Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine317-337

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 6 febbraio 2008, n. 6002 (ud. 8 novembre 2007). Pres. Rizzo - Est. Tavassi - P.M. Meloni (diff.) - Ric. Bracchi ed altri

Difesa e difensori - Garanzie di libertà - Perquisizioni e sequestri - Modalità.

L'avviso al Consiglio dell'Ordine Forense territorialmente competente previsto dall'art. 103, terzo comma, c.p.p. (la cui omissione è sanzionata da una esplicita e tassativa nullità) è dovuto sia nel caso in cui il titolare dello studio legale all'interno del quale debbano essere eseguite operazioni di perquisizione, ispezione e sequestro non sia ancora iscritto nel registro degli indagati (a nulla rilevando che l'iscrizione intervenga in data successiva), sia nel caso in cui lo studio legale risulti cointestato anche ad altro avvocato non coinvolto nelle indagini. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 103) (1).

    (1) In argomento si vedano Cass. pen., sez. II, 2 dicembre 1998, Benini, in questa Rivista 1999, 202, per la quale, nel caso di sequestro da eseguirsi nell'ufficio di un difensore, qualora il mezzo di ricerca della prova venga disposto nell'ambito di un procedimento relativo ad un reato attribuito al difensore medesimo, non è necessario l'avviso al Consiglio dell'ordine forense di cui al terzo comma dell'art. 103 c.p.p., e ciò in quanto nella predetta ipotesi, atteso che il soggetto attivo del reato non è la persona assistita bensì una persona che esercita la professione legale, non viene in rilievo la tutela della funzione difensiva e dell'«oggetto della difesa», cui è finalizzata la disposizione in esame, e Cass. pen., sez. V, 12 settembre 2003, Daccò Galasso, ivi 2005, 375, secondo cui le perquisizioni, le ispezioni ed i sequestri da compiere nell'ufficio di un avvocato non devono essere preceduti dal predetto avviso al consiglio dell'ordine forense per gli adempimenti concernenti i difensori, quando la persona soggetta all'indagine sia lo stesso professionista, e non venga dunque in rilievo l'attività defensionale da questi svolta in favore di altri. In dottrina, v. G. DE PIETRO, Ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici dei difensori secondo l'articolo 103 del codice di procedura penale, ivi 1993, 661.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con decreto del Gip del Tribunale di Cremona, emesso in data 19 marzo 2007 ed eseguito in data 28 marzo 2007, veniva disposto il sequestro preventivo avente ad oggetto i beni mobili appartenuti allo studio professionale del dott. Bracchi, nei confronti di Bracchi Italo, Bracchi Simona e Azzini Alfredo, indagati per i reati di cui agli artt. 81 cpv. e 646 c.p. i primi due e per i reati di cui agli artt. 81 cpv. e 648 c.p. l'ultimo.

Il Tribunale di Cremona, in composizione collegiale in funzione del Tribunale del riesame, in data 6 aprile 2007 confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip e condannava i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

In data 4 maggio 2007, i difensori di fiducia degli imputati, avv. Francesco Arata, avv. Antonella Zoni del foro di Milano, e avv. Cesare Gualazzini del foro di Cremona, proponevano ricorso per cassazione, articolando i motivi che in seguito saranno esaminati. All'udienza odierna, dell'8 novembre 2007, veniva avanzata istanza di riunione del presente procedimento con altro ricorso proposto avverso l'ordinanza del Gip del Tribunale di Cremona, per il quale non era stata ancora fissata udienza di trattazione. La Corte ritenuto che non sussistessero ragioni di connessione fra i due procedimenti e che le diverse modalità e fasi di trattazione dei medesimi sconsigliassero la riunione, rigettava l'istanza e dava corso alla discussione.

Il P.G. presso questa Corte ed il difensore, presente per tutti e tre gli indagati, rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe.

Nel ricorso congiunto proposto i difensori degli indagati deducevano, come primo motivo di gravame, la violazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. per erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. in relazione all'art. 646 c.p. con riferimento all'insussistenza del fumus commissi delicti.

La difesa riassumeva l'intera vicenda processuale ricordando che questa aveva avuto inizio in seguito alla querela di Lazzarinetti Adriano in data 5 febbraio 2007 in cui si assumeva che questi aveva subìto una procedura di pignoramento in data 19 dicembre 2006, ma che, attesa l'insufficienza dei beni presenti nella sua abitazione, il Lazzarinetti stesso aveva indicato all'Ufficiale Giudiziario i beni che corredavano lo studio associato Bracchi/Lazzarinetti. A seguito dell'infruttuoso accesso dell'UG, il Lazzarinetti aveva appreso che tutti i beni mobili dello studio erano stati venduti a sua insaputa senza che ne fosse stato edotto della destinazione o dell'utilizzo.

