La disdetta nei contratti di locazione disciplinati dall'art. 2 Della legge n. 431/1998

AutoreNino Scripelliti
Pagine627-632

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    Intervento svolto al Convegno del Coordinamento dei legali della Confedilizia tenutosi a Piacenza l'8 settembre 2001.

@1. Premessa

La ricostruzione della disciplina della disdetta o meglio delle disdette del contratto di locazione abitativa, desumibile dagli artt. 2 e 3 legge n. 431/1998 (nel seguito, per brevità, anche la legge), implica il superamento di un certo eufemismo normativo ispirato a correttezza politica, a scapito della esattezza e della proprietà delle espressioni, seppure nell'ambito una sistemazione di concetti storicamente collaudata, come quelli della disdetta, del rinnovo tacito, delle tradizionali cause di opposizione alla proroga legale nei rapporti di locazione, nel regime vincolistico.

Nella nuova legge, la prima distinzione quanto a presupposti, forme ed effetti è tra la disdetta la prima scadenza e la disdetta la seconda scadenza, tanto dei contratti disciplinati dal comma 1 dell'art. 2, quanto di quelli disciplinati dal comma 3 dello stesso articolo. La disciplina della disdetta, che è unitaria, risulta quindi dall'art. 2, comma 1 e 5) per le due categorie dei contratti, quanto al tempo dell'esercizio di tale facoltà; e dall'art. 3 sempre per entrambi i tipi di contratto, quanto ai motivi di diniego del rinnovo, al termine ed alla forma di comunicazione.

@2. La disdetta alla prima scadenza

Nelle norme di riferimento e quindi dall'art. 2, comma 1 e comma 5 e dall'art. 3 quanto alla indicazione dei presupposti sostanziali della volontà del locatore contraria al rinnovo, emerge una certa confusione terminologica a causa dell'uso nello stesso testo di legge, sia del termine tradizionale di disdetta, sia della nuova espressione del tutto equivalente sotto il profilo sostanziale e funzionale «diniego di rinnovo», considerato questo come comportamento e manifestazione positiva di volontà, che impedisce la formazione del silenzio bilaterale, significativo per fictio juris della volontà di entrambe le parti di stipulazione di un nuovo contratto alle stesse condizioni del precedente.

Peraltro la formulazione del comma 1 dell'art. 2 e del comma 1 dell'art. 3, risente di una impostazione vetero vincolistica dell'istituto, a causa dell'accostamento tra la tradizionale disdetta non motivata e quindi ad nutum, ed il diniego o l'opposizione al rinnovo motivati con riferimento a cause legalmente tipizzate in modo tassativo. Il rapporto di locazione si configura così come un continuum della durata ordinaria di otto o cinque anni a secondo dei due tipi di contratto, interrompibile tuttavia in presenza dei motivi di opposizione discendenti, quanto alla casistica, direttamente dagli artt. 3 e 4 legge n. 253/1950, con l'aggiunta della intenzione del locatore di vendere l'immobile locato (art. 3 comma 1 lettera g). Questo dicono le norme, se si chiamano le cose con il loro nome, ma che la lettera della legge non esprime con chiarezza ed immediatezza, in ossequio alle ricordate esigenze eufemistiche.

Poiché gli artt. 2 e 3 della legge sono relativamente inderogabili ex art. 13 comma 3), che colpisce con la sanzione di nullità le pattuizioni contrarie dirette a ridurre la durata minima legale dei rapporti di locazione, e poiché la rinnovazione del contratto, nel senso di estensione della durata della prima scadenza rispetto alle eventuali pattuizioni contrattuali contrarie, discende dalla volontà della legge, si può affermare che il meccanismo che conduce alla estensione del periodo contrattuale ad otto ovvero cinque anni a seconda del tipo di contratto, corrisponda nella sostanza alla previsione iniziale ed originaria di detti periodi. È ovvio che altro è durata minima legale del rapporto, altro è la proroga legale tradizionale, la quale, al tempo, sopravveniva nel corso dello svolgimento del rapporto locativo. Diversamente, la durata dei rapporti previsti dalla legge n. 431/1998 è interrompibile al raggiungimento dei termini di quattro ovvero di tre anni, in presenza di determinati presupposti; laddove l'opposizione alla proroga legale del corso dello svolgimento dei rapporti contrattuali nel periodo vincolistico precedente la legge n. 392/1978, era esercitabile in qualunque momento durante lo svolgimento del rapporto, per motivi più o meno corrispondenti a quelli della attuale disdetta alla prima scadenza.

Nondimeno si può affermare che il diniego di rinnovodisdetta (vedi rubrica dell'art. 3), ha maggiore contiguità concettuale con l'opposizione alla proroga legale del passato regime vincolistico, piuttosto che con la disdetta quale tradizionale manifestazione di volontà ad nutum di segno contrario al silenzio, ipotizzato questo ultimo per fictio juris quale volontà di rinnovazione del rapporto contrattuale. Ed a tale proposito appare sintomatico che l'art. 2 comma 5 della legge, seppure a proposito dei contratti cosiddetti del canale agevolato, parli forse per lapsus, di proroga biennale in caso di mancato accordo sulla rinnovazione del contratto: richiamando così, più o meno consapevolmente, un meccanismo contrattuale di evidente derivazione dall'art. 11 bis D.L. n. 333/1992 (convertito con legge n. 359/1992), anche per quanto riguarda la durata biennale della c.d. proroga. Anche per i contratti del canale agevolato vale l'affermazione della durata legale di cinque anni, interrompibile alla scadenza triennale in presenza degli identici presupposti tipizzati di cui all'art. 3.

