Più garanzie per le videoriprese nel «quasi domicilio»

AutoreLorenzo Pulito
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@1. Linee essenziali ed aspetti problematici della sentenza a Sezioni Unite

- Le video-registrazioni rappresentano un formidabile strumento investigativo, non a caso definito ´irrinunciabileª dalla Corte nella sentenza in esame: è però intuibile la micidiale intrusività di tale mezzo, specie se adoperato per videocaptare scene che si svolgono all'interno delle mura domestiche.

Se nessun problema sorge con riferimento a quelle eseguite nei luoghi pubblici, stante la preventiva rinunzia ad ogni forma di riservatezza effettuata da chi ivi ponga in essere l'azione, la questione si complica in relazione agli ambienti domiciliari, inviolabili ex art. 14 Cost. per volere del Costituente.

Onde rimediare al vuoto legislativo in materia, la giurisprudenza distingue tra videoriprese di comportamenti comunicativi e videoriprese di comportamenti non comunicativi, facendo discendere da tale summa divisio in via interpretativa l'applicabilità della disciplina sulle intercettazioni di conversazioni in luoghi di privata dimora alle registrazioni del primo tipo.

Divergenza di opinioni residua, invece, con riferimento alle videoriprese ai fini investigativi di comportamenti non comunicativi, punctum pruriens che la sentenza in commento si propone di risolvere, tentando di comporre la spaccatura creatasi tra l'orientamento giurisprudenziale che le riteneva qualificabili come prova atipica ammissibile se disposte con atto motivato dell'autorità giudiziaria, e l'orientamento che le riteneva esempio paradigmatico della c.d. ´prova incostituzionaleª, come tali inutilizzabili.

Il contrasto 1 non si era sopito neppure a seguito del noto arresto della Corte costituzionale 2, cui il giudice remittente aveva sostanzialmente richiesto una sentenza additiva 3 che dichiarasse l'incostituzionalità degli artt. 266-271 c.p.p. nella parte in cui non estendono il proprio ambito di applicabilità anche alle video-registrazioni di immagini domiciliari, e dell'art. 189 c.p.p. nella parte in cui rende ammissibili le suddette attività investigative in assenza di una sufficiente predeterminazione normativa dei ´casiª e ´modiª di legittima aggressione al diritto alla intimità domiciliare; nel dichiarare non fondata la questione la Consulta non ha dissolto energicamente i dubbi che si erano affacciati all'orizzonte per effetto della ordinanza del giudice a quo, tanto è vero che la sopra ricordata spaccatura giurisprudenziale ha continuato ad esistere anche dopo il suo pronunciamento.

Invero, alla radice della questione vi è la problematica di carattere dogmatico concernente il sistema delle prove penali nel nostro ordinamento.

Tutte le volte in cui, come nella fattispecie, la prova penale si pone in contrasto con valori e principi dell'ordinamento costituzionale il sistema va in sofferenza, ed è facile che le esigenze investigative finiscano per prendere il sopravvento su quelle di garanzia dei diritti inviolabili dell'individuo.

È anche per sopperire a questo stato di cose che è stata elaborata la c.d. teoria della prova incostituzionale 4, alla cui stregua i canoni costituzionali operano direttamente sul sistema delle prove penali e, tutte le volte che la prova si pone in contrasto con la Carta, scatta implacabile ex art. 191 c.p.p. (la cui locuzione ´divieti stabiliti dalla leggeª sarebbe inclusiva anche della legge costituzionale) la sanzione della inutilizzabilità processuale del materiale acquisito.

Di opposto avviso altra parte della dottrina e della giurisprudenza, alla cui stregua i canoni costituzionali opererebbero indirettamente, cosicché occorrerebbe la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 189 c.p.p. perché una prova in contrasto con la ´legge fondamentaleª possa dirsi incostituzionale 5.

