Acquisibilità ed efficacia dimostrativa delle sentenze (e delle altre decisioni giudiziarie) non irrevocabili: brevi riflessioni a seguito del recente intervento delle sezioni unite della corte di cassazione

AutoreRaffaele Cantone
Pagine309-312

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  1. - Nella importante decisione in rassegna, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affrontato, accanto ad altre complesse e delicate questioni, il problema dei «limiti di utilizzabilità probatoria delle sentenze pronunciate in procedimenti diversi e non ancora divenute irrevocabili».

    Il Giudice di legittimità ha in primo luogo dato atto, con dovizia di richiami alle precedenti pronunce, dell'esistenza di due diversi e contrapposti orientamenti in materia, così sintetizzandoli: secondo un indirizzo, le sentenze non irrevocabili possono costituire prova esclusivamente dei «fatti documentali rappresentati - ad esempio che un certo imputato sia stato sottoposto a procedimento penale e che la sua posizione sia stata definita in un certo modo -», ma non anche «della ricostruzione dei fatti accertati nel giudizio e della valutazione probatoria degli stessi da parte di quel giudice», in quanto l'art. 238 bis attribuisce tale efficacia dimostrativa solo alle sentenze irrevocabili; secondo l'altra opinione, invece, è possibile «comunque trarre dal provvedimento [non irrevocabile] elementi di giudizio finalizzati all'accertamento della verità», in forza del principio generale del libero convincimento. Ha poi affermato di condividere «la prima e più rigorosa soluzione» sia perché le sentenze non definitive «non [sono] ancora assistite dalla intangibilità del decisum», sia perché la disposizione di cui all'art. 238 bis c.p.p. - «dettata da esigenze eminentemente pratiche di coordinamento probatorio fra processi» - costituisce una deroga alla disciplina dettata dall'art. 238 c.p.p. (definito «regola di indubbia ragionevolezza sistematica») e si pone come «norma (...) sicuramente eccezionale nell'impianto codicistico ispirato ai principi di oralità e immediatezza». Ha però evidenziato che delle sentenze non irrevocabili «è certamente ammissibile la produzione e l'acquisizione al pari degli altri documenti ex artt. 234 comma 1 e 236». Ha quindi richiamato l'insegnamento consolidato per cui, anche nel caso di acquisizione di sentenze irrevocabili, il giudice del processo ricevente «conserv[a] integra l'autonomia critica e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e di formulazione di giudizio a lui riservate»; senza essere automaticamente vincolato in ordine al recepimento ed alla utilizzazione dei fatti accertati, o dei giudizi di fatto contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione del provvedi-Page 310mento trasmigrato. Ha infine enunciato formalmente il seguente principio di diritto: «Le sentenze pronunciate in procedimenti penali diversi e non ancora divenute irrevocabili, legittimamente acquisite al fascicolo per il dibattimento nel contraddittorio fra le parti, possono essere utilizzate come prova limitatamente all 'esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti».

  2. - La regola giurisprudenziale appena esposta è sicuramente persuasiva, ma induce a compiere qualche ulteriore approfondimento.

    Può essere esplicitato, in primo luogo, che le sentenze non irrevocabili pronunciate in altro processo sono sicuramente qualificabili come "documenti" ex art. 234 c.p.p., poiché di questi presentano sia la caratteristica esteriore, puntualmente formalizzata dalla norma, di «oggetto, manufatto o meccanicamente prodotto, che comunichi qualcosa (a destinatari individuati o no), rappresentandolo» 1, sia il requisito, per così dire formale e di derivazione sistematica, di "scritto" formato al di fuori del procedimento nel quale si chiede il suo ingresso e a prescindere dall'accertamento penale oggetto di quest'ultimo 2.

    Va detto, in secondo luogo, che il fondamento del divieto di utilizzare sentenze non irrevocabili per fornire prova dei fatti da esse esaminati, e quindi di un'estensione analogica dell'art. 238 bis c.p.p., può essere rinvenuto, oltre che nelle ragioni indicate nella motivazione della decisione annotata, anche nel principio del contraddittorio. Quando infatti il provvedimento da acquisire è stato pronunciato nei confronti di imputati diversi da quelli del processo "ricevente", il suo impiego potrebbe consentire di far valere, a carico di questi ultimi, prove costituende formate al di fuori della loro partecipazione 3.

    È utile precisare, in terzo luogo, che il giudice posto di fronte a sentenze irrevocabili pronunciate in altro processo non resta vincolato agli accertamenti contenuti nelle medesime, sia per la vigenza del generale principio di libertà di apprezzamento delle prove 4, sia perché le suddette decisioni, proprio per l'espresso disposto dell'art. 238 bis c.p.p, «possono essere acquisite ai fini della prova di fatto da esse accertato» 5, ma «sono valutate a norma degli artt. 187 e 192 comma 3». Il richiamo a quest'ultima previsione normativa, anzi, implica indiscutibilmente che l'Autorità Giudiziaria potrà ritenere provati i fatti rappresentati da provvedimenti non più soggetti a gravame solo se questi ultimi ricevono conforto da «altri elementi di prova che ne confermano 1 'attendibilità», ossia da riscontri di valenza "individualizzante" 6.

  3. - Riaffermata l'ineccepibilità dell'indirizzo ermeneutico sostenuto dalla decisione in esame anche alla luce delle ulteriori osservazioni esposte in questa sede, può essere ora analizzata la tematica della specifica utilità probatoria desumibile dall'acquisizione di sentenze non definitive pronunciate in altri procedimenti penali.

    Invero, la...

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