Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 11 ottobre 2006, n. 34065 (c.c. 4 luglio 2006). Pres. Sansone - Est. Carcano - P.G. Galasso (conf.)Ric. Spahija.

Prova penale - Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Colloqui con il difensore - DivietoOggetto - Individuazione - Fattispecie.

Il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni di difensori, previsto dall'art. 103, comma quinto, c.p.p., ha per oggetto soltanto conversazioni o comunicazioni inerenti alla funzione difensiva, individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, anche a seguito di una verifica successiva all'eventuale captazione che non sia stata disposta nei confronti del difensore in quanto tale. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabili, ai fini dell'identificazione del presunto responsabile di un reato, la cui utenza telefonica cellulare era stata sottoposta ad intercettazione, elementi tratti da una conversazione del medesimo soggetto con quello che era il suo difensore in un procedimento civile, trattandosi di elementi non attinenti alla funzione difensiva di cui il legale era stato investito). (C.p.p., art. 103) (1).

    (1) Sostanzialmente nel medesimo senso, si veda Cass. pen., sez. V, 5 maggio 2003, Graviano, in questa Rivista 2003, 598.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Il difensore di Flamur Spahija propone ricorso contro l'ordinanza 15 marzo 2006 del Tribunale di Brescia con la quale è stato confermato il provvedimento 23 dicembre 2005, adottato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, di rigetto dell'istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere disposta e non ancora eseguita nei confronti di Flamur Spahija per i delitti di traffico di stupefacenti e di associazione finalizzata al narcotraffico.

Ad avviso del tribunale, gli elementi a carico di Flamur Spahija risultano dalle conversazioni intercettate il cui contenuto, differenza di quanto rilevato dalla difesa, sono in equivoco elemento gravemente indizio dei delitti contestati ed è attribuibile a Flamur Spahija. La questione riproposta in appello circa il valore indiziario degli elementi in base ai quali Flamur Spahija è identificato come uno degli interlocutori delle conversazioni intercettate è ritenuta infondata dal giudice d'appello secondo cui è provata che l'utenza - usata da persona che si assume essere Flamur Spahija in numerose conversazioni telefoniche intercettate relative all'importazione di 2,605 Kg. di cocaina sequestrati il 17 luglio 2003 con l'arresto del corriere, e a quella di 3,550 Kg. della stessa sostanza sequestrata il 27 agosto 2003 anche qui con l'arresto del corriere - fosse in realtà in uso a Flamur Spahija nei mesi di novembre e dicembre 2003, epoca a cui risalgono numerose telefonate allo studio legale Bellini nelle quali l'interlocutore si presenta come «Spahija» e chiamato Flamur Spahija dall'avvocato.

A tale ultimo riguardo, il giudice d'appello ritiene infondato il dedotto divieto di utilizzabilità ex art. 103, comma 5, c.p.p., in quanto tale divieto non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore pur se non direttamente attinenti alla funzione esercitata. L'unico frammento utilizzato è quello relativo al momento in cui con la stessa utenza - risultata in possesso del soggetto che interloquiva in occasione del traffico degli ingenti quantitativi di stupefacenti - l'interlocutore si presenta come Flamur Spahija al personale dello studio dell'avvocato. Anche infondato, per il giudice d'appello, l'assunto difensivo per i quale sebbene possa essere provato che Flamur Spahija utilizzava nel novembre la scheda de qua non può dedursi che fosse lui ad usare, anche in occasione delle telefonate di luglio e di agosto la stessa scheda. A sostegno della propria ricostruzione, il giudice d'appello mette in risalto molteplici elementi, tra i quali anche un informale riconoscimento della voce da parte degli operatori addetti all'intercettazione dai quali non poteva che ritenersi che le conversazioni era da attribuire a Flamur Spahija.

  1. - Il ricorrente ripropone in questa sede la questione della violazione dell'art. 103 c.p.p., in quanto le telefonate inutilizzabili debbono essere considerate nella loro gobalità, senza spazio per frammentazioni artificiose che consentano di scomporre la telefonata in componenti professionali, coperti dal divieto, e comportamenti non professionali, non coperti dal divieto di captazione. Anche là dove non si condividesse la tesi difensiva che esclude la possibilità di scomporre le telefonate, le conversazioni inutilizzabili sono quelle relative ad un contesto che si distingue da quello professionale ovvero rappresentino la commissione di un illecito penale. Se quindi la telefonata è del tutto e legittimamente attinente all'espletamento di un mandato difensivo, essa non può, a norma dell'art. 103, comma 7, c.p.p. intercettata e non può essere utilizzata nel procedimento penale.

