Giurisprudenza di legittimitá

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine603-631

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. trib., 9 agosto 2007, n. 17526. Pres. Paolini - Est. Cicala - P.M. Nardi (diff.) - G.M. (avv. Coen) c. Ente Aziendale Multiservizi Ambientali AMAV (avv. Paoletti).

Tributi degli enti pubblici locali - Tassa sui rifiuti solidi urbani - Tariffa di igiene ambientale - Atto a mezzo del quale il gestore del Servizio ne richiede al contribuente il pagamento - Natura - Atto amministrativo impositivo - Requisiti sostanzialiIndicazione.

Gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di Tariffa di Igiene Ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono - perciò - rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti per cui, in primo luogo debbono - al fine di consentire l'esercizio da parte del destinatario del diritto di difesa - enunciare, anche in forma sintetica, purché chiara, sia la fonte della richiesta sia gli elementi di fatto e di diritto che la giustificano, anche sotto il profilo quantitativo. (D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49) (1).

    (1) Importante decisione, che non mancherà di avere anche importanti effetti sul piano pratico. Non risultano precedenti che abbiano affrontato il problema negli esatti termini.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con ricorso depositato il 30 luglio 1999, la sig.ra G.M., comproprietaria di un complesso residenziale in (Omissis), composto da 35 unità immobiliari in locazione a terzi, impugnò la fattura emessa a suo carico dalla spa AMAV, relativa al pagamento della tariffa di igiene ambientale (Tia) per la raccolta dei rifiuti nell'anno 1999, deducendo che: l'atto era nullo per difetti di forma; la pretesa era illegittima nei suoi confronti, essendo tenuti al pagamento gli inquilini del condominio - agevolmente individuabili attraverso la registrazione dei contratti di locazione -; l'unità immobiliare interessata non era stata indicata così da consentire la verifica della superficie effettivamente assoggettabile alla Tia.

1.1. La Commissione tributaria provinciale di Venezia, con sentenza n. 155 del 2000, superata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla spa AMAV, accoglieva il ricorso, sotto il profilo che, in difetto di prova del contrario, l'obbligo del pagamento non potesse gravare su un soggetto che non occupava direttamente gli immobili.

1.2. La Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza indicata in epigrafe, superata ancora la questione di giurisdizione, accoglieva l'appello della società, avendo ritenuto la proprietaria degli appartamenti soggetta alla tassa in quanto i locali, arredati e locati per brevi periodi, andavano assimilati, quanto all'obbligo fiscale per la raccolta dei rifiuti, all'albergo o alla pensione.

  1. - Per la Cassazione ha proposto ricorso, notificato il 3 giugno 2003, la sig.ra G.M., con tre motivi illustrati da memoria.

    2.1. L'intimata, cui era subentrata, a seguito di estinzione per fusione, la spa Vesta, si è costituita con procura speciale notarile.

    2.2. La Sezione tributaria, con ordinanza resa all'udienza dell'8 novembre 2004, ha disposto rinnovarsi la notifica del ricorso, e, questa eseguita, la Vesta spa si è costituita con rituale controricorso, formulando altresì ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

    2.3. La ricorrente principale ha resistito con controricorso.

    2.4. All'esito della successiva udienza, la stessa Sezione, con ordinanza 13082 del 15 aprile-17 giugno 2005, riuniti i ricorsi, dopo aver respinto l'istanza della contribuente, di revoca della precedente ordinanza, ha rimesso gli atti alle Sezioni unite, in relazione alla questione di giurisdizione, sollevata col ricorso incidentale.

    2.5. Le parti hanno depositato memorie ulteriori.

    2.6. Con sentenza n. 4895 del giorno 8 marzo 2006 le Sezioni unite di questa Corte, disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, dichiaravano manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata contro il D.L.vo n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, così come integrato dalla L. n. 248 del 2005, nella parte in cui riconduce alla giurisdizione tributaria «le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani...» in relazione all'art. 102 Cost., e della 6ª disposizione transitoria della Costituzione, che vietano l'istituzione di «nuovi» giudici speciali, in quanto i «canoni» indicati nella disposizione sopravvenuta attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria. Per l'effetto dichiaravano la giurisdizione del giudice tributario e rimettevano la controversia avanti alla quinta sezione della Corte per la decisione degli ulteriori profili.

    Con memoria 23 febbraio 2007, la sig.ra G. depositava la sentenza 5 febbraio 2002 n. 82/27/01 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.

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    MOTIVI DELLA DECISIONE. 3. - Si deve preliminarmente osservare che la sentenza 82/27/01 del 5 febbraio 2002 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto non può assumere efficacia di giudicato «esterno» nel presente processo, in quanto relativa ad altre annualità di imposta (tra l'altro in cui era applicabile la TARSU e non la TIA), ed a questioni (in primis la validità dell'atto di accertamento) che non si presentano con identici profili in relazione alle diverse annualità.

