Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. V, 10 gennaio 2006, n. 282 (ud. 23 novembre 2005). Pres. Foscarini - Est. Amato - P.M. (conf.) - Ric. Amato.

Contributi e spese condominiali - Adeguamento dell'impianto elettrico - Morosità di un condomino - Invio da parte dell'amministratore di lettera denigratoria nei suoi confronti - Configurabilità del reato di diffamazione - Fondamento.

È ravvisabile il delitto di diffamazione nel comportamento dell'amministratore di un condominio che, in una lettera, renda edotti i condomini della morosità di uno di essi relativamente alla quota dovuta per l'adeguamento dell'impianto elettrico, definendolo un «anarcoide che intralcia e fomenta e mantiene comportamento scorretto». (C.p., art. 595) (1).

    (1) Non risultano editi precedenti sulla medesima fattispecie.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Tribunale di Lanciano assolveva Olimea Elio dal reato di diffamazione con ampia formula liberatoria.

Sul gravame del P.M. e della parte civile, la Corte d'appello dell'Aquila condannava l'imputato alla pena della multa, nonché al risarcimento del danno.

I giudici di merito hanno accertato che l'Olimea, quale amministratore, inviò ai condomini una lettera, comunicando il mancato versamento della quota dovuta per l'adeguamento dell'impianto elettrico da parte di Tritapepe Luigi, definito come «anarcoide che intralcia e fomenta e mantiene comportamento scorretto».

Ricorre il difensore, lamentando il disconoscimento dell'esimente di cui all'articolo 51 c.p., dal momento che la censura formulata è stata contenuta nei limiti funzionali alla critica.

La doglianza non può essere condivisa. La corte di merito ha ineccepibilmente chiarito: che il condomino Tritapepe non si limitò a rifiutare il versamento dovuto, ma a condizionarlo, in maniera ragionevole, all'ultimazione dei lavori ed all'esposizione in bacheca della fattura della ditta esecutrice; che le espressioni contenute nella missiva diffusa con l'invio ai condomini dello stabile valicano il limite della continenza, concretando un attacco virulento e denigratorio contro la persona del querelante.

Le frasi offensive della reputazione non trovano giustificazione di sorta nella situazione determinatasi in riferimento alla spesa che il condomino doveva affrontare per il rifacimento dell'impianto elettrico, risultando le stesse ultronee ed esorbitanti rispetto allo scopo prospettato dal ricorrente.

La decisione impugnata appare conforme ai principi di diritto elaborati in materia da questa Corte.

Quanto all'invocato diritto di critica, va ribadito che se le valutazioni soggettive, nelle quali esso si estrinseca, mal si conciliano col parametro della verità, occorre pur sempre che questa sia rispettata in ordine ai dati fattuali sui quali la critica si esercita. Orbene, la Corte aquilana ha precisato che il querelante non aveva opposto rifiuto immotivato alla richiesta dell'amministrazione, dicendosi disponibile al pagamento della quota a determinate condizioni.

In ogni caso, com'è noto, la critica, anche aspra, non deve trasmodare in un attacco personale, nel dileggio e nel discredito della persona.

Costituisce ius receptum il principio secondo il quale la valutazione della valenza lesiva delle espressioni adoperate rientra nel potere del giudice di merito e si sottrae al sindacato di questa Corte, se congruamente motivata, come nella specie.

Il ricorso va rigettato, con la condanna del ricorrente alle spese processuali, nonché a quelle sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi euro 1.260,00. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 31 ottobre 2005, n. 21199. Pres. Elefante - Est. Piccialli - P.M. Patrone (conf.)P.C. (avv. Buffoni) c. Cond. via Ermenegildo Fredrani 10 Roma (avv. Pazienza).

Contributi e spese condominiali - Ripartizione - Balconi - Mautenzione degli stangoni - Parti di proprietà esclusiva - Deliberazioni assembleari impositive di spese - Nullità - Sussistenza.

I c.d. «stangoni», in quanto elementi strutturali interni, costituenti la base di calpestio dei balconi e, dunque, parti integranti degli appartamenti corrispondenti, non possono essere oggetto di deliberazioni impositive di spese (e di relativa ripartizione) da parte dell'assemblea condominiale, le quali se adottate sono da ritenersi affette da nullità, incidendo su diritti individuali sulle cose. (C.c., art. 1117; c.c., art. 1137) (1).

    (1) Per una panoramica completa ed aggiornata della giurisprudenza in tema di ripartizione delle spese dei balco-

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    ni, cfr. l'articolo di CAPPONI PIER PAOLO, in questa Rivista 2005, 625.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con atto notificato in data 10 dicembre 1998 la sig.ra C.P. quale condomina dello stabile sito in Roma alla via Ermenegildo Fredrani, 10, citò il condominio, in persona dell'amministratore in carica, al giudizio del tribunale in sede, al fine di sentir dichiarare la nullità ex art. 1421 c.c., in quanto contrastanti con i «principi generali» e con il regolamento condominiale, delle delibere assembleari del 9 ottobre 1997 e del 5 novembre 1998, aventi rispettivamente ad oggetto il piano di riparto del preventivo per la spesa dei lavori di manutenzione della facciata dell'edificio e l'approvazione del consuntivo dei lavori stessi.

