Il risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale alla luce della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972

AutoreAldo Fittante
CaricaAvvocato, Foro di Firenze
Pagine675-678

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Nell’ambito della responsabilità per illecito extracontrattuale sussiste un sistema di risarcimento bipolare, attraverso il quale è possibile discernere tra due forme di danno:

– danno patrimoniale, risarcibile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2043 c.c.;

– danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c.

Orbene, il danno patrimoniale comprende il risarcimento dei danni economici di natura patrimoniale, conseguenti ad un evento dannoso che impedisca al danneggiato di percepire una o più utilità economiche che avrebbe aggiunto al suo patrimonio se il danno non si fosse verificato.

Dal damnum emergens (perdita subita) consistente nella diminuzione del patrimonio del danneggiato (spese mediche, funerarie, ecc.), va tenuto distinto il lucrum cessans (mancato guadagno), concernente l’interruzione forzata di un processo produttivo di utilità che avrebbero procurato al danneggiato un legittimo accrescimento patrimoniale.

Naturalmente, la concreta quantificazione del lucrum cessans richiede valutazioni fondate non solo su elementi oggettivi, ma anche su criteri logico-deduttivi, ovvero sulla base di ragionevoli, e possibilmente attendibili, proiezioni ipotetiche. Occorre, pertanto, simulare i processi operativi e di scelta che il danneggiato avrebbe potuto legittimamente ed ordinariametne perseguire, nonché individuare con precisione quali concrete ed effettive possibilità non si siano tradotte nell’atteso e ricercato vantaggio, a causa dell’evento dannoso.

Diversamente, il danno non patrimoniale consiste nella lesione di un bene inidoneo a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato, ma che costituisce, in ogni caso, un interesse direttamente protetto dall’ordinamento giuridico ed in quanto tale può affermarsi la sua natura di interesse rivestito di valore economico, pertanto suscettibile di risarcimento.

In base ad un lento, ed alquanto complesso, processo giuridico evolutivo si è giunti ad una visione tripartitica del danno non patrimoniale1, estesa:

1) al danno biologico;

2) al danno morale subiettivo;

3) al danno esistenziale.

Mentre la qualificazione giuridica del danno esistenziale, definito alla stregua di danno derivante dalla lesione dei diritti della personalità, ovvero come danno alla vita di relazione, dovuto ad un’alterazione dei rapporti familiari sociali, culturali, affettivi conseguenti all’evento lesivo2, e del danno morale (c.d. pretium doloris), costituente reato, non presentano particolari problemi dommatici (salvo quanto si dirà a proposito del recente intervento della Cassazione a Sezioni Unite), particolare attenzione merita, viceversa, il danno biologico, in quanto il medesimo rappresenta senza dubbio la voce di maggior rilevanza giuridica (oltre che di maggior consistenza economica) anche dal punto di vista squisitamente storico.

L’integrità psico-fisica costituisce, infatti, una delle principali articolazioni del bene «salute», il quale rappresenta, indubbiamente, uno dei beni più significativi della persona umana, tutelato dall’art. 32 Cost.3, alla stregua di un diritto primario da atto illecito, determina, inequivocabilmente, l’insorgenza di un obbligo di riparazione4.

Inizialmente, il risarcimento del danno all’integrità psico-fisica veniva riconosciuto nel duplice limite della sua incidenza sulla capacità di produrre reddito della persona (ovvero come danno patrimoniale, c.d. danno conseguenza) e della possibilità di sussunzione ad un caso di risarcimento espressamente determinato dalla legge (danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.)5.

Dottrina e giurisprudenza, tuttavia, con il passare degli anni hanno sempre manifestato una certa insofferenza verso l’impianto restrittivo di tutela offerto dal legislatore, poiché lo stesso non teneva debitamente conto del rilievo costituzionale della persona umana, tant’è che verso la metà degli anni settanta si tende a riconoscere il risarcimento del danno laddove il medesimo non abbia una conseguenza diretta sul patrimonio del danneggiato e non derivi da un fatto costituente reato6. In altre parole, viene a configurarsi la nuova categoria del c.d. danno biologico, qualificato alla stregua di un danno ingiusto derivante da illecito civile e come tale rientrante nell’ambito applicativo dell’art. 2043 c.c.7, che, inizialmente, si presenta quale tertium genus all’interno delle voci di danno risarcibile8.

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Tale interpretazione, suffragata nel tempo da copiose pronunce giurisprudenziali9, ha subito una sostanziale revisione intorno alla metà degli anni novanta, quando il risarcimento del danno all’integrità psico-fisica del soggetto è stato riportato nell’alveo dell’art. 2059 c.c.10.

Quest’ultima interpretazione ha trovato il conforto della recente giurisprudenza, orientata verso il superamento della lettura restrittiva dell’art. 2059 c.c.11, riconoscendo alla categoria del danno non patrimoniale un’ampia portata comprensiva di ogni ipotesi in cui...

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