Risparmio energetico e maggioranze assembleari

AutoreCarlo del Torre
Pagine325-329

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Correva l'anno 1991 allorché il legislatore, nell'ambito di una normativa di attuazione del piano energetico nazionale1, previde con la L. 10/91 delle norme rivelatesi capaci di incidere in modo abbastanza deciso sulla vita condominiale ed in particolare sulle dinamiche assembleari: l'art. 26 di detta legge infatti, e segnatamente ai commi secondo e quinto, intervenne in materia di maggioranze condominiali dando l'impressione, almeno prima facie, che determinate decisioni potessero essere assunte con la mera maggioranza delle quote millesimali, indipendentemente dalla congiunta maggioranza per teste di cui all'art. 1136 codice civile2.

Nella pratica e soprattutto nella giurisprudenza sviluppatasi negli anni successivi, non vi fu tuttavia occasione per chiarire se il comma secondo della norma in esame costituisse una deroga al regime ordinario della cosiddetta doppia maggioranza, millesimale e per teste, avendo trovato maggior spazio, se non esclusivo, in giurisprudenza il problema della obbligatorietà o meno della preventiva disponibilità del progetto descrittivo degli interventi che l'assemblea condominiale si accingeva a deliberare3. Meno spazio in giurisprudenza, ma ampio in dottrina, ha trovato invece l'altra problematica sottesa alla originaria formulazione della norma, nella parte in cui consentiva, almeno - ancora - prima facie, di derogare ai quorum assembleari previsti dalle norme del codice civile, rectius nella parte in cui consentiva di assumere delibere con la maggioranza delle sole quote non anche con la maggioranza dei partecipanti alla comunione o intervenute in assemblea. Sul punto si erano formati svariati orientamenti, da quello maggioritario rigido, ma forse più garantista, che riteneva comunque necessaria una maggioranza di almeno 501/1000 unitamente alla maggioranza di teste4, a quello che riteneva sufficiente la maggioranza delle sole quote sempre di 501/10005, con la conseguenza, rara ma non impossibile, che anche un solo condomino poteva imporre la propria volontà sugli altri. Non risultano infatti sentenze di legittimità le quali in modo esplicito riconoscano che il secondo comma dell'art. 26 L. 10/91 abbia operato una effettiva deroga al regime della cosiddetta doppia maggioranza, ovvero sia per millesimi che per teste6.

Con la riforma del secondo comma della L. 10/91 operata dal D.L.vo 29 dicembre 2006 n. 311, attuativo peraltro di una direttiva europea volta al miglioramento del rendimento energetico nell'edilizia7, il campo di applicazione almeno apparentemente risulta più ampio: se prima la norma si riferiva a delibere in materia di interventi «su parti comuni di edifici» volti al contenimento del consumo energetico, ora invece la norma parla di interventi «su edifici e su impianti», anche se tale differenza di formulazione non sembra avere le conseguenze sì radicali individuate invece da certi autori8 visto che anche con la vecchia formulazione si potevano far rientrare sostanzialmente tutti gli interventi purché volti al risparmio o all'ottimizzazione dei rendimenti energetici e comunque gli interventi su beni non comuni devono ovviamente considerarsi sottratti alla competenza assembleare.

Due sono comunque le novità più rilevanti portate dalla nuova formulazione: da un lato la previsione dell'obbligatorietà di una preventiva diagnosi energetica, risolvendo così a monte il problema della disponibilità preventiva o meno del progetto delle opere e dell'adeguata informazione dei partecipanti all'assemblea; dall'altro che le deliberazioni condominiali in materia possono essere assunte con «la maggioranza semplice delle quote millesimali».

L'aggettivo semplice in precedenza assente, ha spinto a ritenere che, al di là della necessità o meno di disporre anche di una maggioranza di teste, il legislatore avesse comunque voluto richiamare la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c. terzo comma, ossia 333,01 millesimi per deliberare le opere di cui si discute.

Secondo una distinzione dottrinale ormai pacifica infatti9, si distingue, ai fini del quorum deliberativo, una maggioranza ordinaria, ex secondo comma art. 1136 c.c., costituita da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio; una maggioranza semplice, ex terzo comma art. 1136 c.c., costituita da un numero di voti che rappresenti un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio; una maggioranza qualificata, ex quinto comma art. 1136 c.c. costituita da un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e due terzi del valore dell'edificio, richiesta per le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. Sulla base di tale distinzione, lo si ribadisce, puramente dottrinale, ed in considerazione dell'interesse generale a favorire un contenimento dei consumi ovvero un più razionale sfruttamento delle risorse energetiche, la riformulazione dell'art. 26 secondo comma è stata interpretata come una deroga al sistema codicistico delle maggioranze permettendo così l'assunzione di deliberazioni con la maggioranza delle quote millesimali intervenute in assemblea.

Considerando che il quorum costitutivo assembleare ex art. 1136 terzo comma c.c. permette una valida costituzione con la presenza di un terzo deiPage 326 millesimi dell'edificio, è possibile, secondo le prime letture della norma, assumere ed imporre delibere anche economicamente pesanti per gli altri partecipanti con quote millesimali invero modeste10.

In realtà la portata dell'aggettivo «semplice», va ridimensionata se non addirittura ricondotta a mera svista del legislatore, alla cui sciatteria nella formulazione delle leggi gli operatori ormai sono avvezzi.

Sostanzialmente tutte le opere riconducibili all'art. 26 comma secondo L. 10/91 rientrano nell'ambito delle innovazioni regolamentate in via ordinaria dal combinato disposto degli articoli 1136 quinto comma e 1120 codice civile e quindi da approvare in via generale con maggioranze qualificate di due terzi della proprietà e la maggioranza dei partecipanti. La presenza di esigenze pubbliche prevalenti, quali appunto favorire il risparmio energetico, il contenimento dell'inquinamento e più in generale un razionale utilizzo delle fonti energetiche con particolare favor per quelle rinnovabili, giustifica sicuramente il ricorso a sistemi deliberativi meno rigidi allorché si debba porre mano ad opere...

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