Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine49-80

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 30 ottobre 2008, n. 40534 (c.c. 14 ottobre 2008). Pres. Fazzioli - Est. Granero - P.M. Ciampoli (diff.)Ric. Gaslini

Reato - Reato continuato - Unicità del disegno criminoso - Stato di tossicodipendenza - Rilevanza - Limiti.

In tema di applicazione della disciplina del reato continuato in fase esecutiva, lo stato di tossicodipendenza non è di per sé elemento decisivo ai fini della valutazione dell'unitarietà del disegno criminoso costituente l'indispensabile condizione per la configurabilità della continuazione, dovendo sussistere comunque il requisito della preventiva deliberazione a delinquere che unifica l'ideazione dei reati prima della loro commissione. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 671) (1).

    (1) Conformemente si vedano Cass. pen., sez. I,8 marzo 2007, Greco, in questa Rivista 2008, 216 e Cass. pen., sez. V, 7 dicembre 2006, Bonaffini, ivi 2008, 675. Si veda, infine, Cass. penj., sez. I, 30 novembre 2006, Vurro, ivi 2008, 675, secondo cui la disposizione relativa alla valutazione dell'incidenza sulla disciplina del reato continuato dello stato di tossicodipendenza, non va interpretata nel senso che tale stato debba necessariamente essere ritenuto decisivo ai fini del riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso, ma nel senso che il giudice non può omettere di valutarlo ove esso sia allegato dall'interessato o emerga dagli atti.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorso censura l'ordinanza in epigrafe, che ha accolto solo parzialmente la richiesta di applicazione della continuazione a vari reati per i quali è intervenuta condanna come da sentenze indicate in atti.

I motivi non possono essere accolti, perché il ragionamento del giudice dell'esecuzione appare corretto e condivisibile, in quanto il medesimo disegno criminoso deve far parte di un originario e predisposto piano di azione, come tale non affidato ad occasionali, estemporanei, improvvisi propositi. Inoltre, lo «stile di vita» del tossicodipendente è piuttosto indice di una tendenza a delinquere che non una automatica espressione di una volizione di più intenti criminosi. Lo stato di tossicodipendenza, dunque, non si identifica di per sé con l'elemento soggettivo della unicità del disegno criminoso, ma occorre dimostrare che l'uso della droga abbia concretamente determinato il soggeto ad un programma criminoso precisamente definito nella sua completa iterazione.

Trattasi dei principi dei quali l'ordinanza impugnata ha fatto buon uso e che non vengono in alcun modo scalfiti dalle censure mosse in ricorso.

Le pronunce accessorie vanno emesse ex lege. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 28 ottobre 2008, n. 4008 (ud. 24 settembre 2008). Pres. Bardovagni - Est. Cassano - P.M. (...) - Ric. Confl. comp. in proc. Calabria

Giudizio per decreto - Opposizione - Richiesta di patteggiamento - Mancata notificazione della richiesta e del decreto del Gip al P.M. per il consenso - Conseguenza.

Qualora l'imputato, dopo avere proposto opposizione al decreto penale di condanna chiedendo l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., non provveda alla notificazione al pubblico ministero della suddetta richiesta e del decreto con cui il giudice per le indagini preliminari fissa il termine per la manifestazione del consenso al patteggiamento, il Gip deve emettere decreto di giudizio immediato. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 444; c.p.p., art. 464) (1).

    (1) Con la sentenza in epigrafe, relativamente alla quale non risultano editi precedenti, la Suprema Corte ha colmato, in via interpretativa, una lacuna presente nel codice di rito.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Il 13 ottobre 2007 Michele Calabria, con l'atto di opposizione al decreto penale di condanna, emesso dal Gip del Tribunale di Nola il 26 luglio 2007, chiedeva l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Il 15 ottobre 2007 il Gip del Tribunale di Nola stabiliva, ai sensi degli artt. 461 e 464 c.p.p., il termine (5 novembre 2007) entro il quale il pubblico ministero poteva esprimere il consenso e disponeva che il provvedimento venisse notificato alla procura della Repubblica a cura dell'opponente.

Michele Calabria non provvedeva alla disposta notifica del decreto al pubblico ministero e, di conseguenza, il termine concesso decorreva senza che venisse acquisito il prescritto parere dell'ufficio di procura.

Il 10 dicembre 2007il Gip, preso atto della mancanza del consenso del pubblico ministero, emetteva decreto di giudizio immediato dinanzi al Tribunale di Nola in composizione monocratica.

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  1. - Il tribunale, in accoglimento di eccezione formulata dalla difesa dell'imputato, disponeva la restituzione degli atti al Gip, evidenziando che non era stato evaso la richiesta di patteggiamento o che, in ogni caso, non risultava agli atti il dissenso del pubblico ministero.