Secondo il Lazzarinetti la vendita dei beni mobili dello studio associato sarebbe stata frutto di iniziative personali e non autorizzate dell'ex socio, Prof. Bracchi, ai danni oltre che dei creditori anche di sè medesimo. Il Lazzarinetti contestava quindi al Bracchi, al di lui socio all'epoca dell'atto di vendita, Dr. Azzini Alfredo, ed a Bracchi Simona il reato di appropriazione indebita.

Per la difesa, la complessa motivazione dell'ordinanza oggetto di gravame rendeva evidente già di per sè l'assenza dei presupposti che avrebbero consentito l'adozione della misura cautelare reale.

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La difesa sottolineava i punti salienti dei fatti oggetto del presente procedimento, ricordando che l'associazione professionale Bracchi/Lazzarinetti all'atto dello scioglimento versava in una gravissima esposizione debitoria, che di tale situazione debitoria si era fatto carico il solo prof. Bracchi, essendo il di lui ex socio Lazzarinetti in stato di custodia cautelare e che lo stesso tribunale aveva dato atto che il Bracchi aveva fatto fronte alle passività dello studio associato; questo comportamento avrebbe determinato l'insussistenza delle ipotesi d'accusa.

Pur tuttavia, il tribunale non aveva ritenuto soddisfacente la documentazione in merito, fornita dalla difesa.

In particolare il tribunale sosteneva come mancasse la prova che le somme corrisposte quale corrispettivo per la vendita degli immobili fossero state utlizzate effettivamente per il soddisfacimento delle sole ragioni creditorie che si riferivano alla specifica attività svolta dallo studio associato Bracchi/Lazzarinetti.

Ricordava la difesa dei ricorrenti che della procedura di liquidazione si era fatto carico il solo Bracchi e che si era trattato di procedura di liquidazione a debito, in contrasto con la ripartizione in bonis su cui la pubblica accusa aveva fondato l'ipotesi di delitto consentita. Sosteneva che non era configurabile l'elemento dell'interversio possessionis poiché il Bracchi aveva operato con l'animus del liquidatore, ciò che avrebbe generato al più un rapporto di natura meramente obbligatoria con il Lazzarinetti, che avrebbe potuto richiedere una rendicontazione delle attività compiute e solo in seguito ad essa procedere ad eventuali rilievi.

Evidenziava in ultimo che il ricavato della vendita dei beni mobili posti sotto sequestro preventivo, lungi dall'aver rappresentato l'oggetto materiale di una condotta appropriativa ad opera del Bracchi, era stato destinato in via esclusiva a far fronte alla esposizione debitoria dello studio professionale.

Come secondo motivo di gravame, la difesa deduceva la violazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. per erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. in relazione alla sussistenza del periculum in mora.

Per la difesa del periculum in mora era da considerarsi improponibile poiché il provvedimento di sequestro era relativo ad una fattispecie delittuosa consumata oltre diciotto mesi addietro alla presentazione della querela, che risultava comunque ampiamente fuori termine.

Sottolineava inoltre che i beni mobili oggetto di sequestro erano presenti all'interno dello studio professionale da molti anni senza che alcuno, anche dopo lo scioglimento dell'associazione nel maggio 2005, avesse mai asportato alcunché.

Evidenziava, infine, la difesa che, come da giurisprudenza della Corte Suprema, il periculum in mora avrebbe dovuto essere integrato da una corretta, imminente ed elevata possibilità, desunta da tutte le circostanze del fatto, che il bene assumesse carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato, e non una teorica e generica mera eventualità di queste conseguenze.

Come terzo motivo di gravame, la difesa deduceva la violazione dell'art. 606, comma 1 lett. c) c.p.p. per violazione dell'art. 103 comma terzo e quarto c.p.p.

L'esecuzione del provvedimento di sequestro era avvenuta in violazione di tutte le regole stabilite, a pena nullità, dall'art. 103 del codice di rito. Il decreto di sequestro preventivo risultava essere stato eseguito all'interno dello studio legale Bracchi-Baroni ed aveva avuto ad oggetto beni di pertinenza dell'attività professionale forense. Ciò, secondo la difesa, comportava la radicale nullità del predetto atto di sequestro ex art. 103 c.p.p., non essendo stata data comunicazione preventiva al competente Consiglio dell'Ordine Forense, affinché il Presidente o un delegato potessero assistere alla perquisizione.

Inoltre, il predetto atto era stato eseguito non dal Giudice o dal P.M. previa autorizzazione del primo, ma da operanti di P.G. in palese violazione del comma quarto dell'art. 103 c.p.p.

Con riferimento poi all'avv. Simona Bracchi, la stessa non era indagata, né al momento della richiesta di emissione del decreto di sequestro preventivo, né al momento dell'emissione dello stesso.

L'iscrizione della Bracchi nel registro delle notizie di reato due giorni dopo l'emissione del decreto di sequestro appariva singolare.

Concludevano quindi per l'annullamento dell'ordinanza impugnata con ogni conseguenza di legge.

Questo Collegio ritiene tale ultimo motivo di censura fondato ed assorbente ogni altro rilievo...

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