  2. - Occorre, dunque procedere all'esame dei tre motivi dedotti dalla ricorrente principale come di seguito riportati.

    4.1. Denunciando «l'art. 360 c.p.c.: violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.)», la ricorrente principale censura la sentenza, per non avere esaminato le domande ed eccezioni espressamente riproposte - e non esaminate già in primo grado, perché ritenute assorbite -: in particolare, per omessa pronuncia sulla eccezione di carenza dei requisiti di trasparenza e determinatezza dell'atto impositivo.

    4.2. Deducendo «art. 360 c.p.c., n. 5): violazione dell'obbligo di motivazione su un punto decisivo della controversia», la stessa si duole che l'equiparazione al gestore di alberghi ed affittacamere, ai fini della sottoposizione alla tariffa, sia mancata in concreto di ogni verifica, possibile attraverso il ricorso ai poteri istruttori previsti nel D.L.vo n. 546 del 1992, art. 7.4.3. Col terzo motivo di ricorso, infine «art. 360 c.p.c., n. 3): violazione e falsa applicazione del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, in materia di soggetto passivo della tariffa di igiene ambientale (Tia)», la contribuente, denuncia l'erroneità del criterio analogico, impiegato ai fini dell'equiparazione alle attività di albergatore ed affittacamere, poiché il citato art. 49, individua l'unico soggetto passivo del tributo nell'utilizzatore dei locali.

    5.1. Il Collegio ritiene fondato il primo motivo di ricorso.

    Le oscillazioni della disciplina legislativa della così detta «Tassa rifiuti» ora denominata «Tariffa» suscita delicati problemi di coordinamento, in quanto le controversie relative ad un'entrata cui è stata attribuita un'apparenza privatistica vengono sottoposte al giudice tributario, che gestisce un processo costituito secondo lo schema dell'impugnazione di atti amministrativi, che contengono (o sono strumentali ad) una pretesa pecuniaria di natura pubblicistica.

    Questo carattere del processo tributario emerge ad esempio dal D.L.vo n. 546 del 1992, art. 21, che impone al contribuente di agire in giudizio entro un termine assai breve che decorre dalla notificazione della pretesa impositiva. La brevità di questo termine si giustifica proprio con l'esigenza di attribuire stabilità al sistema delle entrate pubbliche sottraendole al maggiore margine temporale di incertezza - almeno normalmente - proprio del contenzioso fra privati; per converso qualifica anche l'atto attraverso cui la pretesa si manifesta, attribuendogli caratteri pubblicistici, e sottoponendolo ai relativi conseguenti requisiti.

    Assume, in proposito, forse un rilievo minore il primo comma del D.L.vo n. 546 del 1992, art. 19, dal momento che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto come l'elencazione contenuta in tale comma non abbia natura tassativa, o quanto meno debba essere interpretata con considerevole ampiezza (tanto da comprendervi appunto gli atti, apparentemente privatistici, con cui viene richiesta la TIA). Il citato D.L.vo n. 546 del 1992, art. 19 concorre dunque a delineare la natura dell'atto impugnato nel processo tributario soprattutto con il suo comma 2, in cui disciplina taluni profili formali cui deve rispondere tale atto (lasciando ovviamente aperta la questione delle conseguenze che si determinano ove tali formalità non siano rispettate). Anche simili prescrizioni costituiscono per altro un tassello delle connotazioni pubblicistiche dell'atto con cui la pretesa impositiva viene portata a conoscenza del privato.

    Il giudizio circa una pubblica pretesa costituisce dunque elemento caratterizzante del contenzioso tributario (ordinanza n. 8956 del 16 aprile 2007 delle S.U.). E quando il legislatore colloca un'entrata all'interno del sistema processuale tributario, è da presumere che - in ossequio all'art. 102 Cost., - abbia ravvisato il carattere tributario della pretesa stessa (o comunque una stretta connessione ed assimilabilità della pretesa alla materia tributaria).

    Mentre non è vero il contrario: non essendo la giurisdizione tributaria una giurisdizione costituzionalmente garantita, il legislatore può devolvere problematiche di carattere tributario (o para tributario) ad altra giurisdizione.

    È quel che è accaduto, almeno secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte, con la trasformazione della TARSU in TIA; secondo le SS.UU. le disposizioni di «privatizzazione» della TARSU hanno infatti trasferito - in un primo momento cioè fino alla emanazione della L. n. 248 del 2005 - al giudice ordinario il relativo contenzioso.

    Questa circostanza non ha però...

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