La Doppia Sospensione Dell'Ordine Di Esecuzione

AutoreKarma Natali
Pagine154-165
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giur
2/2016 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
La espressione “salvo che debba emettere il decreto di
sospensione di cui al comma 5 del citato art. 656 c.p.p.”,
contenuta nella prima parte dell’art. 1, comma 3, pone
perciò una clausola di salvaguardia per eventuali misure
più favorevoli e maggiormente rispondenti in concreto agli
interessi del condannato, ma non si sovrappone nè può
sterilizzare la procedura off‌iciosa prevista dalla novella
per l’immediata applicazione “almeno” della detenzione
domiciliare, e, ove ricorrono sia le condizioni dell’art. 656
c.p.p., comma 5, sia quelle della L. n. 199 del 2010, art. 1,
non può esimere il P.M. dall’attivare la procedura off‌iciosa
prevista da detta normativa f‌inalizzata alla verif‌ica della
possibilità di disporre (almeno) la detenzione domiciliare.
Per conseguenza, in presenza delle condizioni previste
dalla L. n. 199 del 2010, art. 1, f‌inchè la sospensione non
ha sortito l’effetto suo proprio, di porre il Magistrato di
sorveglianza in condizione di deliberare sulla detenzione
a domicilio, essa non può essere revocata e se revocata va
rinnovata con le modalità, ai sensi e per gli effetti propri
delle L. n. 199 del 2010.
8. Per tali ragioni il ricorso non può che essere rigetta-
to. (Omissis)
LA DOPPIA SOSPENSIONE
DELL’ORDINE DI ESECUZIONE (*)
di Karma Natali
SOMMARIO
1. Premessa. 2. La decisione della Corte. Le prime direttive
post-riforma in tema di esecuzione presso il domicilio delle
pene detentive non superiori a diciotto mesi; 2-1) La deten-
zione presso il domicilio quale modalità primaria di esecu-
zione delle pene detentive particolarmente brevi. 2-2) segue.
Il diff‌icile coordinamento con il principio di unicità della
sospensione. La clausola di riserva. 3. Conclusioni. Interro-
gativi ancora aperti.
1. Premessa
La Suprema Corte torna a pronunciarsi sul tema della
doppia sospensione dell’ordine di esecuzione, affermando
la compatibilità del meccanismo sospensivo previsto dalla
legge 26 novembre 2010, n. 199, con quello tradizionale
di cui al comma 5 dell’art. 656 c.p.p. La questione è nota:
quando siano scaduti infruttuosamente i trenta giorni
concessi dalla disposizione codicistica (come nell’ipotesi
sottoposta allo scrutinio della Corte), o non sia stata ac-
colta la richiesta di applicazione della misura alternativa
tempestivamente proposta dal condannato, può quest’ul-
timo benef‌iciare di un’ulteriore sospensione dell’ordine di
esecuzione in vista degli accertamenti sull’applicabilità
della detenzione nel domicilio di cui alla legge n. 199 del
2010? Per la decisione in commento, che si pone in con-
sapevole contrasto con una parte della precedente giuri-
sprudenza (1), «al quesito non può che essere data solu-
zione positiva»: ciò, quanto meno, «per l’ipotesi in esame,
che concerne il caso in cui il pubblico ministero ha ritenu-
to di doversi limitare all’attività prevista dall’art. 656 c.p.p.
senza trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza e
in cui il condannato non ha richiesto misure alternative».
Sin dal 2010 gli interpreti si interrogano sulla reale por-
tata applicativa della misura in oggetto. La detenzione nel
domicilio (anche detta esecuzione presso il domicilio), in-
trodotta dalla legge n. 199 del 2010, dopo un breve periodo
fortunato (2) aveva generato alcune incertezze a causa
del suo mutevole impianto normativo (3) e della sua con-
troversa natura giuridica (4). A sollevare i maggiori dubbi
era – e, in un certo senso, è ancora – la clausola di riserva
contenuta nel comma 3 dell’art. 1, ai sensi della quale il
pubblico ministero sospende l’ordine di esecuzione e pro-
cede agli adempimenti di cui alla legge n. 199 del 2010
«salvo che debba emettere il decreto di sospensione di cui
al comma 5 del citato articolo 656 del codice di procedura
penale e salvo che ricorrano i casi previsti nel comma 9,
lettera a), del medesimo articolo». Attraverso il richiamo
alla disciplina generale, il legislatore ha infatti imposto un
coordinamento tra le due discipline (generale e speciale),
limitandosi ad indicare la gerarchia tra le rispettive fonti:
la disciplina speciale introdotta dal legislatore del 2010
deve cedere il passo alla procedura ordinaria di sospensio-
ne dell’ordine di esecuzione laddove quest’ultima risulti
applicabile. Ne consegue che, per individuare il perimetro
riservato alla misura di matrice speciale, è necessario in-
dagare le ipotesi ostative al meccanismo di cui al comma 5
dell’art. 656 c.p.p., il quale consente la sospensione dell’or-
dine di esecuzione «salvo quanto previsto dai commi 7 e
9», ossia a meno che tale procedura sia già stata infruttuo-
samente esperita per la medesima condanna, ovvero nei
casi di divieto ab origine della sospensione.
Le incertezze tuttavia discendono da un dato fonda-
mentale: per il condannato non detenuto la detenzione nel
domicilio è subordinata a condizioni di accesso che si so-
vrappongono a quelle tradizionalmente dettate per le mi-
sure alternative richiedibili a norma del comma 5 dell’art.
656 c.p.p., o meglio, in queste sono ricomprese. In primo
luogo, infatti, i limiti della pena eseguibile attraverso la de-
tenzione nel domicilio sono inferiori a quelli imposti dalla
disciplina generale per l’accesso alle misure alternative di
cui al capo VI della legge di ordinamento penitenziario: la
detenzione nel domicilio è riservata a condannati a pene
detentive non superiori a diciotto mesi; e dunque – salvi
alcuni casi residuali di cui si dirà meglio a breve – per tutte
le ipotesi in cui è applicabile la legge n. 199 del 2010 sarà
possibile accedere anche alla disciplina di cui all’art. 656
comma 5 c.p.p., che come sappiamo ammette la sospen-

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