Il diritto di difesa del minore e il giusto processo

AutoreVincenzo Pugliese
Pagine357-361

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Forse non è rischioso affermare che si vive oggi un tempo di rinnovata riflessione sul sistema penale minorile in Italia e in Europa grazie alla mediazione, intesa «non solo quale tecnica di gestione di situazioni conflittuali, ma quale contributo alla costruzione, o ricostruzione, delle norme che consentono di sviluppare azioni e interazioni sociali significative» 1, nei diversi ambiti e secondo differenti modalità operative. Il ricorso alla mediazione contiene una valenza altamente pedagogica. Il minore, impegnato a rimediare ai danni arrecati con il suo reato, prende coscienza dell'esistenza di una vittima reale ed è stimolato a cambiare personalità. Sicché le attività di restituzione e riconciliazione potrebbero non solo di per sè esaurire i contenuti del progetto di messa alla prova con l'estinzione del reato, ma immettere un nuovo tipo di risposta penale e apportare una più adeguata riparazione dei danni causati dalla trasgressione 2.

L'introduzione di questo nuovo istituto, endo o extraprocessuale che sia, sarà capace di capovolgere la filosofia della pena, in generale, e debellare l'ideologia correzionale come tecnica di trattamento dell'autore del reato, in particolare? Questa è la sfida per il futuro del sistema penale.

Lo sviluppo della mediazione negli ultimi decenni segna una tappa fondamentale nell'attuale ricomposizione delle modalità di regolazione sociale. Se si guarda agli esperimenti condotti in Europa, nel Nordamerica e in Giappone, si assiste a una graduale modificazione delle politiche penali 3. Di conseguenza nella giustizia penale, particolarmente in quella minorile, avviene un progressivo spostamento dal modello basato sulla punizione verso uno maggiormente orientato alla riparazione, ora in alternativa, ora integrando i tradizionali schemi della retribuzione e della rieducazione 4. Tale spostamento è da ritenersi più che doveroso in Italia, che, a differenza di altri paesi europei, non ha ancora introdotto una penalità per i minori diversificata sotto l'aspetto qualitativo. In casi di riconosciuta imputabilità, infatti si diminuisce quantitativamente la pena: «davanti al diritto penale un minore equivale a due terzi di un adulto» 5.

Contemporaneamente tuttavia, nel rilevare la peculiarità della condizione minorile e la consequenziale necessità di risposte calibrate sui bisogni del minore, si avverte l'urgenza di assicurare anche al minore indagato o imputato come all'adulto la stessa qualità di garanzie 6 e lo stesso grado di difesa tecnica richiesti dal giusto processo 7. Una giustizia specializzata per i reati commessi da minorenni non può ritenersi soddisfatta per il solo fatto che finalità protezionistiche sono insite in una particolare procedura, da applicarsi in maniera adeguata alla personalità e alle esigenze educative del minore. A tutelare questi d'altra parte non è valsa nemmeno l'esasperata accentuazione dei poteri discrezionali del giudice minorile 8, sebbene interpretabile a fine specialpreventivo 9. Può assumere infatti nell'attività giurisdizionale una valenza positiva, in quanto consente la fuoriuscita del minore dal circuito penale, dall'altra comporta rischi di disparità di trattamento e di scelte pregiudiziali 10. Anzi è servita come pretesto per misconoscere la stessa esistenza di un diritto alla difesa tecnica mediante un legale. In paesi, come la Germania, il Portogallo e la Svezia, addirittura un operatore sociale o un delegato dei servizi sociali, dipendenti dagli uffici giudiziari minorili, ne hanno esplicato le funzioni.

Parallelamente alla stessa tendenza dei sistemi di giustizia penale alla responsabilizzazione del minore, o attraverso la mediazione autore-vittima o mediante la riparazione comunitaria in lavori d'interesse generale oppure con l'assimilazione del minore all'adulto nel giudizio e nel trattamento penali, cresce il bisogno che la sua posizione processuale si arricchisca di maggiori strumenti difensivi e si rafforzino le garanzie di fatto organizzative, funzionali e professionali 11. Del resto gli stessi principi costituzionali della presunzione d'innocenza, di democraticità della giustizia e d'indipendenza della magistratura non bastano a qualificare «giusto» un processo, se opportune regole non assicurassero il diritto di difesa alla persona, chiamata in giudizio. Diritto che viene riconosciuto solo quando questa, assistita da un legale, possa esporre le proprie ragioni per confutare le accuse, e in maniera adeguata ai propri bisogni. Quindi si tratta non solo di assistenza, ma anche d'intervento dell'imputato, «inteso come pienezza di capacità di comprendere la valenza tecnica e psicologica delle situazioni processuali e di essere aiutato ad autodifendersi in maniera adeguata» 12.

