Veicoli fuori uso: quando possono considerarsi rifiuti?

AutoreGiulia Guagnini
Pagine575-577

Page 575

@1. Introduzione

La corretta identificazione delle caratteristiche che un veicolo deve possedere per essere qualificato “rifiuto” non è mera questione dogmatica, in quanto essa attiene alla corretta individuazione della disciplina normativa applicabile. Infatti, qualora il veicolo costituisca rifiuto, troverà applicazione il D.L.vo 24 giugno 2003, n. 209 (“Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso”, come modificato dal D.L.vo 23 febbraio 2006, n. 149) che per tutti i veicoli giunti a fine vita rende necessaria la rottamazione per evitare impropri utilizzi, rischiosi sia per l’ambiente che per la salute umana.

@2. Nozione di rifiuto: in particolare i veicoli fuori uso

In primis si può richiamare la nozione generale di “rifiuto”, contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. a) del D.L.vo n. 152/2006 (c.d. Testo Unico Ambientale) ed elaborata coerentemente con gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria: «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».

Con specifico riferimento ai veicoli, l’art. 3, comma 1, lett. a) del D.L.vo n. 209/2003 stabilisce che debbano intendersi tali «i veicoli a motore appartenenti alle categorie M1 ed N1 di cui all’allegato II, parte A, della direttiva 70/156/CEE1, ed i veicoli a motore a tre ruote come definiti dalla direttiva 2002/24/CE2, con esclusione dei tricicli a motore»3. Ancora più puntualmente, la lettera b) fornisce una definizione di “veicolo fuori uso”: «veicolo di cui alla lettera a) a fine vita che costituisce un rifiuto ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche». Il comma 2 del medesimo articolo precisa che «un veicolo è classificato fuori uso ai sensi del comma 1, lettera b):

  1. con la consegna ad un centro di raccolta, effettuata dal detentore direttamente o tramite soggetto autorizzato al trasporto di veicoli fuori uso oppure con la consegna al concessionario o gestore dell’automercato o della succursale della casa costruttrice che, accettando di ritirare un veicolo destinato alla demolizione nel rispetto delle disposizioni del presente decreto rilascia il relativo certificato di rottamazione al detentore;

  2. nei casi previsti dalla vigente disciplina in materia di veicoli a motore rinvenuti da organi pubblici e non reclamati;

  3. a seguito di specifico provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria;

  4. in ogni altro caso in cui il veicolo, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono».

Nonostante la chiarezza del dettato normativo, spesso non è agevole identificare con sicurezza un veicolo come rifiuto, come testimoniano le numerose sentenze succedutesi negli anni sul punto.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la nozione di rifiuto - in generale - debba essere improntata al criterio oggettivo ed immediato della c.d. “destinazione naturale all’abbandono”, da intendersi non nel senso civilistico della “res nullius” o “derelicta”, ossia disponibile all’apprensione di chiunque, «bensì di oggetto o di sostanza ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso o destinato a essere dismesso da colui che lo detiene»4. Ciò in quanto la procedura prevista dagli artt. 927 e 929 c.c. riguarda la diversa ipotesi del ritrovamento di cose smarrite o l’ipotesi di cose già abbandonate dal proprietario. Per contro, «esulano dalla categoria dei rifiuti i beni, le sostanze, o i materiali residuali di produzione o di consumo quando gli stessi possano essere e siano effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in un diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire...

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