Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine277-298

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@CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 2 marzo 2001, n. 3022. Pres. Sommella - Est. Durante - P.M. Iannelli (diff.) - Ric. Tavanti c. Gori.

Responsabilità civile - Attività pericolose - Esecuzione di la vori sulla pubblica strada - Pericolosità dell'attività - Sussistenza - Presunzione di responsabilità ex art. 2050 cod. civ. - Applicabilità - Onere della prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno - Spettanza a carico dell'esercente l'attività - Discrezionalità nella scelta di tali misure - Configurabilità - Limiti - Fattispecie.

L'attività di esecuzione di lavori sulla pubblica strada è da considerare pericolosa ai sensi dell'art. 2050 cod. civ., costituendo i lavori stessi fonte di pericolo per gli utenti. Ne consegue che l'esercente l'attività di cui si tratta è assoggettato alla presunzione di responsabilità di cui alla predetta norma codicistica in relazione ai danni subiti dagli utenti della strada a causa e nello svolgimento dell'attività. presunzione che lo stesso può vincere fornendo la dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Nella scelta di tali misure, egli dispone di un certo margine di discrezionalità, da esercitare facendo uso della normale prudenza e tenendo conto dello sviluppo della tecnica e delle condizioni pratiche in cui si svolge l'attività. Siffatta discrezionalità, peraltro, viene meno quando è la legge ad imporre l'obbligo di adottare talune misure. Pertanto, la presunzione di responsabilità opera nei confronti dell'esercente l'attività pericolosa che abbia adottato misure diverse da quelle prescritte da norme legislative (o regolamentari), senza che vi sia alcuna possibilità, in tal caso, di valutarne l'idoneità. (Nella specie, la S.C., ha cassato la sentenza della Corte territoriale che, in conformità a quanto deciso dal primo giudice, aveva escluso la responsabilità dell'impresa esecutrice di lavori sulla strada per conto del comune in relazione ai danni cagionati ad un'autovettura finita in una buca scavata dai dipendenti dell'impresa stessa, considerando rilevante la prova che sul luogo dell'incidente fossero stati apposti cartelli che segnalavano i lavori in corso e ponevano limiti di velocità, senza considerare che, alla stregua dell'art. 8 del vecchio codice della strada, vigente all'epoca dell'incidente, chi effettuasse lavori sulla pubblica strada era tenuto a delimitare con opportuni ripari ben visibili i lavori ed a mantenere costantemente efficienti durante la notte fanali a luce rossa e dispositivi a luce riflessa rossa in modo che i lavori, i cavalletti e gli steccati fossero visibili a sufficiente distanza). (C.c., art. 2050) (1).

    (1) Cfr. Cass. civ., 8 ottobre 1970, n. 1895, in CED, Archivio civile RV 347896, citata in motivazione, secondo cui tra le misure idonee, che l'esercente di un'attività pericolosa deve adottare per ottenere l'esonero dalla responsabilità prevista dall'art. 2050 c.c., sono comprese tutte le misure prescritte dalle norme legislative e regolamentari che disciplinano l'esercizio di quell'attività.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - La notte del 4 gennaio 1986 l'autovettura di Tavanti Enrico, guidata da Tavanti Roberto, finiva in una buca praticata sulla strada che attraversava l'abitato di Foiano della Chiana e sbandava, urtando contro una colonna situata sul ciglio della carreggiata.

I Tavanti convenivano innanzi al tribunale di Arezzo Gori Giovanni, titolare dell'omonima impresa, per ottenere il risarcimento dei danni alla persona ed al mezzo, che assumevano di avere subìto, spiegando che la buca, inavvistabile e non segnalata, era stata scavata dai dipendenti dell'impresa nel corso di lavori per conto del comune.

Il convenuto, costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda; deduceva che la pioggia aveva rimosso la terra ammassata durante i lavori di interramento delle condutture del metano, creando un avvallamento, e che il conducente dell'autovettura non aveva tenuto conto del limite di velocità e della segnalazione di lavori in corso.

Il tribunale rigettava la domanda; il rigetto veniva confermato dalla Corte d'appello di Firenze con sentenza resa il 4 marzo 1997.

