Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 18 febbraio 1999, n. 459 (c.c. 18 gennaio 1999). Pres. Sacchetti - Est. Vancheri - P.M. Iannelli (conf.) - Ric. Hamrouch.

Esecuzione in materia penale - Procedimento di esecuzione - Sospensione dell'esecuzione - Nuova formulazione dell'art. 656 c.p.p. - Disciplina - Ambito di applicazione - Ordini di carcerazione emessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 165/1998 e non ancora eseguiti - Configurabilità.

In applicazione del principio tempus regit actum e mancando un'apposita disciplina transitoria, deve ritenersi che, anche nel caso di ordini di carcerazione per espiazione di pena emessi prima dell'entrata in vigore della legge 27 maggio 1998 n. 165 (introduttiva della nuova formulazione dell'art. 656 c.p.p.), e non ancora eseguiti, trovi applicazione la disciplina della sospensione dell'esecuzione prevista dal comma 5 del citato art. 656 c.p.p. (Mass. redaz.). (C.p.p., art. 656) (1).

    (1) Non risultano editi precedenti giurisprudenziali negli esatti termini.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Visto il ricorso proposto dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova avverso l'ordinanza emessa il 12 agosto 1997 dal predetto tribunale, in funzione di giudice dell'esecuzione, con la quale è stata sospesa l'esecuzione della pena di anni 2 di reclusione, inflitta a Hamrouch Farouk con sentenza dello stesso tribunale del 13 dicembre 1996, in applicazione dell'art. 656, comma 5, c.p.p., così come modificato dalla legge 27 maggio 1998 n. 165; ritenuto che il ricorrente ha dedotto la nullità della predetta ordinanza per erronea interpretazione della legge penale, dato che nella specie, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale di Genova, non era applicabile la nuova normativa di cui alla citata legge n. 165 del 1998, dato che l'ordine di esecuzione era stato emesso il 25 febbraio 1997 e, quindi, prima dell'entrata in vigore della nuova legge; vista la requisitoria del procuratore generale presso questa Corte che così ha argomentato:

Con l'unico motivo a sostegno del gravame il ricorrente deduce che il giudice a quo sarebbe incorso in errore nell'interpretazione del novellato art. 656, comma quinto, c.p.p., dovendo la sospensione dell'esecuzione essere disposta solo per gli ordini di carcerazione emessi dopo l'emanazione della legge n. 165 del 1998

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Il ricorso è infondato. Non essendo prevista dalla legge suddetta alcuna norma transitoria regolante la sorte di quegli ordini di carcerazione emessi prima del suo avvento e non eseguiti in costanza del regime precedente, la questione che si prospetta, e dalla cui risoluzione dipende la decisione del gravame, è se a detti ordini possa applicarsi la nuova disposizione del comma quinto dell'art. 656 c.p.p., che impone al pubblico ministero di sospendere l'esecuzione con decreto contenente l'avviso al condannato della facoltà, che gli compete, di presentare, entro trenta giorni dall'avvenuta consegna del provvedimento, istanza di ammissione ad una delle indicate misure alternative alla detenzione.

La risposta al quesito, come sopra formulato, è nel senso di ritenere, in contrario avviso alla tesi giuridica sostenuta dall'ufficio ricorrente, che l'interlocutorio intervento sospensivo del pubblico ministero debba attingere anche l'esecuzione di quegli ordini di carcerazione che, formati anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 165 del 1998, non hanno avuto attuazione durante la vigenza della precedente normativa.

Posto che uno degli aspetti innovativi fondamentali della regolamentazione introdotta dalla c.d. «riforma Simeoni» è costituito, nella vicenda legislativa in esame, dalla assunta centralità del potere di sospensiva attribuito al pubblico ministero (nella veste di organo promotore dell'azione esecutiva), il quale, per obbligo di legge, deve esercitarlo motu proprio quando ne sussistano le condizioni, non cade dubbio che alla suddetta innovazione normativa vada riconosciuta efficacia operativa immediata. Al riguardo mette conto di osservare che le norme disciplinanti l'esecuzione della pena e le misure ad essa alternative non hanno un contenuto di diritto sostantivo, poiché la loro finalità non è solo quella della prevenzione generale e della difesa sociale, ma anche di assicurare l'emenda e il recupero del condannato, onde non sono soggette alla regola, di rango costituzionale, stabilita dall'art. 2 c.p., la quale fa divieto alla legge posteriore di operare con efficacia retroattiva.

