pretore di Tortona il 25 gennaio 1992 e divenuto esecutivo in data 16 maggio 1992.

1.2. - L'art. 460, comma 5, c.p.p. [nel testo novellato dall'art. 37, comma 2, lett. b), della legge 16 dicembre 1999 n. 479], dopo aver previsto che, nel caso di condanna inflitta con decreto penale divenuto esecutivo, il reato è estinto qualora, entro i termini stabiliti, il condannato non commetta altri reati, prevede pure che «in questo caso si estingue ogni effetto penale della condanna».

1.3. - Secondo Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 2001, n. 15038, Papa (in Cass. pen. 2002, 1738) «L'art. 460, comma 5, c.p.p., nel testo introdotto dall'art. 37 comma 2 lett. b) L. 16 dicembre 1999 n. 479 - in base al quale, tra l'altro, nel caso di condanna inflitta con decreto penale divenuto esecutivo, il reato è estinto se, entro i termini previsti, l'imputato non commette altri reati - è soggetto, in quanto norma processuale, alla regola del tempus regit actum. Esso non può, quindi, trovare applicazione con riguardo a decreti penali divenuti esecutivi prima dell'entrata in vigore della citata L. n. 479/99».

1.4. - Codesto insegnamento, tuttavia, non appare condivisibile perché contrasta con il criterio discretivo tra norma sostanziale e norma processuale enucleabile dalla giurisprudenza di legittimità complessivamente considerata.

In base a tale giurisprudenza, invero, la natura processuale o sostanziale di una norma penale non può essere desunta unicamente dalla sedes materiae, dovendosi invece considerare anche (e soprattutto) il suo effettivo contenuto.

Più esattamente, si considera norma penale sostanziale quella, il cui contenuto incida direttamente sul precetto o sulla sanzione e, quindi, sulla sostanza del reato.

In questa prospettiva, in particolare, va assegnata natura sostanziale alla norma «che incide sulla sussistenza stessa del reato, del quale può comportare l'estinzione» (così, tra le più recenti, la parte motiva di Cass. pen., sez. I, 30 novembre 2005, n. 47291, De Filippo).

1.5. - Alla stregua di tale ultimo criterio va riconosciuta natura sostanziale pure all'art. 460, comma 5, c.p.p. nel testo novellato dall'art. 37, comma 2, lett. b), della legge 16 dicembre 1999 n. 479, la cui incidenza prevalente è stata (per l'appunto) quella di introdurre nel sistema un'ulteriore causa di estinzione del reato.

Trattandosi di norma sostanziale, quindi, rispetto ad essa trova applicazione il principio del favor rei po-Page 782sto all'art. 2, comma 3, c.p. in materia di successione di leggi penali nel tempo, quale deroga al principi fissato dall'art. 11, comma 1, delle preleggi.

1.6. - Codesta impostazione, del resto trova riscontro nel più recente orientamento della Suprema Corte, la quale («bloccando» la via inizialmente tracciata da Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 2001, n. 15038, Papa) ha affermato: «L'art. 460 c.p.p., comma quinto - il quale, nel testo novellato dall'art. 37, comma secondo, lett. b), della legge 16 dicembre 1999 n. 479, prevede che nel caso di condanna inflitta con decreto penale divenuto esecutivo, il reato è estinto qualora, entro i termini stabiliti, il condannato non commetta altri reati trova applicazione, trattandosi di norma da considerare di natura sostanziale, anche con riguardo a decreti divenuti esecutivi prima dell'entrata in vigore della novella, ed i termini anzidetti decorrono, anche in tale ipotesi, dalla data dell'esecutività» (così Cass. pen., sez. V, 20 maggio 2004, n. 27988, Makbule, in Arch. nuova proc. pen. 2005, 514; nello stesso senso v. Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 9898, Pacini, ivi 2004, 236; Cass. pen., sez. I, 14 gennaio 2005, n. 2907, Di Vincenzo, ivi 2006, 3, 330).

1.7. - Posta (come testè dimostrato) l'applicabilità nella fattisecie dell'art. 460, comma 5, c.p.p., nel testo novellato dall'art. 37, comma 2, lett. b), della legge 16 dicembre 1999 n. 479, si rileva che il condannato non ha commesso altri reati nel termine stabilito dalla norma suindicata.

Conseguentemente, l'istanza di riabilitazione in parte qua è inammissibile per carenza di interesse, atteso che l'eliminazione di ogni effetto penale, che ad essa conseguirebbe ex art. 178 c.p., è in tutto equivalente a quella già derivante dall'estinzione del reato ex art. 460, comma 5, c.p.p. nel testo oggi vigente (la cui pronuncia ricognitiva è demandata al giudice dell'esecuzione ex art. 676 c.p.p.). (Omissis).

@TRIBUNALE DI FERMO 12 marzo 2007, n. 82. Est. Fanuli Imp. Bonifazi.

Indagini preliminari - Attività ad iniziativa della polizia giudiziaria - Documentazione dell'attivitàAnnotazione di dichiarazioni rese oralmente da persona informata sui fatti - Violazione dell'obbligo di verbalizzazione - Inutilizzabilità patologica - Esclusione - Acquisizione dell'annotazione su accordo delle parti - UtilizzabilitàAmmissibilità - Fattispecie.

La violazione dell'obbligo di verbalizzare le dichiarazioni di persone informate sui fatti, ricevute da appartenenti alla P.G., non determina l'inutilizzabilità patologica dell'annotazione di servizio in cui dette dichiarazioni siano state riportate. Né varrebbe invocare, in contrario, il divieto di testimonianza indiretta della P.G., atteso che tale divieto, dettato per il dibattimento a tutela del contraddittorio, e derogabile su accordo delle parti, è presieduto dalla più circoscritta sanzione della inutilizzabilità fisiologica. Ne consegue la piena utilizzabilità dell'annotazione di P.G. in cui siano riportate le dichiarazioni direttamente percepite da appartenenti di P.G. nel caso in cui detta annotazione sia stata acquisita su accordo delle parti. (Fattispecie in cui è stata ritenuta corretta la decisione del giudice di pace che aveva utilizzato, ai fini della prova, le dichiarazioni rese subito dopo i fatti della figlia della vittima, non verbalizzate dalla P.G. intervenuta, ma riportate nel corpo della relazione di servizio, acquisita su accordo delle parti, in assenza di richieste di escussione della fonte diretta). (C.p.p., art. 191; c.p.p., art. 195; c.p.p., art. 351; c.p.p., art. 357; c.p.p., art. 493; D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, art. 29) (1)

    (1) In argomento si veda Cass. pen., sez. IV, 24 gennaio 1997, Persichino, in questa Rivista 1997, 506, per la quale gli atti di polizia giudiziaria - in particolare quelli indicati nell'art. 351 c.p.p. - che risultano documentati in forme diverse da quelle prescritte (con annotazione, anziché con verbalizzazione) possono essere utilizzati nella fase delle indagini preliminari per essere posti a fondamento di provvedimenti cautelari o di altri atti che trovino la loro collocazione nell'ambito della medesima fase di indagine. Viceversa, ogni possibilità di utilizzazione in fase di dibattimento delle acquisizioni assunte nel corso delle indagini preliminari è direttamente collegata all'osservanza delle formalità di documentazione prescritte per la P.G. dall'art. 357, comma secondo, c.p.p.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza n. 105/2005 pronunziata mediante pubblica lettura del dispositivo all'udienza del 15 luglio 2005 il Giudice di pace di Fermo dichiarava Bonifazi Patrizio colpevole del reato ascrittogli e, in concorso di attenuanti generiche, lo condannava alla pena di...

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