Il Supremo Collegio, nel far salvo l'impianto di fondo della giurisprudenza (recte: la summa divisio), si propone lo scopo di specificare quello che la Consulta aveva detto fra le righe e non senza ambiguità, ovvero che le videoriprese di comportamenti non comunicativi in ambito domiciliare, in assenza di disciplina legislativa, non sono prove idonee a fondare un giudizio di responsabilità penale.

La trama seguita per giungere alla conclusione sopra riportata è alquanto inedita, perché la Corte di Cassazione premette e precisa di non voler prendere posizione sulla disputa dogmatica che fa da sfondo alla questione.

Escluso tout court di poter parlare, nel caso venuto al suo esame, di prova incostituzionale, sull'indimostrato assunto che tale sarebbe a rigore solo quella tipica, le videoriprese de qua secondo gli Ermellini assurgerebbero alla stregua di una prova atipica (sempre) inammissibile alla luce del combinato disposto degli artt. 189-190 c.p.p.

Quest'ultima norma, nel prevedere come il giudice debba sempre escludere le ´prove vietate dalla leggeª, non permetterebbe di far acquisire al processo la prova vietata dalla legge costituzionale.

Il risultato pratico appare condivisibile: può dirsi finito il tempo in cui il solo atto motivato dell'autorità giudiziaria valeva a porre nel nulla un divieto costituzionale, l'inviolabilità del domicilio, ed a far valere meno di zero la riserva di legge di cui all'art. 14 Cost. Page 496

Dal punto di vista motivazionale, invece, la sentenza non appare decisiva, restando ´intatta la questione ermeneutica che si era tentato di evitareª 6.

Sembra restare valido, allora, l'insegnamento secondo cui un sistema legislativo che consentisse di usare nel processo prove raccolte con un'illegittima compressione di un diritto inviolabile, entrerebbe in conflitto con la Costituzione 7.

Ancora più perplessità desta la definizione di domicilio fornita dalla Corte, che viene a creare la figura di quello che si potrebbe definire ´quasi domicilioª.

Perché possa parlarsi di domicilio occorrerebbe, nel pensiero dei Giudici di Piazza Cavour, la concorrente presenza di due elementi: la circostanza che chi occupa lo spazio fisico sia titolare di uno ius excludendi alios, ma anche - è qui la ´novitઠ- che vi sia stabilità del rapporto tra la persona e il luogo, che deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente.

Solo detto requisito, secondo la Corte, ´può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un'autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità. Pertanto, secondo la sentenza in commento, toilettes, privè e luoghi analoghi non possono considerarsi domicilio neppure nel tempo in cui sono occupati da una persona, vista la transitorietà e non esclusività del rapporto.

Tuttavia, questi ultimi ambienti, per le loro caratteristiche o funzioni, tali da ingenerare in colui che li occupa una apprezzabile aspettativa di riservatezza, se non risultano meritevoli della medesima tutela del domicilio, non possono essere esposti a qualsiasi intrusione, ma vanno comunque tutelati, sia pure in maniera più debole poiché sulla scorta dell'art. 2 Cost., integrano dall'art. 8 Conv. eur. dir. umani e dall'art. 17 Patto int. dir. civ. e pol., previsioni tutte volte a riconoscere il diritto alla riservatezza ed alla privatezza dell'individuo.

In conclusione, secondo la Cassazione, le video-riprese eseguite in questi luoghi possono essere acquisite come prova atipica, sempre che siano state disposte nel rispetto del ´requisito minimoª, rappresentato dall'atto motivo dell'autorità giudiziaria 8.

Orbene, il decisum della Corte sembrerebbe comporre in maniera equilibrata la problematica, creando e rafforzando la tutela del luogo in maniera proporzionale all'aspettativa di riservatezza che legherebbe l'individuo ad esso: lo sforzo, pur apprezzabile, non convince.

Le ragioni del dissenso, che si avranno modo di illustrare qui appresso, conducono verso una soluzione obbligata: l'auspicio, per non dire l'assoluta necessità, che intervenga il legislatore a disciplinare in maniera unitaria le video-registrazioni ai fini investigativi.

@2.Punti critici dell'approdo giurisprudenziale...

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