L'esecuzione per rilascio nella disciplina codicistica

AutoreAldo Carrato
Pagine497-500

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L'art. 2930 c.c. stabilisce che, qualora non venga adempiuto l'obbligo di consegnare un bene mobile o di rilasciare un bene immobile, l'avente diritto - ovvero il titolare dell'inerente titolo esecutivo - può ottenere che si provveda al soddisfacimento della sua legittima pretesa nelle forme dell'esecuzione forzata in forma specifica, la cui disciplina è contenuta, per la precisione, negli artt. 605-611 del codice di rito.

Occorre in prima battuta precisare, in particolare, che all'esecuzione per rilascio sono specificamente riferibili le disposizioni previste dagli artt. 605, 608, 609, 610 e 611.

Per come si desume dalla struttura emergente dall'ordinamento positivo 1, nell'esecuzione in questione l'organo intorno al quale gravita l'attività procedimentale si identifica, in via principale, con l'ufficiale giudiziario, mentre il ruolo del giudice dell'esecuzione (coincidente, a seguito della riforma operata con il D.L.vo n. 51/1998, con il tribunale in composizione monocratica del luogo ove si trova l'immobile da rilasciare, in relazione al disposto dell'art. 26 c.p.c.) si profila essenziamente marginale, nel senso che il suo intervento è limitato ed eventuale, poiché lo svolgimento della sua funzione subentra soltanto nel caso in cui vengano prospettate difficoltà materiali da risolvere (art. 610 c.p.c.) oppure si debba procedere alla liquidazione delle spese incontrate dall'esecutante (art. 611 c.p.c.).

Naturalmente ciò accade nell'ambito fisiologico dello sviluppo del tipo in esecuzione specifica in esame, perché rimane naturalmente impregiudicato lo svolgimento della sua più incisiva funzione nell'ipotesi in cui le parti aventi interesse formulino le opposizioni esecutive, le quali, peraltro, introducono giudizi di natura cognitiva, il cui oggetto attiene alla legittimità - dal punto di vista sostanziale o formale - della stessa instaurazione e/o prosecuzione della procedura esecutiva.

La marginalità e l'eventualità dell'intervento del giudice dell'esecuzione è rinvenibile anche dalla considerazione che, in questo tipo di procedimento esecutivo, non è prevista la formazione di un fascicolo d'ufficio in cui debbano essere contenuti gli originali notificati del titolo esecutivo e del precetto, mentre all'ufficiale giudiziario procedente compete esclusivamente di verificare l'esistenza del titolo enunciato nel precetto 2.

L'essenziale disciplina codicistica dedicata all'esecuzione in discorso si apre con l'indicazione dei caratteri del relativo precetto che ne deve preannunciare l'inizio, ma non si occupa dell'elencazione della tipologia dei titoli esecutivi che ne legittimano l'instaurazione, essendo, naturalmente, indiscusso che il singolo titolo, spedito in forma esecutiva, deve essere in ogni caso preventivamente notificato all'obbligato al rilascio, e tanto sulla scorta del riferimento generale emergente dal disposto dell'art. 479 del codice di rito.

In dipendenza del tipo di obbligo discendente in sede coattiva (invero finalizzato al rilascio di immobili), si deve escludere, per incompatibilità ontologica, che l'esecuzione in questione possa essere fondata su quei tipi di titoli esecutivi la cui portata è limitata a somme pecuniarie, come accade per la sfera dei titoli richiamati ai nn. 2) e 3) dell'art. 474 c.p.c. 3.

Da ciò consegue che l'esecuzione per rilascio, in ambito locativo, deve essere basata o su una sentenza di condanna 4 o su altro provvedimento al quale la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, i quali si identificano, essenzialmente, con l'ordinanza di convalida di licenza o sfratto resa ai sensi dell'art. 663 c.p.c., con l'ordinanza provvisoria di rilascio (con riserva delle eccezioni del convenuto) di cui all'art. 665 e con l'ordinanza di rilascio emessa, in caso di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, ai sensi dell'art. 30 della L. n. 392/1978.

La dottrina assolutamente prevalente 5 ritiene che l'esecuzione forzata in discorso può essere fondata an che su verbale di conciliazione giudiziale 6, rilevando al riguardo che l'art. 185 c.p.c. non individua alcuna limitazione al riguardo, sottolineandosi - secondo determinati indirizzi teorici - che il verbale di conciliazione, pur non essendo un provvedimento emesso da un giudice, può essere annoverato tra i titoli esecutivi di formazione giudiziale perché l'esecutività gli è attribuita in quanto si tratta di un atto che, pur riproducendo la manifestazione della volontà negoziale delle parti, viene formato nell'ambito di un procedimento giudiziale (indipendentemente dalla circostanza che il giudice abbia contribuito al raggiungimento dell'accordo).