In Italia, dal 1988 la riforma del processo penale a carico di minorenni ha dato l'avvio ad un nuovo trentennio nella giustizia minorile 13. Non solo ha introdotto notevoli modifiche processuali dai riflessi sostanziali, quali la clausola generale di esiguità (art. 27, irrilevanza del fatto) e la speciale causa di estinzione, cioè la sospensione del processo con messa alla prova ex art. 28. Ha assicurato al minore imputato il diritto ad un processo «giusto», cioè un rito «dovuto», intatto nelle sue garanzie, secondo la tradizione liberale, e insieme «adeguato al minore, che mira non tanto all'accertamento della verità processuale, quanto al bene del minore, cioè alla sua educazione» 14. Pertanto in esso vige il principio della difesa tecnica obbligatoria fin dal primo atto del procedimento, anzi si prescrive ai consigli dell'ordine forense di predisporre elenchi dei difensori con specifica preparazione nel diritto minorile (art. 11 D.P.R. n. 448/1988) 15. A ragione, in quanto il processo riformato, costituendo norma speciale, colloca necessariamente il minore in una posizione più avvantaggiata rispetto a quella dell'adulto nel processo ordinario. Si tratta infatti di un processo che verte non solo sul fatto, ma anche sulla personalità. Perciò s'impone una ponderata linea difensiva, in un confronto valutativo tra elementi di difesa del fatto e quelli della personalità 16. Dunque solo la presenza di un difensore specializzato costituisce l'attuazione piena del diritto di difesa per il minore, anche se non è rinforzata dalla sanzione di nullità generale prevista dall'art. 178 lett. c) c.p.p.

Anche l'inserimento d'istituti «mediativi» nel nuovo processo penale minorile, precisamente nella fase investigativa e soprattutto nella messa alla prova (art. 28), quando il minore è invitato a confrontarsi con la vittima, se incontra ostacoli connessi all'osservanza del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, deve però affrontare il più grave problema circa la presunzione d'innocenza, il diritto a non incriminare sè stesso e il diritto al silenzio da parte del minore. . . Il confronto con la vittima in via conciliativa per la soluzione del conflitto non può non comportare qualche Page 358 ammissione in ordine alla colpevolezza. . . Anzi il giudizio di responsabilità penale dell'accusato costituisce presupposto concettuale del provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova 17. Perciò l'art. 28, pur non contenendo alcun riferimento esplicito al consenso del minore come condizione imprescindibile della messa alla prova, tuttavia in funzione garantista prevede che l'imputato minore, per affermare la propria estraneità al fatto ed evitare così la messa alla prova, possa chiedere il giudizio abbreviato o il giudizio immediato, oppure ricorrere in Cassazione contro l'ordinanza, censurando il rapporto tra accertamento della responsabilità penale e messa alla prova. Né la costruzione dello stesso progetto d'intervento né il suo svolgimento, incluse le fasi della conciliazione e riparazione, possono essere esenti dalla partecipazione e dal controllo della difesa tecnica. Non si può tacere che nella prassi, ove l'accertamento della situazione del minore e dei suoi bisogni, ai fini della personalizzazione della risposta penale, assuma rilievo pari o addirittura superiore all'accertamento del fatto supposto criminoso e della responsabilità dell'imputato, emerga «una preoccupante tendenza del giudice ad allargare oltre misura l'ambito del controllo giudiziario, fino ad invadere la delicata sfera delle dinamiche familiari» 18. Urgono pertanto rimedi e strategie per porre limiti ai rischi del paternalismo giudiziario.

La conclusione quindi è ovvia: il perseguimento di finalità educative non può ridurre né tantomeno annullare il sistema delle garanzie verso il minore indagato o imputato. Altrimenti si rischia che il nuovo processo penale si trasformi in un «processo alla persona» o «alla personalità» del minore e tutta la positività dell'ottica minimalistica pregiudichi quella dell'ottica garantista, creandosi un'insanabile contraddizione tra ritualità penale e progetto educativo 19. In particolare il ruolo dell'avvocato non può essere inteso come di «ospite tollerato», ma di soggetto essenziale e professionalmente specializzato.

A riguardo la Corte Suprema degli Stati Uniti offre una lezione di estremo rispetto. Nella seconda metà degli anni '60 e inizio anni '70 pronuncia alcune sentenze, che segnano una felice stagione nella evoluzione della giustizia minorile. Stagione, in cui contemporaneamente la Warren Court avvia la due process revolution, imprimendo alla procedura penale statunitense una svolta radicale, specialmente per quanto concerne la tutela delle libertà fondamentali dell'indiziato nella fase anteriore al dibattimento (pretrial) 20. La Suprema Corte federale viene così ad operare cone una «commissione di riforma»: porta uniformità in tutti gli Stati e in tutte le materie, in cui sono in questione i diritti e le garanzie costituzionali, plasma i rapporti tra individui e autorità, alla luce dei principi contenuti nel Bill of Rights. Tale riforma di carattere non ufficiale, sebbene con molte difficoltà e in periodo storico...

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