Costituitosi il condominio, eccepiva l'inammissibilità e comunque l'infondatezza della domanda, in ordine ad entrambe le delibere.

Con sentenza del 20 febbraio-8 aprile 2000, all'esito di istruttoria documentale, l'adito tribunale in composizione monocratica, accoglieva per quanto di ritenuta ragione la domanda, dichiarando la nullità della prima delibera, relativamente all'inclusione nel preventivo di spesa anche della manutenzione degli «stangoni di travertino dei balconi», parti che il giudice riteneva di proprietà esclusiva dei condomini, ed annullando la seconda, di approvazione del consuntivo, nella parte ponenti le voci di spesa del «braccio meccanico per balconi» e «rifacimento balconi» esclusivamente a carico dei condomini proprietari dei balconi, ritenendole invece afferenti all'estetica complessiva del fabbricato e, pertanto, assimilabili ex art. 1117 c.c. alle spese per le parti comuni.

Proposto gravame dal condominio, resistito dalla P. la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 19 marzo-3 aprile 2002, in riforma di quella impugnata, rigettava la domanda della P. condannandola alle spese del doppio grado.

La decisione, partendo dalla premessa, corredata da richiamo alla corrente giurisprudenza di legittimità, che i motivi dedotti avrebbero potuto comportare solo annullabilità e non anche nullità dei deliberati assembleari in questione, ha ritenuto inammissibili entrambe le impugnative, perché tardiva la prima, in riferimento al termine di cui all'art. 1137 u.c. c.c., e per avere, la seconda, ad oggetto un atto privo di autonomia, in quanto meramente confermativo ed esecutivo del precedente.

Avverso la sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Resiste il condominio con rituale controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con il primo motivo di ricorso viene dedotta «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia sulla decisione in ordine alla delibera 9 ottobre 1997 per la parte riguardante i balconi».

Premesso che il giudice di primo grado aveva qualificato gli «stangoni di travertino dei balconi» (vale a dire i listelli collocati sul piano di calpestio) parti dell'edificio di esclusiva proprietà dei condomini e, pertanto, dichiarato la nullità della delibera, ai termini della prevalente giurisprudenza di legittimità, perché incidente su diritti individuali sottratti al potere dispositivo dell'assemblea, si evidenzia che i giudici di appello, dopo aver richiamato e ribadito i medesimi principi affermati dal primo giudice, sarebbero pervenuti ad una decisione del tutto in contrasto con il punto di partenza della motivazione o, comunque, nell'ipotesi di ravvisata comunione dei suddetti elementi strutturali, avrebbero del tutto omesso di spiegarne le ragioni.

Con il secondo motivo si deduce, anche in riferimento alla delibera suddetta e per l'ipotesi in cui la corte di merito abbia implicitamente ritenuto comuni gli «stangoni», la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non rientrando i balconi tra le parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c., né assolvendo detti elementi a funzioni decorative e ornamentali dell'edificio; conseguentemente erronea sarebbe stata la dichiarazione di tardività dell'impugnativa, riguardando la stessa una delibera nulla, in quanto incidente su beni di proprietà esclusiva, dei quali l'assemblea non avrebbe potuto occuparsi.

La palese connessione tra le censure esposte nei due motivi suindicati ne rende opportuno l'esame congiunto.

I motivi sono fondati.

La corte di merito non ha tratto le debite conseguenze dalla, pur corretta, premessa teorico-giurisprudenziale, che ha trovato recente conferma nella sentenza n. 4806 del 7 marzo 2005 delle Sezioni unite di questa Suprema Corte.

Tale decisione, dalla quale questo Collegio non ravvisa motivi per doversi discostare, consolidando il più recente e prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità (nel quale si inseriva la sent. n. 13013/00 citata dai giudici di appello), ha chiarito che sono, tra le altre, nulle, e pertanto sottratte ai termini di impugnativa previsti dall'art. 1137 comma 3 per i casi di semplice annullabilità, «le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose...».

Da tale premessa e considerato che, in mancanza, nel caso di specie di diverse disposizioni dei titoli, e di presunzioni normative (non essendo elencati dall'art. 1117 c.c. tra le parti comuni dell'edificio), i balconi devono considerarsi beni di proprietà esclusiva, in quanto costituenti appendici o prolungamenti delle unità immobiliari cui accedono e non assolventi, normalmente, a funzioni strutturali riferibili all'edificio...

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