La giurisprudenza predominante è, invece, orientata in senso contrario.

Con riferimento alla possibile eseguibilità in forma specifica degli obblighi derivanti da un verbale di conciliazione è intervenuta, però, di recente, ancorché con riguardo all'esecuzione degli obblighi di fare, la Corte Costituzionale 7 che ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 612 c.p.c., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 113 Cost., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevede l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare sulla base di un verbale di conciliazione giudiziale sotto il controllo del giudice dell'esecuzione, in quanto - premesso che la conciliazione giudiziale è un istituto preordinato alla definizione delle liti, che eventuali ragioni ostative all'esecuzione degli obblighi di cui all'art. 612 c.p.c. devono essere valutate non ex post, e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse preesistono, in sede di formazione dell'accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza può concludersi solo se la natura della causa lo consente, mentre eventuali ragioni di ineseguibilità sopravvenute alla conciliazione giudiziale o preesistenti, nel caso di conciliazione conclusesi al di fuoriPage 498 del controllo del giudice, possono essere oggetto di opposizione - l'art. 612 c.p.c. può essere letto nel senso che esso consenta il procedimento di esecuzione disciplinato dalle disposizioni che lo seguono anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione; una diversa interpretazione negherebbe il valore di accelerazione della definizione della controversia, che costituisce la principale caratteristica della conciliazione e comporterebbe un irragionevole seppur parziale sacrificio del diritto di difesa, nonché una protrazione altrettanto irragionevole dei tempi del processo.

Chiarito questo aspetto, bisogna continuare col dire che in seguito alla notifica del titolo esecutivo 8, occorre, ovviamente, provvedere alla notificazione del precetto, la cui funzione è appunto quella di preannunziare l'intenzione di procedere esecutivamente al trasferimento del potere di fatto sull'immobile. E proprio per la specificità dell'oggetto dell'esecuzione, è indispensabile che tale atto preliminare, oltre alle indicazioni generali prescritte dall'art. 480 c.p.c. 9, riporti la descrizione sommaria, ancorché precisa ed inequivoca, del bene che dovrà costituire oggetto del rilascio forzato 10.

Non priva di effetti si prospetta, inoltre, la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte procedente nel comune in cui ha sede il giudice competente. Invero, in mancanza, le opposizioni al precetto si propongono dinanzi al giudice del luogo in cui lo stesso è stato notificato e le notifiche sono (legittimamente) effettuate direttamente presso la sua cancelleria. Inoltre la predetta indicazione è importante anche ai sensi del disposto dell'art. 489 c.p.c., poiché le notificazioni e le comunicazioni devono essere compiute, nel corso del procedimento esecutivo e nell'ambito di esso, presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto nel precetto, con la previsione che, in difetto, le stesse vanno effettuate presso la cancelleria del giudice dell'esecuzione 11.

È rilevante osservare che la giurisprudenza ha chiarito che la notifica del precetto e le altre formalità preliminari dell'esecuzione del rilascio possono essere eseguite anche prima della scadenza del termine fissato dal giudice ai sensi dell'art. 56 della L. n. 392/ 1978 12.

L'art. 608 c.p.c. - diversamente dal precedente art. 606 (con riguardo all'esecuzione per consegna di beni mobili) - impone che, anteriormente al suo accesso, l'ufficiale giudiziario procedente dia avviso, almeno tre giorni prima, alla parte esecutanda del giorno e dell'ora in cui procederà al rilascio forzato.

Il preavviso di rilascio, nella costruzione del legislatore, costituisce pertanto un passaggio obbligato nell'ambito dell'esecuzione forzata in forma specifica per rilascio, in ordine alla quale è rimasto per molto tempo dibattuto il problema dell'individuazione del suo effettivo inizio, soprattutto alla stregua di alcune voci dissonanti - rispetto all'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza - promananti da alcuni indirizzi dottrinali.

Invero secondo l'insegnamento della giurisprudenza assolutamente prevalente il menzionato preavviso rappresenta un atto preliminare all'esecuzione cui è riferito, alla stessa stregua del precetto, ed ha fondamentalmente la funzione di preavvertire l'esecutato del giorno e dell'ora stabiliti in cui si procederà al rilascio, onde consentirgli di provvedere spontaneamente al rilascio stesso o di essere presente alle operazioni che l'ufficiale giudiziario dovrà compiere per l'immissione dell'istante nel possesso dell'immobile oggetto dell'esecuzione forzata 13.

Nella pratica il giorno da individuare ai fini dell'immissione in possesso ed ancor prima allo scopo della notificazione del preavviso in questione viene concordato tra la parte esecutante e l'ufficiale giudiziario, che in concreto procederà alle relative operazioni, e l'unico aspetto essenziale da osservare è che sia rispettato il termine di almeno tre giorni prima...

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