Risarcimento ex art. 1591 C.c.: eppur si muove qualche volta, la giurisprudenza, nella giusta direzione

AutoreNino Scripelliti
Pagine518-519

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  1. - Il dibattito nell'ultimo decennio, in dottrina ed in giurisprudenza, sulla applicazione dell'art. 1591 c.c. in relazione, prima, con l'art. 1 bis D.L. n. 551/1988 (convertito con legge n. 61/1989) poi con l'art. 6 comma 6 della legge n. 431/1998, si trova nella fase discendente di quella curva che sovente caratterizza le questioni giuridiche, le quali risentono dello stato di quel settore della vita reale disciplinato dalla legge la cui applicazione è controversa, e quindi sorgono, hanno un picco di interesse e successivamente possono entrare in una fase calante: o perché l'incertezza si è dissolta sia pure con i tempi della giurisprudenza, o perché nella vita reale la conflittualità e quindi il contenzioso sono cessati e si sono attenuati. Così accade per le locazioni abitative, ove per effetto della nuova disciplina il contenzioso si è drasticamente ridotto, mentre l'eliminazione del canone legale (rectius, politico) e l'introduzione progressiva dei canoni di mercato, va riducendo col passare del tempo quel divario tra l'indennità di occupazione basata, negli anni passati, sull'equo canone, ed il canone di mercato ora pienamente ripristinato.

  2. - Nel contenzioso sulla applicazione dell'art. 1591 c.c., si possono quindi distinguere, con la dovuta approssimazione, tre fasi: la prima, fino all'entrata in vigore dell'art. 11 del D.L. n. 333/1992 (convertito con legge n. 359/1992) che introdusse i patti in deroga, in quanto durante il vigore del canone legale non era nemmeno possibile per il locatore ipotizzare l'esistenza di un danno risarcibile a causa della mancanza di un riferimento anche indiretto al canone di mercato; la seconda fase caratterizzata dai patti in deroga e quindi dal ripristino graduale del mercato delle locazioni, rafforzato dalla entrata in vigore della legge n. 431/1998 (fase nella quale permangono gli effetti dell'equo canone nella determinazione della indennità di occupazione ex art. 14 comma 5, per tutti i rapporti in corso alla entrata in vigore della nuova legge); ed infine, la terza e conclusiva fase che ha avuto inizio dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 482 del 9 novembre 2000 1, che ha rappresentato un fattore decisivo nella sistemazione della questione 2.

  3. - Detto questo giusto per un minimo di inquadramento del problema, si può affermare che la sentenza del Tribunale di Firenze che si annota rappresenta prima di tutto, per correttezza logico-giuridica e rigore argomentativo, un esempio che si vorrebbe più frequente, di onestà intellettuale. E ciò nel senso che la sentenza, proprio per il consapevole e motivato dissenso che la ispira rispetto all'orientamento imperante della giurisprudenza di legittimità ed anche di merito, può essere indicata come onesto frutto della indipendenza del giudice, intesa, a differenza di quanto sovente accade, non come affermazione velleitaria di principi minoritari per il solo gusto di ostentazione di indipendenza (e quindi prima di tutto, il danno del principio, di valore assoluto, della parità di trattamento di tutti gli utenti del servizio pubblico della giustizia civile da parte della amministrazione, intesa come compelsso organizzato di tutti gli uffici giudiziari), ma come assunzione della responsabilità della motivazione del dissenso e della confutazione vigorosa e persuasiva di correnti interpretative giurisprudenziali maggioritarie, che per essere consolidate da tempo, assumono valore di diritto vivente e vera e propria forza di legge 3.

  4. - Ora, per venire al caso concreto, la sentenza tratta di fattispecie relativa al risarcimento (per responsabilità contrattuale) a carico dell'ex conduttore inadempiente alla obbligazione di restituzione dell'immobile nella disponibilità del locatore, e del possibile maggior danno rispetto a quell'ordinamento riconosciuto dall'art. 1591 c.c., che è pari al canone di locazione convertitosi dopo la cessazione della locazione, in indennità di occupazione. Dunque, si tratta del diritto del locatore che inutilmente tenta di ottenere l'esecuzione di uno sfratto nelle zone caratterizzate da tensione abitativa (perché a queste, è bene sottolineare, è limitata la disciplina del D.L. n. 551/1988 e dell'art. 6 della legge n. 431/1998), al risarcimento dei danni conseguenti ai tempi biblici della esecuzione (spesso, ma non sempre, giustificati dalle tensioni sociali conseguenti alla crisi delle locazioni abitative) e che, intuitivamente, il proprietario vorrebbe commisurare alla differenza tra l'indennità di occupazione che spesso, dati i tempi degli sfratti, corrisponde all'equo canone, ed il canone che sarebbe stato ottenibile dal mercato se l'appartamento fosse stato libero e disponibile per la locazione.

  5. - A tale proposito occorre prendere atto che rispetto al riconoscimento di tale diritto, la giurisprudenza ha elevato almeno due distinte barriere, la prima delle quali è costituita dalla applicazione per l'intero periodo di mora da parte del conduttore (dalla scadenza del contratto al rilascio dell'immobile), della maggiorazione forfetaria del 20%, originariamente prevista dall'art. 1 bis del D.L. n. 501/1988, e considerata come totalmente esaustiva di diritti del locatore 4, a maggior ragione dopo l'entrata in vigore dell'art. 6 comma 6 della legge n. 431/1998 qualificata come norma di interpretazione autentica dell'art. 1 bis del D.L. n. 551/ 1988 e comunque avente efficacia retroattiva 5 e che ha confermato tale maggiorazione fino all'effettivo rilascio dell'immobile. La seconda barriera, se si considera lo specifico danno subito dal locatore per effetto della perdita del maggior canone che egli avrebbe potuto ottenere se avesse avuto la disponibilità dell'appartamento locato, è rappresentata dalla costante affermazione della giurisprudenza di legittimità e di merito, secondo la quale per...

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