Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 9 marzo 2000, n. 8 (c.c. 23 febbraio 2000). Pres. Viola - Est. Canzio - P.M. Toscani (conf.) - Ric. Romeo.

Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Imputato prosciolto o nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere - Revoca di quest'ultima - Applicazione di misura coercitiva - Condizioni e limiti di cui all'art. 300, comma 5, c.p.c. - Operatività - Esclusione. Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Imputato nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere - Applicazione di misura coercitiva - Condizioni - Revoca della suddetta sentenza. - Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Imputato nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere - Nuovi elementi di prova acquisiti dal P.M. - Utilizzabilità ai fini della revoca della sentenza - Ammissibilità - Utilizzabilità ai fini dell'applicazione di misura coercitiva - Ammissibilità - Condizioni.

Le condizioni ed i limiti stabiliti dall'art. 300, comma 5, c.p.c., per l'applicazione delle misure coercitive all'imputato prosciolto o nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere non operano nel caso di revoca di quest'ultima, senza che abbia rilievo alcuno la circostanza di mero fatto che egli sia stato, prima di detta sentenza, sottoposto o meno a custodia cautelare. (Nell'occasione la Corte ha precisato che le condizioni ed i limiti di cui all'art. 300, comma 5, c.p.c. operano, viceversa, nella diversa ipotesi di riforma in malam partem della sentenza di non luogo a procedere a seguito di impugnazione). (C.p.p., art. 434; c.p.p., art. 300) (1).

In virtù della preclusione derivante dalla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, non può essere applicata una misura cautelare, per lo stesso fatto, nei confronti dell'imputato prosciolto prima che, emerse nuove fonti di prova, sia pronunciata dal giudice per le indagini preliminari la revoca della sentenza medesima. (C.p.p., art. 434; c.p.p., art. 300) (2).

I nuovi elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere possono essere utilizzati ai fini della revoca della sentenza e della successiva applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato prosciolto, a condizione che essi siano stati aquisiti aliunde nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all'approfondimento degli elementi emersi. (C.p.p., art. 434; c.p.p., art. 300) (3).

    (1) Principio in linea con Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 1999, Giglio, in questa Rivista 1999, 383. In senso difforme, v. Cass. pen., sez. I, 21 luglio 1992, Cataldi, ivi 1993, 143 secondo cui l'ultimo comma dell'art. 300 c.p.p. troverebbe applicazione in caso di revoca del non luogo a procedere e di riapertura delle indagini.

(2) Contra, v. Cass. pen., sez. V, 11 aprile 1997, Schittino, in questa Rivista 1997, 810, secondo cui non sussisterebbe, in capo al P.M., la necessità di richiedere la revoca della sentenza di non luogo a procedere già emessa dal Gip prima della richiesta e dell'emissione di una misura cautelare per il medesimo fatto, qualora siano emerse nuove fonti di prova che legittimano il provvedimento restrittivo.

(3) Soluzione del contrasto interpretativo, che si è evidenziato a livello di giurisprudenza di legittimità, relativo alla questione dell'utilizzabilità o meno, a fini cautelari, delle nuove fonti probatorie acquisite dal P.M. dopo la sentenza di non luogo a procedere ai fini della presentazione al Gip della richiesta di revoca della medesima sentenza. Conformi alla pronuncia in epigrafe Cass. pen., sez. V, 21 agosto 1998, Vazzana, in questa Rivista 1999, 307 e Cass. pen., sez. I, 2 agosto 1996, Diotallevi, ivi 1997, 227. Difforme Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 1999, Giglio, ivi 1999, 383.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con ordinanza del 9 dicembre 1997 il Gip del Tribunale di Reggio Calabria applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Romeo Tommaso per i delitti di omicidio pluriaggravato e di detenzione e porto illegale di armi (fatti risalenti al 1986 e inquadrabili nell'ambito della «guerra di mafia» che aveva sconvolto in quegli anni la provincia reggina), dopo avere revocato con ordinanza in pari data la precedente sentenza di non luogo a procedere, emessa il 19 aprile 1996 nei confronti del medesimo imputato per lo stesso fatto, e avere dato atto della non operatività della norma di cui all'art. 300 comma 5 c.p.p. - che interdice l'applicazione di misure coercitive all'imputato prosciolto o nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere fino a successiva sentenza di condanna - dal momento che, nel corso del precedente procedimento, il predetto non era stato sottoposto ad alcuna misura. A fondamento del provvedimento coercitivo erano indicati, quali gravi indizi di colpevolezza, la dichiarazione accusatoria del collaboratore di giustizia Scopelliti di cui al verbale 24 agosto 1994, raccolta prima della sentenza sopra ricordata nel procedimento c.d. Olimpia 1, nonché le dichiarazioni accusatorie rese successivamente e autonomamente da altri collaboratori di giustizia (Gulli il 2 ottobre 1996, Iero il 5 agosto e il 10 novembre 1996, Lombardo il 27 marzo 1997) nel corso del diverso procedimento denominato Olimpia 3, caratterizzate da estrema specificità in ordine alle modalità preparatorie ed esecutive del delitto, oltre che da un'ampia convergenza dei contenuti. A titolo di riscontri delle chiamate in correità venivano indicati taluni dati acquisiti dagli investigatori di P.G. nell'immediatezza del fatto delittuoso, già confluiti nel procedimento conclusosi con la sentenza di non luogo a procedere, e, successive alla sentenza di non luogo a procedere, le dichiarazioni rese l'1 agosto 1997 dal collaborante Ranieri.

