Esistono termini processuali preclusivi in tema di richiesta di prove?

AutoreGiuseppe Luigi Fanulli
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@1. Premessa.

Le tappe fondamentali attraverso le quali si snoda il diritto alla prova sono essenzialmente tre, e vengono escritte dagli att. 468, 493 e 507 c.p.p.

Secondo l'interpretazione più restrittiva, che ha trovato spazio anche in giurisprudenza, specie nei primi anni di applicazione del nuovo codice di procedura penale, gli artt. 468, 493 e 495 c.p.p. pongono uno sbarramento temporale, rispettivamente, alla indicazione e all'ammissione di prove, ad evitare l'introduzione di «prove a sorpresa», essendo il modello processuale italiano improntato ad una piena discovery, nel solco di una tradizione tipicamente europea che non tollera colpi di scena nell'assunzione della prova 1.

In sostanza, dalle ricordate disposizioni si ricava il divieto assoluto, per le parti, di introdurre prove nuove e diverse da quelle prospettate nello spazio esplicativo loro riservato in apertura di dibattimento, divieto che sarebbe finalizzato a garantire, conformemente alla struttura del nuovo codice, una piena ed anticipata discovery di tutti i mezzi di prova. Dopo tale fase residuerebbe solo il potere di iniziativa istruttoria del giudice ex art. 507 c.p.p., oltretutto ai casi di «assoluta necessità».

Negli ultimi anni tale rigida interpretazione, come si vedrà, è stata superata. In giurisprudenza, ad esempio, all'anzidetto divieto sono state introdotte deroghe in materia di prova documentale e di prova «sopravvenuta»; inoltre, gli stessi presupposti dell'esercizio del potere di cui al citato art. 507 c.p.p. sono stati interpretati in senso sempre più estensivo.

È mancato, peraltro, un intervento che, non limitandosi a trattare dei limiti sanciti per singoli mezzi di prova, abbia affrontato, più in generale, il problema della preclusione processuale in materia probatoria.

In questa sede si cercherà di esplorare il terreno della preclusione processuale al fine di verificare se la ricordata disciplina codicistica in materia probatoria configuri un regime di preclusioni in senso proprio o se, invece, stabilisca una «sequenza» procedimentale «normale» che può (e deve) essere superata ogni qual volta risulti comunque acquisibile una prova necessaria (o anche soltanto utile) ai fini della decisione.

@2. Le liste di cui all'art. 468 c.p.p.

L'art. 468 comma 1 c.p.p. impone, a pena di inammissibilità, alle parti che intendono chiedere l'esame di testi, periti e consulenti tecnici, il deposito preventivo («almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento») di una lista contenente l'individuazione dei soggetti e «l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame». La discovery così assicurata è finalizzata ad evitare l'ingresso nel processo di prove a sorpresa 2.

Per quanto attiene ai mezzi di prova ricompresi entro l'ambito di operatività dell'art. 468 c.p.p., la testuale limitazione a testimonianza, esame del perito, esame del consulente tecnico porta ad escludere che per l'esame delle parti sussistano obblighi di deduzione in fase dibattimentale.

Problemi interpretativi si pongono, invece, per l'esame di imputato di reato connesso o collegato.

Poiché l'art. 210 comma 2 c.p.p. prevede, per tale mezzo di prova, l'osservanza delle «norme sulla citazione dei testimoni», si è correttamente affermato, in dottrina 3, che l'art. 468 c.p.p., nella sua globalità (l'ovvia esclusione del comma 5) deve intendersi richiamato dalla disposizione in esame 4.

Va detto, inoltre, che, a seguito della nota sentenza della Corte costituzionale 26 ottobre - 2 novembre 1998 n. 361 5, che ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 210 c.p.p. «nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri...», la disciplina dell'art. 468 c.p.p. dovrà essere applicata anche quando si vorrà procedere all'esame dell'imputato, su circostanze riguardanti responsabilità altrui.

Definito il campo di applicazione dell'art. 468 c.p.p., occorre precisare che l'obbligo di preventiva discovery patisce non poche eccezioni. Anzitutto, si rinviene la deroga generale prevista dall'art. 493 comma 3 c.p.p. per i mezzi di prova che la parte dimostra di non aver potuto indicare tempestivamente 6. In secondo luogo, trattandosi di oneri che devono essere assolti dalle parti, gli stessi non possono incombere su soggetti che, pur essendo titolari di poteri di iniziativa in sede di richieste istruttorie, non sono, tuttavia, parti del processo. Il riferimento è all'art. 505 c.p.p., norma che riconosce agli enti ed alle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato la facoltà di «chiedere al presidente di rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti private che si sono sottoposte all'esame» e, soprattutto, di «chiedere al giudice l'ammissione di nuovi mezzi di prova utili all'accertamento dei fatti». L'esercizio di tali facoltà si inserisce, pertanto, in una sorta di zona franca, ove, comunque, non risulta essere salvaguardato dal «diritto alla prova» che, invece, assiste le iniziative probatorie delle parti 7.