L'affermazione della durata minima ordinaria dei contratti, per le due categorie, rispettivamente di otto e cinque anni, è fondata sulla impossibilità per le parti di prestabilire la durata minima del rapporto se non richiamando la formula legale, e nella eguale impossibilità di pattuire una durata inferiore ai minimi di legge anche prevedendo anticipatamente al momento della stipulazione, una delle ipotesi di diniego di cui all'art. 3.

Quindi il rinnovo o proroga che dir si voglia alla prima scadenza (art. 2 comma 1; art. 2 comma 5; art. 3 comma 1 che parla di diniego di rinnovo indistintamente per le due categorie di contratti) è condizionato a presupposti negativi quali:

- l'inesistenza dei presupposti enumerati dall'art. 3, che possono essere anche eventuali ed indipendenti dalla volontà delle parti, e

- l'inesistenza della volontà del locatore di avvalersi di tali presupposti di fatto tipizzati dalla legge.

Conclusivamente, tanto il termine «rinnovo, rinnovati», quanto i termini «proroga, prorogato, diniego di rinnovo», non valgono a celare la oggettiva realtà di rapporti della Page 628 durata originaria di otto o cinque anni, interrompibili solo alla scadenza intermedia di quattro o tre anni ed in presenza delle condizioni di cui all'art. 3: non prima né dopo, anche in caso di sopravvenienza imprevedibile di alcune delle circostanze di cui all'art. 3, in quanto a differenza della proroga legale del rapporto di locazione, sopravvenuta alla stipulazione del contratto e per volontà della legge, nei tipi di contratto previsti dalla legge n. 431/1998, la scelta della durata originaria minima del rapporto, è accettata dal locatore, senza che possa influire sulla durata minima legale del rapporto, l'uso atecnico e promiscuo da parte del comma 5 dell'art. 2, dei termini «proroga» «prorogato di diritto», ovvero «disdetta», «diniego del rinnovo» questi ultimi rispettivamente nella rubrica e nel comma 1 dell'art. 3; e questo anche con riferimento ai rapporti per i quali l'art. 2 comma 5 ha usato, come già detto, il termine, «proroga».

In conclusione si ha l'impressione di una certa confusione terminologica dovuta alla esigenza di sfumare compromissoriamente e per quanto possibile, sulla durata effettiva dei rapporti, il che non vale ad impedire l'emersione del contenuto oggettivo e sostanziale della discipina della legge. Ne consegue la possibilità di utilizzare, con riferimento alle ipotesi di diniego di rinnovo alla prima scadenza dei contratti dei due tipi, la cospicua elaborazione cinquantennale, in dottrina ed in giurisprudenza, sulla casistica delle diverse ipotesi di opposizione alla durata dei rapporti di locazione le cui radici si rinvengono negli artt. 3 (casi di non spettanza del diritto alla proroga legale e di decadenza del conduttore), 4 (casi di cessazione della proroga legale e su iniziativa del locatore) della legge n. 253/1950.

@3. Forma della opposizione al rinnovo

Come si è detto, la rubrica dell'art. 3 della legge n. 431/1998, parla di disdetta da parte del locatore; il comma 1) dello stesso articolo definisce lo stesso istituto come facoltà di diniego di rinnovo del contratto da esercitare con comunicazione al conduttore e con preavviso di almeno sei mesi. Il senso della norma, anche alla luce di consuetudini contrattuali consolidate, induce a ritenere che la facoltà di diniego di rinnovo o di disdetta alla prima scadenza può essere esercitata mediante atto scritto avente natura essenzialmente recettizia e che quindi deve pervenire al conduttore nel termine di sei mesi rispetto alla c.d. prima scadenza. In tale termine la fattispecie del diniego di rinnovo si deve perfezionare con indicazione di uno dei motivi previsti dalla legge. Peraltro tale volontà di diniego si può manifestare anche più direttamente e quindi senza necessità di preavviso stragiudiziale, mediante iniziativa giudiziale del locatore ai sensi dell'art. 30 della legge 392/1978 e dell'art. 447 bis c.p.c., il cui atto introduttivo dovrà comunque essere notificato nel termine semestrale rispetto alla scadenza 1. In buona sostanza, si tratta dello stesso modello di disdetta motivata degli artt. 29 e 59 legge n. 392/1978, e replicato per gli usi abitativi, dall'art. 11 comma 2 D.L. n. 333/1992 (nel testo di cui alla legge di conversione n. 359/1992).

Il richiamo all'art. 30 legge n. 392/1978 da parte dell'art. 3 comma 4 della legge, consente di evidenziare che l'attuale processo delle locazioni risulta dalla integrazione dell'art. 30 cit. con l'art. 447 bis c.p.c., onde della primitiva disciplina dell'art. 30 residuano...

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