  2. - Con ordinanza del 9 maggio 2008 il Gip del Tribunale di Nola sollevava conflitto negativo di competenza e disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte, sul rilievo che il provvedimento del tribunale determinava un'indebita regressione del processo, correttamente instaurato con il decreto di giudizio immediato.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il conflitto sussiste, in quanto due giudici ordinari contemporaneamente ricusano la cognizione del medesimo fatto loro deferito, dando così luogo a quella situazione di stallo processuale, prevista dall'art. 28 c.p.p., la cui risoluzione è demandata a questa corte dalle norme successive.

  3. - Il conflitto deve essere risolto con la dichiarazione di competenza del Tribunale di Nola.

    Il codice di rito non disciplina espressamente il caso oggetto del presente giudizio e, in particolare, le conseguenze derivanti dalla mancata acquisizione del prescritto consenso del pubblico ministero a seguito di inerzia dell'imputato cui il giudice, investito della richiesta di applicazione concordata della pena ex art. 444 c.p.p. in sede di opposizione al decreto penale di condanna, abbia prescritto gli adempimenti previsti dall'art. 464, secondo periodo, c.p.p.

    La questione deve essere affrontata, avendo riguardo, da un lato, ai principi generali del codice di rito e, dall'altro, alla corretta interpretazione logica-sistematica degli artt. 461 e 464 c.p.p.

    Sotto il primo profilo la Corte osserva che i casi di regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari sono del tutto eccezionali e non possono essere estesi analogicamente a situazioni, come quella in esame, non espressamente previste dalla legge (cfr., sia pure con riferimento ad una differente fattispecie, Cass., sez. III, 14 giugno 1994, n. 1395, Cavallo, che ha ritenuto abnorme la regressione del processo alla fase delle indagini preliminari nel caso di opposizione con richiesta di oblazione, essendo stati ritenuti necessari accertamenti sui presupposti dell'oblazione).

    Relativamente al secondo aspetto, occorre osservare che, ai sensi dell'art. 461, comma quinto, c.p.p., il giudice può ordinare l'esecuzione del decreto penale di condanna solo qualora l'opposizione non sia proposta ovvero venga dichiarata inammissibile (Cass., sez. III, 22 giugno 1999 n. 2324, Marrocco). Peraltro, l'ambito applicativo di tale disposizione non può essere esteso, facendo ricorso a non consentite forme di interpretazione analogica o estensiva, a situazioni diverse, non espressamente prese in considerazione dal legislatore, come quella in esame in cui la persona legittimata ha ritualmente proposto opposizione nel rispetto di quanto stabilito dagli artt. 461, commi primo, secondo, terzo, c.p.p. e ha contestualmente formulato una richiesta di applicazione concordata della pena (art. 444 c.p.p.) rimasta senza esito a causa dell'inerzia dell'opponente che non ha proceduto agli incombenti previsti dall'art. 464, parte seconda, c.p.p. (notifica al pubblico ministero della richiesta ex art. 444 c.p.p. e del decreto del Gip di fissazione del termine per l'acquisizione del prescritto parere dell'ufficio di procura).

    La questione deve essere correttamente inquadrata facendo ricorso ai principi elaborati, con riferimento all'art. 448 c.p.p., della giurisprudenza di legittimità che, relativamente agli effetti del dissenso manifestato dal pubblico ministero e alle valutazioni del giudice in ordine alla non congruità della pena, ha costantemente affermato che, in questi casi, il processo non regredisce alla fase delle indagini preliminari, ma segue il suo corso ordinario con l'unica conseguenza che l'imputato ha la possibilità di rinnovare la richiesta (Cass., sez. III, 20 settembre 1999, n. 2324, Marrocco, RV 214795 in tema ipotesi di rifiuto da parte del giudice di applicazione della pena richiesta per ritenuta incongruità; Cass., sez. IV 16 gennaio 2002, Pagliarini, RV 220796; Cass., sez. III, 5 dicembre 2002, Saviano, RV 223537).

    In coerenza con tale impostazione si è affermato che, qualora in sede di opposizione a decreto penale di condanna, l'imputato formuli istanza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 563 c.p.p., indicando la sanzione in misura inferiore al minimo edittale previsto per il reato contestato, il giudice non può ordinare l'esecuzione del decreto penale, rideterminando la pena in misura ritenuta congrua, in quanto in tal modo verrebbe implicitamente a dichiarare inammissibile l'opposizione ai sensi dell'art. 461, comma quinto, ed al di fuori dei casi previsti dalla legge. In tale ipotesi si è affermato che, nella mancanza del consenso del pubblico ministero, il giudice deve emettere decreto di giudizio immediato ai sensi dell'art. 464, comma primo, c.p.p. (cfr. Cass., sez. VI, 11 maggio 1999, n. 1740, RV 214510). Analogamente, nel caso in cui venga respinta, per ragioni di merito, la richiesta di applicazione della pena, questa Corte ha stabilito che il giudice non può ordinare l'esecuzione del decreto, ma deve emettere il decreto di giudizio immediato, atteso che esso costituisce l'esito necessario dell'opposizione, quando difettino i presupposti...

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