Vi sono, poi, eccezioni che discendono dalla natura del mezzo di prova che si vuole assumere. Così è per la testimonianza indiretta, ove la necessità o la opportunità di chiedere l'esame del teste di riferimento sorgono soltanto all'esito dell'escussione del teste de relato; lo stesso dicasi per il confronto, i cui presupposti di ammissibilità discendono dall'andamento dell'istruttoria dibattimentale. A ciò si aggiunga la possibilità per le parti, in relazione alle circostanze indicate nelle liste, di citare a prova contraria testimoni, periti e consulenti non compresi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento ex art. 468 comma 4 c.p.p. Il che porta a riconoscere, tra l'altro, al pubblico ministero, decaduto dalla prova diretta per violazione dell'onere di cui al ricordato primo comma dell'art. 468, il diritto all'ammissione delle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico 8.

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@3. Lo sbarramento temporale contemplato dagli artt. 468, 493 e 495 c.p.p. e le prove «sopravvenute».

A prescindere dalle deroghe sopra evidenziate, lo sbarramento di cui all'art. 468 c.p.p. mostra evidenti limiti sul piano delle sopravvenienze fattuali 9, quali, ad esempio, la prova materialmente nuova (ad es. testimonianza su fatti rilevanti per il processo, accaduti dopo l'apertura del dibattimento); la prova preesistente al termine di cui all'art. 468 c.p.p., ma solo sucessivamente scoperta; la prova preesistente e nota, inizialmente non idonea a superare il vaglio di ammissibilità (teste manifestamente superfluo o irrilevante) che non sia più tale; la testimonianza la cui rilevanza emerga solo nel dibattimento.

Alle segnalate esigenze non sembra rispondere adeguatamente la previsione di cui all'art. 493 comma 3. Trattasi, infatti, di norma con un raggio di azione assai limitato, sia con riguardo al momento processuale in cui esaurisce la sua efficacia (per la sua chiara collocazione sistematica essa trova applicazione in un momento anteriore all'istruzione dibattimentale), sia con riguardo alle prove specifiche alle quali si riferisce (testimonianze e le altre prove contemplate dall'art. 468 c.p.p.): la norma sarebbe comunque inutilizzabile qualora, nel corso dell'istruzione dibattimentale, la parte intendesse chiedere, ad es., una ispezione o una ricognizione.

Ciò evidenzia che la previsione di rigidi sbarramenti temporali all'esercizio del diritto alla prova non appare sempre conciliabile con la mutevolezza della situazione di fatto sullo sfondo della quale si svolge il processo 10.

A tale riguardo, si è andata consolidando la posizione interpretativa secondo cui il diritto delle parti alla prova rimane integro anche oltre le preclusioni processuali previste dagli artt. 468 e 493 c.p.p., per tutti i casi di sopravvenienze.

Vi è chi fa leva su una interpretazione estensiva dell'art. 493 comma 3 c.p.p., il cui contenuto normativo varrebbe, quindi, anche per le prove scoperte e sopravvenute nel corso del giudizio 11. Altri ha individuato un argomento letterale di notevole rilievo nel contenuto normativo dell'art. 603 comma 2 c.p.p., ove si prevede che il giudice è tenuto a disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, secondo i parametri ordinari (art. 495 comma 1 c.p.p.) quando si tratti di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. Su tale premessa è stata evidenziata l'irrimediabile illogicità dell'argomentazione che negasse alle parti (nel corso del giudizio di primo grado), quel pieno esercizio del diritto alla prova che poi potrebbe ottenere in appello 12. Sarebbe, invero, difficilmente sostenibile che il legislatore abbia voluto un così evidente spreco di attività giudiziaria (posto che la parte interessata sarebbe costretta a proporre appello solo per fare qualcosa che di fatto, e più logicamente, avrebbe potuto fare in primo grado) 13.

Ulteriore argomento letterale si ricava indubbiamente dall'art. 495 comma 4 prima parte, laddove è previsto che il giudice decide con ordinanza sulle eccezioni di parte circa l'ammissibilità delle prove «nel corso della istruzione dibattimentale». La norma pare voler significare che appunto nel corso dell'istruzione dibattimentale sono possibili nuove questioni sull'ammissibilità delle prove, e, quindi (a monte) nuove richieste di ammissione delle prove 14. Che la norma medesima si riferisca a prove richieste per la prima volta nel corso del dibattimento risulta in particolare dal confronto tra la prima e la seconda parte del citato comma 4, posto che è la seconda parte di tale comma ad esaurire l'area delle decisioni sulle prove già richieste nella esposizione introduttiva 15.

Inoltre, deve considerarsi che l'art. 506 comma 1 c.p.p. attribuisce al presidente del collegio la facoltà di segnalare ex officio alle parti «temi di prova nuovi e più ampi...

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