Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine561-594

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 22 giugno 2005, n. 23428 (ud. 22 marzo 2005). Pres. Marvulli - Est. De Roberto - P.M. Siniscalchi (conf.) - Ric. Bracale.

Impugnazioni penali in genere - Ammissibilità o inammissibilità - Ricorso per cassazione - Assoluta genericità dei motivi - Prescrizione - Rilevabilità - Esclusione.

L'inammissibilità del ricorso per cassazione (nella specie, per assoluta genericità delle doglianze) preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata da quel giudice. (C.p.p., art. 581; c.p.p., art. 129) (1).

    (1) Conformi, sul punto, Cass. pen., Sez. un., 11 settembre 2001, Cavalera, in questa Rivista 2001, 503; Cass. pen., Sez. un., 21 dicembre 2000, De Luca, ivi 2001, 44.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con sentenza 27 marzo 2003 la Corte di appello di Palermo confermava la pronunzia del locale pretore, impugnata da Bracale Massimo, che aveva condannato l'imputato, oltre che per il reato di ricettazione nella forma attenuata prevista dall'art. 648, secondo comma, c.p., per i reati di cui agli artt. 517 (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) e 489 (Uso di atto falso) dello stesso codice, alla pena di otto mesi di reclusione e lire 1.200.000 di multa.

  1. - Proponeva ricorso per cassazione la difesa del Bracale, deducendo violazione dell'art. 606, lettere b) ed e), non essendo emerso dagli atti alcun elemento in grado di legittimare una sentenza di condanna. La mancanza di gravi elementi indiziari avrebbe pertanto, dovuto indurre il giudicante a pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare o avrebbe comunque motivato in modo insufficiente in ordine alle ragioni di fatto e di diritto sulle quali è fondata la sentenza di condanna.

  2. - La Seconda Sezione penale della Corte, cui il ricorso veniva assegnato, rilevava l'evidente mancanza del requisito della specificità dei motivi, richiesto a pena di inammissibilità dagli artt. 581 e 591 del codice di rito; accertava però che per due dei reati ascritti all'imputato (quelli di cui agli artt. 517 e 489 c.p., accertati il 3 febbraio 1994) la prescrizione era maturata prima della pronuncia della sentenza di appello e che la causa estintiva non era stata rilevata dalla Corte territoriale, né era stata invocata dall'interessato con specifica doglianza.

    Con ordinanza 22 ottobre 2004, la stessa sezione rimetteva il ricorso alle Sezioni unite riproponendo la questione - già sottoposta negli stessi esatti termini al vaglio del medesimo consesso, ma non risolta perché il capo relativo al reato prescritto non era stato denunciato (Sez. un., 26 novembre 2003, Hametovic) - circa il potere-dovere del giudice di legittimità di dichiarare, ex art. 129 c.p.p., nonostante l'inammissibilità del ricorso, l'estinzione del reato per prescrizione qualora questa sia maturata prima della sentenza di appello ma non sia stata né dedotta dalla parte né rilevata dal giudice.

  3. - Il ricorso è inammissibile per l'assoluta carenza del necessario requisito della specificità, richiesto dal combinato disposto degli artt. 581, lettera c), e 591, comma 1, lettera c).

  4. - Prima ancora di procedere alla verifica delle sequenze ermeneutiche indispensabili per pervenire alla soluzione del dubbio ora prospettato, è necessario precisare come - nonostante la Seconda Sezione abbia rimesso il ricorso perché venga risolto il «controverso quesito interpretativo», la cui «perdurante attualità è documentata dall'ordinanza in data 18 maggio 2004» - la questione sottoposta ora al vaglio di questa Corte non pare, in effetti, al centro di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale; anzi, è l'applicazione dei risultati interpretativi raggiunti dalla ormai consolidata giurisprudenza di queste Sezioni unite a comportare l'ineludibile soluzione negativa del quesito.

  5. - La questione, come è noto, si ricollega alla tematica avente ad oggetto i rapporti tra inammissibilità dell'impugnazione e applicazione delle cause di non punibilità, secondo un modello direttamente scaturente - già nel vigore dell'abrogato codice di rito - dalla distinzione tra cause di inammissibilità originarie e cause di inammissibilità sopravvenute, le prime soltanto preclusive dell'applicazione dell'art. 129 c.p.p.