Ma, a ben vedere, il problema nella fattispecie non sussiste. Ove, infatti, l'espiazione della pena (o l'esecuzione di una misura alternativa) non sia iniziata o sia in corso al sopraggiungere di una nuova legge processuale, l'applicazione immediata della stessa discende proprio dal principio tempus regit actum. È noto che in caso di successione di leggi vige, soprattutto nel campo processuale, come criterio regolatore del conflitto di diritto intertemporale, il principio dell'immediata operatività di quella successiva, il quale incontra, però, un limite di validità quando l'atto abbia compiutamente esaurito la propria funzione, dispiegando tutti i suoi effetti nell'ambito del regime anteriore alla nuova normativa, modificativa o sostitutiva di quella esistente al tempo in cui è stato formato, perché allora da quest'ultima la sua sorte giuridica resta regolata, dovendosi allo ius superveniens negare efficacia retroattiva.

Consegue che dalla legge posteriore debbono, invece, essere disciplinati, in virtù del principio richiamato, sia gli atti da compiersi nella sua vigenza sia quelli posti in essere antecedentemente, qualora da essi siano derivate conseguenze giuridiche perduranti o situazioni processuali non ancora definite alla data della sua entrata in vigore.

Gli atti di quest'ultimo tipo (denominati permanenti) non sempre, infatti, sono suscettibili di regolamento unitario in quanto, esaurendosi la loro funzione con il completarsi del proprio ciclo temporale, rimangono esposti agli eventuali mutamenti legislativi, a differenza degli atti (cosiddetti istantanei) che nel momento stesso in cui vengono formati consumano i loro effetti.

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Con tali premesse, che sono servite allo scopo di inquadrare esattamente i rapporti tra leggi succedutesi nel tempo, risulta evidente che i procedimenti di esecuzione (o di modificazione delle modalità di esecuzione) ancora in corso al sopravvenire di una nuova legge debbono da questa essere disciplinati senza che si possa parlare di retroattività della relativa normativa, bensì di immediata applicazione della stessa.

Nella specie la novella n. 165 del 1998, quando è stata emanata, ha trovato pendente la situazione pregressa, e poiché, ai fini della individuazione della discipliana cui bisogna fare riferimento, va esclusa la possibilità di considerare il momento di emissione dell'ordine di carcerazione, che è anteriore alla novatio legis, disgiunto e avulso da quello, connesso e consecutivo, della sua esecuzione, questa, non essendo ancora iniziata, non era insensibile alla modifica legislativa e ben avrebbe potuto, in base al disposto dell'art. 656, comma 5, c.p.p., essere sospesa con decreto del pubblico ministero (il quale non necessariamente deve essere coevo all'ordine di cui sopra, nonostante la tendenziale contestualità dei due provvedimenti, che sono autonomi e distinti ancorché in rapporto in stretta correlazione o interdipendenza), per consentire al condannato di presentare, entro il prefissato termine, domanda di concessione di una misura alternativa.

Conclusivamente si può affermare che, se in virtù del principio tempus regit actum l'ordine di carcerazione emesso in costanza della normativa precedente conserva piena validità, per lo stesso principio, mancando nella legge n. 165 del 1998 una statuizione transitoria che diversamente disponga, deve ad esso applicarsi il nuovo regime di sospensione della sua esecuzione nella ricorrenza delle condizioni previste dai commi quinto, settimo e nono dell'art. 656 c.p.p. Essendo giuridicamente corretta la pronuncia impugnata, si impone il rigetto del proposto ricorso»; ritenuto che tali osservazioni sono da condividere in pieno e che le stesse possono essere assunte in toto come motivazione della presente sentenza;

che, conseguentemente, in accoglimento delle richieste del procuratore generale, il ricorso va respinto (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 17 febbraio 1999, n. 2 (ud. 15 gennaio 1999). Pres. Zucconi Galli Fonseca - Est. Canzio - P.M. Toscani (diff.) - Ric. Iannasso ed altro.

Giudizio penale di primo grado - Dibattimento - Lettura di atti, documenti, disposizioni - Mutamento del giudice - Testimonianza raccolta dal primo giudice - Utilizzabilità per la decisione mediante lettura- Limiti.

Nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l'esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha, peraltro, affermato che allorquando, nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice, nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova assunta in precedenza, il giudice può di ufficio disporre la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali). (C.p.p., art. 525; c.p.p., art. 511) (1).

    (1) La sentenza delle Sezioni unite ha risolto il conflitto giurisprudenziale aderendo all'orientamento espresso da Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 1996, Scialla, in questa Rivista 1997, 86; Cass. pen., sez. IV, 13 settembre 1996, Buscioni, ivi 1996, 731; Cass. pen., sez. I, 30 agosto 1995, Capone, ivi 1996, 306; Cass. pen., sez. III, 4 novembre...

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