Secondo la Corte non era possibile parlare di attività pericolosa in quanto lo scavo era stato ricoperto, con la conseguenza che non si versava in tema di responsabilità ex articolo 2050 c.c. bensì ex articolo 2051 stesso codice; il comportamento del conducente era stato, comunque, tale da determinare il superamento di qualsiasi presunzione; in particolare, dalla deposizione del teste Mostacci, vigile urbano, era emerso che si trattava di avvallamento del fondo stradale facilmente superabile con l'uso della normale diligenza tanto più che la zona era bene illuminata; l'avvallamento era inoltre preceduto da cartelli di lavori in corso e di velocità limitata.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i Tavanti, deducendo quattro motivi; l'intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di non specificate norme di diritto e si sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto applicare la presunzione di responsabilità di cui all'articolo 2050 c.c. e prendere atto che non è stata fornita prova idonea a superarla, tenuto conto che per attività pericolosa si deve intendere non solo quella che sia qualificata tale dalla legge di pubblica sicurezza o da altre o da altre specifiche norme, ma anche quella che sia tale per i mezzi adoperati o per la sua intrinseca natura, e che nella specie la pericolosità è desumibile dall'obbligo di dettagliate cautele posto dall'articolo 8 dell'allora vigente codice della strada.

Con il secondo motivo di ricorso, deducendosi contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, si sostiene che la Corte di merito ha ritenuto non pericolosa l'attività dell'impresa in considerazione del fatto che lo scavo era già avvenuto ed era stato ricoperto, ma ha aggiunto che l'avvallamento residuato è stato opportunamente segnalato con cartelli di lavori in corso e di limite di velocità; per questo modo, da un lato, ha ravvisato la presunzione di responsabilità di cui all'articolo 2051 c.c. e, dall'altro, l'ha ritenuta superata per essere stata fornita la prova liberatoria di cui all'articolo 2050 c.c.

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Con il terzo motivo di ricorso si deduce che la motivazione della sentenza impugnata è sufficiente nel punto concernente la censura, secondo la quale l'impresa non ha osservato l'obbligo, imposto dal codice della strada vigente all'epoca dell'incidente, di apporre segnalazioni luminose e transenne idonee a delimitare l'avvallamento.

Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso si lamenta che la Corte di merito non si sia pronunciata sulla censura mossa ai giudici di primo grado per avere accordato credito alla deposizione del teste Mostacci e non a quella del teste Salemme e si sostiene che, ove avesse accolto la censura, sarebbe pervenuta a conclusioni diametralmente opposte, visto che secondo questa ultima deposizione si trattava di buca profonda da 30 a 40 cm.

I motivi, che si esaminano congiuntamente per la evidente connessione, sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

Qualora la cosa produca danno non per la sua intrinseca natura o per l'insorgenza in essa di agenti dannosi, ma perché inserita in un'attività pericolosa, trova applicazione la presunzione di responsabilità prevista dall'articolo 2050 c.c. e non quella di cui al successivo articolo 2051.

Si intendono per attività pericolose, in relazione al cui svolgimento opera la presunzione, oltre quelle prese in considerazione per la prevenzione degli infortuni e la tutela dell'incolumità pubblica, tutte quelle altre che, pur non essendo specificate o disciplinate, presentino una pericolosità intrinseca o dipendente dalle modalità di esercizio e dai mezzi adoperati (ex plurimis: Cassazione 6739/88; 5341/98; 10951/96); restano, pertanto, escluse dalla previsione della norma le attività nelle quali l'eventuale pericolosità, non configurabile in re ipsa, insorga per errori o colpe da parte di terzi utenti (Cassazione 1394/83).

In altre parole, le attività pericolose sono tipiche, quando sono individuate come tali in leggi o regolamenti, ed atipiche, quando la pericolosità viene accertata in concreto dal giudice di merito con possibilità di sindacato in sede di legittimità nei limiti del vizio di motivazione (Cassazione 5341/98).

Nella risalente sentenza 1895/70, questa Corte ha affermato che è pericolosa l'attività che comporta l'esecuzione di scavi sulla pubblica strada, corrispondentemente assoggettando l'esercente alla presunzione di cui all'articolo 2050 c.c. in relazione ai danni subìti dagli utenti della strada a causa e nello svolgimento dell'attività.

Il principio va esteso all'ipotesi di esecuzione di lavori sulla pubblica strada, essendo i lavori, al pari degli scavi, fonte di pericolo per gli utenti al punto che sia il codice della strada vigente all'epoca del fatto che quello attualmente vigente prevedono un particolare sistema di misure di prevenzione.

Ora, la Corte di merito ha ritenuto che lo scavo era stato ricoperto, esprimendo un apprezzamento di fatto, ma, così come dedotto con il ricorso, prima di escludere l'applicabilità alla specie della presunzione di cui all'articolo 2050 c.c. avrebbe dovuto estendere la propria valutazione alla circostanza che erano in corso lavori.

Com'è noto, per vincere la detta presunzione l'esercente l'attività pericolosa deve dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (Cassazione 5484/98; 4710/91).

Nella scelta delle misure dispone di un margine piuttosto ampio di discrezionalità da esercitare facendo uso della normale prudenza e tenendo conto dello sviluppo della tecnica e delle condizioni pratiche nelle quali si svolge l'attività.

La discrezionalità, tuttavia, cessa quando la legge impone l'obbligo di...

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