Il Romeo, il quale non aveva proposto richiesta di riesame, presentava alla Corte d'assise di Reggio Calabria istanza di scarcerazione per nullità del provvedimento coercitivo, siccome emesso in violazione degli artt. 434 ss. c.p.p., a causa di una pretesa inutilizzabilità delle fonti di prova «ac- Page 134 quisite dopo sentenza di proscioglimento senza richiesta di riapertura delle indagini preliminari»: istanza respinta con ordinanza del 16 luglio 1999.

Il Tribunale della libertà di Reggio Calabria, adito dal Romeo mediante la riproposizione delle argomentazioni già svolte in prime cure e l'allegazione di opposte decisioni favorevoli ad altri coimputati, con ordinanza del 25 agosto 1999 rigettava l'appello, dando atto innanzi tutto che era incontroverso il rispetto della sequenza temporale prevista dalla legge - prima la revoca della sentenza di non luogo a procedere con la fissazione dell'udienza preliminare, poi l'emissione del provvedimento coercitivo e infine la pronuncia del decreto di rinvio a giudizio - e, considerate le conclusioni cui era pervenuta questa Corte Suprema nel definire contraddittoriamente, talora in senso favorevole agli interessati (Fortugno e Giglio) ma talora in senso sfavorevole (Vazzana), i ricorsi proposti da taluni coimputati nel medesimo procedimento Olimpia 3, affermava il principio per il quale, dopo la sentenza di non luogo a procedere, non è richiesta l'autorizzazione alla riapertura delle indagini come condizione per la legittimità della revoca della sentenza stessa e per l'applicazione di misure cautelari.

Avverso siffatto provvedimento reiettivo il Romeo ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico, complesso motivo, con il quale denuncia violazione di legge per ragioni - ribadite con successiva memoria ritualmente depositata - sostanzialmente identiche a quelle addotte a sostegno dell'appello cautelare e già disattese, sottolineando che comunque risultavano effettuati dal P.M. ulteriori e non consentiti atti d'indagine per la verifica delle «nuove» propalazioni accusatorie e lamentando che i rimedi esperiti da altri coimputati, in posizione assolutamente identica, erano stati definiti con esiti del tutto antitetici al suo, conseguendo, alcuni in sede di legittimità, altri in sede di merito, l'annullamento o la revoca dei rispettivi provvedimenti coercitivi.

La seconda sezione penale, con ordinanza del 21 dicembre 1999, rimetteva gli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione del procedimento alle sezioni unite, sul pregiudiziale rilievo che, in ordine alla questione dell'utilizzabilità a fini cautelari delle nuove fonti probatorie acquisite dal P.M. dopo la sentenza di non luogo a procedere ai fini della presentazione al Gip della richiesta di revoca della medesima sentenza, vi era contrasto interpretativo nella giurisprudenza delle sezioni semplici, radicatosi proprio in merito alle posizioni di numerosi coimputati nel medesimo procedimento reggino denominato Olimpia 3. Più precisamente, su ricorso Fortugno, la sezione quinta con sentenza 13 maggio 1998 aveva considerato illegittima la custodia cautelare disposta sulla base delle dichiarazioni di collaboratori assunte dopo la sentenza di non luogo a procedere e contestualmente alla revoca di questa, ed analoga pronunzia era stata emessa, su ricorso Giglio, dalla sezione sesta 17 marzo 1999; si erano viceversa pronunciate in senso contrario a questo primo indirizzo interpretativo la sezione feriale, su ricorso Vazzana, il 4 agosto 1998 e la sezione prima, su ricorso Saraceno, il 20 dicembre 1999.

Il primo presidente aggiunto ha assegnato il procedimento alle sezioni unite penali fissando per la trattazione del medesimo, in camera di consiglio, l'udienza del 23 febbraio 2000.

  1. - La questione controversa sottoposta all'esame delle sezioni unite concerne l'utilizzabilità, ai fini...

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