Il dovere di completezza delle indagini preliminari

AutoreVincenzo Lembo
Pagine547-550

Page 547

@I. Le indagini preliminari.

Attraverso l'indagine si effettua un esame diligente e puntuale per accertare e comprendere un fatto.

Le indagini preliminari, dirette dal pubblico ministero, sono funzionalmente orientate alle determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale (art. 326 c.p.p.), e non sono idonee a formare la prova utile alla decisione dibattimentale sul merito dell'imputazione 1.

Il principio di separazione funzionale tra le fasi del procedimento penale implica la tendenziale inidoneità degli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari ad essere utilizzati nel dibattimento per la decisione.

L'attuale sistema processuale, tendenzialmente accusatorio, obbligando il P.M. ad attivarsi in presenza di ogni notizia di reato (art. 112 Cost.), gli impone di sviluppare la notitia criminis attraverso indagini «necessarie» 2.

L'art. 125 disp. att. c.p.p., ricollegando l'efficacia endofasica dell'accertamento preliminare alla successiva verifica dibattimentale, risolve la regola di giudizio circa la fondatezza o meno della notizia di reato nella sostenibilità dell'accusa in dibattimento 3.

La scelta tra azione ed archiviazione viene effettuata dal pubblico ministero attraverso una valutazione prognostica ex ante circa l'attitudine delle risultanze investigative a giustificare o meno il rinvio a giudizio.

Il pubblico ministero formula la richiesta di archiviazione quando, a conclusione delle indagini, le risultanze acquisite non consentono di soddisfare l'onere probatorio in sede di giudizio.

La completezza delle indagini serve a determinare e ad argomentare le scelte relative all'azione: non solo per sostenere l'accusa in giudizio, ma anche per evitare che gli elementi raccolti siano così modesti da rendere l'esercizio dell'azione apparente 4.

La completezza dell'indagine si configura come approfondimento irrinunciabile della notitia criminis, come ricognizione e verifica di tutte le possibili ipotesi ricostruttive del fatto-reato, come minuziosa raccolta di ogni elemento necessario ad orientare la valutazione dell'imputazione in sede giurisdizionale, così che fine primario ed ineludibile del processo deve essere la ricerca della verità, come esplicitamente affermato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 255 del 1992 5.

La completezza dell'indagine, riducendo i margini di discrezionalità affidati all'organo inquirente, garantisce la tutela di diritti costituzionali (quali: l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione della giustizia), ma anche l'efficienza di un sistema che impone al pubblico ministero l'obbligatorietà dell'azione penale.

L'esercizio dell'azione penale è strettamente connesso alla valutazione responsabile circa l'opportunità dell'accertamento dibattimentale, sia in termini di fondatezza della notizia di reato, sia in termini di economia processuale.

Il principio di obbligatorietà dell'azione penale non comporta l'obbligo di esercitare l'azione ogni qualvolta il pubblico ministero abbia acquisito una notizia di reato: esso va ragionevolmente interpretato, al fine di evitare l'instaurazione di un processo superfluo (Corte cost. n. 88/1991) 6.

La discrezionalità della decisione (ben diversa dalla facoltatività) risulta delimitata entro rigorosi parametri di natura tecnico-giuridica, apprezzabili in sede giurisdizionale 7.

Le determinazioni del P.M. devono essere assunte con celerità 8, ma tale esigenza non può prescindere dall'obbligo di completezza delle indagini, comprensivo del dovere di acquisire e valutare elementi a favore del reo (art. 358 c.p.p.) 9.

Obbligatorietà, celerità, e completezza, sono gli attributi delle indagini attraverso le quali il pubblico ministero è chiamato a sciogliere il nodo in ordine all'esercizio dell'azione penale.

La Corte costituzionale ha precisato che l'obbligo (ex art. 358 c.p.p.) di svolgere indagini pro reo non è diretto né a garantire il diritto di difesa, né a dare attuazione al contraddittorio, ma trova le proprie ragioni nella natura pubblica dell'organo dell'accusa (sent. n. 190/1991) 10, e nell'esigenza di completezza degli elementi investigativi richiesti per assumere le determinazioni in merito all'esercizio dell'azione penale, a norma del combinato disposto di cui agli articoli 358 e 326 c.p.p.

Altri sono gli strumenti offerti dal legislatore per garantire la parità delle armi tra accusa e difesa, in particolare: le indagini difensive (ex artt. 391 bis-Page 548 391 decies); l'acquisizione probatoria (ex art. 422 c.p.p. «... assunzione, anche d'ufficio, delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere»; ex art. 507 c.p.p. «assunzione, anche d'ufficio, di nuove prove nella fase dell'istruzione dibattimentale, se risulta assolutamente necessario»); l'impulso al completamento investigativo (ex art. 421 bis c.p.p. «integrazione delle indagini preliminari se incomplete», con fissazione di una nuova udienza preliminare) 11.

Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero deve agire come organo imparziale, essendo stato chiamato a svolgere una funzione «polivalente», per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale e per le soluzioni pro reo.

Solo dopo l'esercizio dell'azione penale il P.M. diventa parte processuale 12.

La Corte di Cassazione ha ribadito tale concetto affermando che «... se durante le indagini preliminari - nel corso delle quali il pubblico ministero è tenuto a ricercare tutti gli elementi rilevanti per una giusta decisione, ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato - riemerge a tratti l'impostazione tendente ad attribuirgli veste di parte c.d. imparziale, una volta iniziata l'azione penale e, con essa, la fase processuale, il rappresentante della pubblica accusa riacquista in toto la sua esclusiva veste di parte in senso tecnico, spinta dall'unico interesse di veder comprovata l'impostazione accusatoria» 13.

Il dovere del pubblico ministero di compiere «ogni attività necessaria ai fini delle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale», compresi «gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» (artt. 326 e 358 c.p.p.), e l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.) costituiscono un «obbligo metodologico» 14.

La fase investigativa, diretta a valutare la fondatezza o meno della notitia criminis, permette di ricostruire gli elementi essenziali del fatto, «coglie l'azione nel suo divenire, lungo l'itinerario che dalla notitia criminis approda all'esercizio dell'azione» 15.

Un'indagine completa consente scelte oculate, non legate al mero interesse di parte, in merito allo scioglimento dell'alternativa tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell'azione penale 16.

L'indagine completa serve anche all'acquisizione della prova: la completezza dell'indagine, che è valsa in una prima fase a verificare un «tema d'indagine», vale nel giudizio a proporre un «tema di prova» 17.

Solo una completa e puntuale investigazione può assicurare il contraddittorio sulla prova.

Il novellato art. 111, comma 4, Cost. (... il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova...) garantendo sia l'accusato sia la funzione cognitiva del processo, consentendo una maggiore approssimazione alla verita dei fatti ed un più ragionato esercizio del potere decisionale, codifica un principio di ordine pubblico 18.

Il giudice delle indagini preliminari, provvisto di poteri ad integrandum (potendo indicare al P.M., con ordinanza, ulteriori indagini da compiere, ex art. 409, comma 4; o potendo obbligare il P.M. a formulare l'imputazione, ex art. 409, comma 5, ove consideri complete le investigazioni effettuate) può rimediare alle deficienze investigative.

La completezza delle indagini, funzionale all'acquisizione di un comune patrimonio di conoscenze, svolge una funzione preparatoria dell'eventuale processo.

Completezza delle indagini come piattaforma comune per il contraddittorio.

La formazione della prova nel contesto dell'udienza dibattimentale è ciò che attesta, a posteriori, che gli atti effettuati nella fase delle indagini preliminari hanno adempiuto la funzione endoprocessuale per la quale sono stati concepiti: fornire al pubblico ministero il materiale per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale.

Il legislatore del 1988, seguendo un modello di tipo accusatorio, ha considerato l'indagine preliminare come una fase neutrale ed asettica rispetto al dibattimento, inidonea a produrre prove, nell'assoluta disponibilità del pubblico ministero, garante della completezza delle indagini 19.

La stessa valutazione di merito che il Gup offre all'esito dell'udienza preliminare non si esaurisce in una prognosi di colpevolezza o di innocenza, ma costituisce un giudizio circa l'opportunità o meno di giungere al dibattimento.

La sentenza di non luogo a procedere viene pronunciata quando, a causa di un'attività investigativa inadeguata, gli elementi acquisiti siano insufficienti, contraddittori, o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

La Corte costituzionale non ha mai considerato l'udienza preliminare - in cui la regola di giudizio attiene al rito e non al merito - come uno strumento di accertamento della verità materiale 20.

Anche dopo la legge n. 105 del 1993, con la cancellazione dell'aggettivo «evidente» dall'art. 425 c.p.p., la Corte ha sottolineato la diversità sostanziale tra l'apprezzamento effettuato nell'udienza preliminare rispetto a quello effettuato dal giudice del dibattimento, evidenziando la netta distinzione tra la sentenza di assoluzione di cui all'art. 530 c.p.p. e quella di proscioglimento 21.

L'udienza preliminare, non costituendo una fase a cognizione piena, non comporta una valutazione di tipo prognostico sulle prospettive di condanna o di assoluzione dell'imputato.

Il giudice, pronunciando sentenza di non luogo a procedere, attesta...

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