Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 16 dicembre 1999, n. 24 (ud. 24 novembre 1999). Pres. Viola - Est. Fulgenzi - P.M. Toscani (conf.) - Ric. Spina.

Cassazione penale - Motivi di ricorso - Motivi nuovi in Cassazione - Incompatibilità di circostanza aggravante con l'imputazione di partecipazione all'assicurazione per delinquere - Inammissibilità. - Cassazione penale - Motivi di ricorso - Vizi della motivazione - Illogicità - Sindacato di legittimità - Limiti.

Poiché la generica negazione, formulata nei motivi di appello, della responsabilità per reato aggravato ai sensi dell'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, oggetto degli scopi della concorrente associazione per delinquere di stampo mafioso, non può ritenersi comprensiva anche della contestazione in ordine alla compatibilità della citata circostanza aggravante con l'imputazione di partecipazione all'associazione, la deduzione di detta incompatibilità nei motivi di ricorso per cassazione, in quanto si configura come novum, rende il ricorso medesimo inammissibile a norma dell'art. 606, comma terzo, c.p.p. (C.p.p., art. 606) (1).

L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. (C.p.p., art. 609) (2).

    (1) Nel senso che la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell'impugnazione, v. Cass. pen., sez. un., 15 settembre 1999, Piepoli, in questa Rivista 1999, 605.

(2) In termini, relativamente alla prima parte della massima, v. Cass. pen., sez. un., 2 luglio 1997, Dessimone, in questa Rivista 1997, 455. Sulla verifica, in sede di legittimità, della struttura logica della motivazione, v. Cass. pen., sez. VI, 16 marzo 1995, Lusetti, ivi 1995, 1047; Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 1994, Braccio, ivi 1994, 408 e Cass. pen., sez. II, 26 aprile 1993, Mariani, in Riv. pen. 1994, 39.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza in data 3 ottobre 1996 il Giudice per le indagini preliminari di Palermo, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava Spina Francesco colpevole di concorso di rapina pluriaggravata (artt. 110, 112, 628 terzo comma n. 1, 61 n. 7 c.p., 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in L. 12 luglio 1991 n. 203) e sequestro di persona, assolvendolo dall'imputazione di porto e detenzione di armi.

Appellante l'imputato ed il pubblico ministero, il giudice del gravame riteneva integrati anche i reati concernenti le armi, rideterminando la pena; tale decisione veniva tuttavia annullata dalla Corte di cassazione, su ricorso dell'imputato, per vizio della motivazione in ordine all'affermazione della sua penale responsabilità.

La diversa sezione della Corte d'appello di Palermo cui, in sede di rinvio, era stato assegnato il processo, rigettava l'appello dello Spina e, in accoglimento del gravame del pubblico ministero, dichiarava l'imputato colpevole anche dei delitti in materia di armi, già esclusi in primo grado, aumentando conseguentemente la pena.

La corte di merito, in sintesi, riteneva fondata l'ipotesi accusatoria secondo la quale lo Spina, esponente della famiglia Noce, aveva concorso nell'organizzazione di una grossa rapina ai danni della Direzione delle Poste di Palermo concretamente suggerendo l'azione criminosa ed ottenendo dai responsabili del «mandamento» mafioso, nella cui zona di influenza l'ufficio postale si trovava, l'autorizzazione alla commissione del delitto; basava le proprie conclusioni essenzialmente sulle dichiarazioni dei coimputati Neri Aurelio e Neri Marco, che avevano collaborato con la giustizia, alle quali avevano dato riscontro individualizzante le ulteriori propalazioni provenienti da altro coimputato, tale Galliano Antonino, nonché l'esito di alcune intercettazioni effettuate presso la casa circondariale ove i due Neri erano ristretti; ribadiva quindi - così confermando la precedente statuizione di secondo grado che, con riferimento ai concorrenti nel reato, aveva superato anche sullo specifico punto il vaglio di legittimità - l'affermazione di responsabilità dell'imputato in ordine ai delitti concernenti le armi e negava il riconoscimento delle attenuanti generiche, osservando che l'incensuratezza dello Spina cedeva «di fronte al suo accertato spessore criminale desumibile dal suo inserimento nel sodalizio mafioso con un ruolo di vertice e dall'essersi concretamente adoperato per rafforzare l'articolazione criminale di cui faceva parte mediante il provento della rapina».

Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione l'imputato denunciando: in via principale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione della sua penale responsabilità per il concorso nella rapina; osserva in proposito il ricorrente come dalla valutazione unitaria degli elementi di prova si rilevi che le dichiarazioni dei coimputati non siano coincidenti in ordine alla commissione del fatto oggetto dell'imputazione e che i contrasti da esse evidenziati non assicurino alla chiamata in correità un grado di affidabilità tale da superare l'alone di sospetto connaturato alla sua provenienza; in via subordinata, vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dei delitti concernenti le armi, violazione dell'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, ancora vi- Page 22 zio della motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche; osserva il ricorrente, con specifico riferimento alla dedotta violazione di legge (motivo in relazione al quale è stata disposta la rimessione alle sezioni unite), che l'aggravante prevista dalla norma di cui denuncia la violazione non può ritenersi sussistente in quanto incompatibile con la ritenuta appartenenza all'associazione per delinquere, sul presupposto della quale è stata affermata la sua colpevolezza quale concorrente nella rapina.

La sesta sezione penale di questa Corte, investita del ricorso, ha rilevato che i giudici di merito, a fondamento sia del giudizio di responsabilità del ricorrente nel delitto di rapina che della sussistenza della circostanza aggravante speciale di cui all'art. 7 D.L. 152/91, avevano valorizzato la circostanza dell'appartenenza dell'imputato a sodalizio mafioso, cui i proventi del reato erano almeno in parte destinati; osservava che si riproponeva, dunque, la questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, della compatibilità della predetta circostanza, contestata con riferimento ai reati fine, con l'adesione dell'imputato ad un'associazione per delinquere (e ciò ancorché tale adesione risultasse oggetto, come nel caso di specie, di diverso procedimento penale); rimetteva pertanto la decisione alle sezioni unite.

Va preliminarmente rilevato che la sentenza impugnata non ha affrontato in alcun modo la questione concernente la configurabilità, nella specie, dell'aggravante di cui all'art. 7 D.L. n. 152 del 1991 (contestata, come si deduce dalla lettura del capo d'imputazione e della sentenza di primo grado, sotto il profilo dell'agevolazione del sodalizio mafioso, cui almeno parte dei proventi della rapina erano destinati); ciò in quanto essa non ha formato oggetto di specifica doglianza nei motivi di appello, con i quali l'attuale ricorrente aveva lamentato l'erroneità dell'affermazione della sua penale responsabilità, l'insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p. (con riferimento al reato satellite di sequestro di persona) ed il diniego delle attenuanti generiche.

Ciò malgrado, la sezione remittente ha ritenuto di essere stata ritualmente investita della predetta questione, pur non dedotta in appello, in quanto la negazione, da parte dello Spina, del suo concorso nella rapina aggravata sotto il profilo della sua totale estraneità al sodalizio mafioso ha coinvolto, in quanto essenzialmente connesso, anche il collegato profilo dell'applicabilità dell'aggravante ad un soggetto aderente al sodalizio mafioso.

La tesi non può però essere accolta (onde il motivo di gravame che tale questione prospetta va dichiarato inammissibile) perché è in contrasto con l'orientamento costante di questa Corte (da ultimo, sez. un. 30 giugno 1999, Piepoli, rv. 213981) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell'impugnazione.

Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall'art. 609, primo comma c.p.p., il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleabile dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti.

Detti motivi - contrassegnati dall'inderogabile «indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto» che sorreggono ogni atto d'impugnazione (artt. 581, primo comma, lett. c, e 591, primo comma, lett. c, c.p.p.) - sono funzionali alla delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata ed all'indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell'art. 606...

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