    Nel caso concreto, le telefonate intercettate, nelle quali l'avv. Bellito di Brescia e l'interlocutore che utilizza l'utenza in questione, predispongono una difesa relativa ad un procedimento civile. Ciò avrebbe dovuto impedire ogni estrapolazione e, in particolare, non avrebbero potuto essere estrapolato l'incipit della Page 192 conversazione consistente nella presentazione degli interlocutori. La presentazione è elemento chiave per incardinare la conversazione di contenuto professionale e, come tale, non avrebbe potuto essere utilizzata.

    Depurata di tale dato probatorio, in quanto illegittimo, la motivazione dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273, comma 1, c.p.p. è carente.

  2. - Tale è, ex art. 173 att. c.p.p., la sintesi delle questioni poste.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il ricorso è infondato.

    Non è da revocare in dubbio che, in tema di garanzie di libertà dei difensori previste dall'art. 103 c.p.p., il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni opera anche nel caso in cui l'attività difensiva concerna un procedimento diverso da quello cui le intercettazioni atterrebbero.

    Però, non è altrettanto da dubitare che il divieto in questione non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata (S.U., 12 novembre 1993, dep. 14 gennaio 1994, n. 25).

    Il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni nei confronti dei difensori, sancito dall'art. 103, comma quinto, c.p.p., riguarda, dunque, l'attività captata in danno del difensore in quanto tale, e dunque nell'esercizio delle funzioni inerenti al suo ufficio, quale che sia il procedimento cui si riferisce, e non si estende ad ogni altra conversazione non inerente.

    Questa Corte ha in proposito affermato che la prescrizione anzidetta, non traducendosi pertanto in un divieto assoluto di conoscenza ex ante, implica una verifica postuma del rispetto dei relativi limiti, la cui violazione comporta l'inutilizzabilità delle risultanze dell'ascolto non consentito, ai sensi dell'art. 103, comma settimo, e la distruzione della relativa documentazione, a norma dell'art. 271 richiamato dallo stesso art. 103, comma 7, del codice di rito (sez. VI, 4 maggio 2005, dep. 10 ottobre 2005, n. 36600).

    Ne consegue che non ricorre il divieto di utilizzazione delle risultanze di una conversazione, quando nel corso della stessa il difensore comunichi al proprio assistito circostanze che, sebbene siano il motivo della conversazione, non siano inerenti alla funzione difensiva e, in ogni caso, liberalmente ottenibili dagli inquirenti attraverso altra tipologia di accertamento.

    Nel nostro caso, mette conto chiarire che non si è in presenza di intercettazioni «dirette» dell'utenza del difensore, bensì di un'intercettazione «indiretta» di una conversazione con il difensore in un procedimento civile.

    L'utenza intercettata, infatti, è quella mediante la quale erano state effettuate conversazioni riferite al traffico di sostanze stupefacenti e che, nei mesi di novembre e dicembre, è utilizzata da persona che chiama altro interlocutore, poi identificato nell'avv. Bellito del Foro di Brescia, e si presenta come Flamur Spahija.

    Il dato «esterno» utilizzato per l'identificazione dell'indagato è quello dell'uso dell'utenza e poi dell'indicazione del suo nome, Flamur Spahija, all'interlocutore. In altri termini, si tratta di dati «esterni» alla conversazione «indirettamente» intercettata con l'avv. Bellito e, pertanto, legittimamente, entro tali limiti, sono stati annotati e utilizzati come elementi attraverso i quali risalire al soggetto che al momento aveva fatto uso dell'utenza intercettata. Mentre ciò che, in applicazione dell'art. 103, comma 7, c.p.p., è inutilizzabile è il contenuto delle conversazioni delle quali solo ex post si è accertato essere inerenti a un procedimento civile.

    Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente, a norma dell'art. 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese del procedimento. (Omissis).

    @CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 32606 (ud. 12 luglio 2006). Pres. Romano - Est. Serpico - P.M. Consolo (diff.)Ric. Improta.

    Termini processuali in materia penale - Sospensione nel periodo feriale - Nozione - Prolungamento dei termini ad essa soggetti in misura corrispondente alla durata della sospensione - Necessità.

    La sospensione feriale dei termini, dando luogo ad una «parentesi processuale» corrispondente alla relativa durata, fissata dalla legge, comporta che i termini che ad essa siano soggetti devono essere prolungati in misura corrispondente a detta durata anche qualora il loro decorso sia iniziato anteriormente al periodo di sospensione e la scadenza si collochi in data successiva alla sua fine. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che, trattandosi del termine di 60 giorni fissato dall'art. 552, comma terzo,...

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