    Chiamate per la prima volta a dirimere il contrasto incentrato sulla permanenza, nel sistema del nuovo codice, di tale distinzione e, in caso di esito positivo di un simile scrutinio, ad individuare la linea di discrimine tra inammissibilità originaria ed inammissibilità sopravvenuta, le Sezioni unite (Sez. un., 11 novembre 1994, Cresci) si pronunciarono nel senso della persistente attualità di un modello informato alla distinzione sopra rammentata. Vennero così qualificate originarie tutte le cause di inammissibilità previste dall'art. 591 c.p.p. (con eccezione della rinuncia all'impugnazione); vennero qualificate cause di inammissibilità sopravvenute le sole cause di inammissibilità previste, esclusivamente per il ricorso per cassazione, dall'art. 606, comma 3, dello stesso codice, perché esse comportanoPage 562 «un esame, a volte anche approfondito, degli atti processuali; con la conseguenza che, nel caso in cui questo esame faccia emergere una causa di non punibilità non ci sono ragioni logiche per negare operatività alla norma dell'art. 129 c.p.p.».

    Il fondamento dei rapporti così individuati tra cause di inammissibilità e applicazione della norma adesso rammentate viene rinvenuto nella ravvisata impossibilità di utilizzare l'art. 648 c.p.p. (le cui innovazioni rispetto all'art. 576 c.p.p. 1930, non eccedono l'esigenza di un mero ammodernamento formale) per determinare l'ambito della cognizione del giudice dell'impugnazione; simile disposizione è diretta, infatti, a disciplinare il giudicato ed a segnare l'inizio della fase esecutiva mentre è dalle norme che regolano il processo che deve trarsi la disciplina dei rapporti tra cause di inammissibilità e cause di non punibilità, al fine di stabilire quale tra esse debba prevalere.

    Dall'esame comparativo dell'art. 591 c.p.p. 1930 e dell'art. 648, comma 2, del vigente codice di rito si ricava allora - seguendo gli itinerari interpretativi percorsi da tale decisione - che la scadenza del termine per impugnare si iscrive quale condizione per la formazione del giudicato formale, quando l'impugnazione non sia stata proposta, secondo una linea di tendenza già affermatasi nel vigore del codice abrogato. In caso contrario non si giustificherebbe la collocazione della scadenza del termine fra le cause di inammissibilità previste, in via generale, dall'art. 591; ed infatti - aggiungono le Sezioni unite - ove si volesse accedere ad una diversa ricostruzione sistematica, si perverrebbe alla conclusione, davvero irragionevole, se non addirittura paradossale, che l'atto di impugnazione, pur se tardivo, mai consentirebbe la formazione del giudicato formale, con intuibili conseguenze anche sulla fase esecutiva.

  6. - Nuovamente investite della problematica concernente i rapporti tra cause di inammissibilità dell'impugnazione e applicazione delle cause di non punibilità previste dall'art. 129 c.p.p., le Sezioni unite, pur riaffermando l'immanenza della dicotomia cause di inammissibilità originarie-cause di inammissibilità sopravvenute, circoscrivono ulteriormente il numero delle seconde, con l'enunciare il principio secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione derivante dalla manifesta infondatezza dei motivi non impedisce che vengano rilevate e dichiarate, ai sensi dell'art. 129, le cause di non punibilità; precisando che la dichiarazione delle cause di non punibilità resta, invece, preclusa dall'inammissibilità derivante dall'enunciazione nell'atto di gravame di motivi non consentiti e dalla denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello, trattandosi di ipotesi di inammissibilità originaria le quali non consentono quella delibazione sulla fondatezza della censura che costituisce peculiarità singolare della dichiarazione di inammissibilità per infondatezza manifesta dei motivi di impugnazione (Sez. un., 30 giugno 1999, Piepoli).

    La ricordata decisione ha, peraltro, cura di evidenziare come il contrassegno connaturato alle cause di inammissibilità originarie è il loro riferirsi ai requisiti formali dell'atto di impugnazione o ai presupposti legislativamente previsti per il valido esercizio di tale diritto; con la conseguenza che, non involgendo un giudizio di merito, determinano la necessità di adottare una decisione in limine, semplicemente dichiarativa della mancata instaurazione di un valido rapporto processuale; tanto da impedire l'inutile prosecuzione di un'attività comunque destinata a pervenire, a norma dell'art. 591, comma 4, anche a posteriori, ad un accertamento negativo della pendenza del processo. In tale ipotesi si è, infatti, in presenza di un simulacro di gravame che il provvedimento che ne dichiara l'inammissibilità, per sua natura dichiarativo, rimuove dalla realtà giuridica fin dal momento della sua origine. Ribadendosi che non può valere in contrario l'argomento secondo cui, a norma dell'art. 648 c.p.p., se vi è stato ricorso per cassazione la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pubblicata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile il ricorso. La norma fissa il momento del passaggio in giudicato della sentenza solo in senso formale, mentre, per quanto attiene al giudicato in senso sostanziale, deve farsi riferimento all'insorgenza della causa di inammissibilità. Ed il giudicato sostanziale si concretizza allo scadere dei termini per proporre impugnazione sia in caso di mancanza o di irrituale presentazione di essa sia in caso di gravame invalido, mentre l'irrevocabilità che rileva solo ai...

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