La diminuzione della pena conseguente al giudizio abbreviato: distonie applicative e soluzioni de iure condendo

AutoreMassimo Mussato
Pagine119-121

Page 119

@1. La diminuzione di pena ex art. 442, comma 2, c.p.p.: l'intentio legis

- Il giudizio abbreviato1 è la tipologia di rito spesso percorsa dalla difesa dell'imputato cui sono contestati fatti di particolare gravità e comportanti conseguentemente l'applicabilità di pene edittali consistenti.

Il beneficio che il legislatore conferisce a colui che ne operi in concreto la scelta processuale è di natura considerevole, trattandosi dell'abbattimento effettivo «di un terzo» della pena (art. 442, comma 2, c.p.p.). E tanto ci si è resi conto dell'importanza della scelta del rito che, contrariamente a quanto avvenga in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti - ipotesi con riferimento alla quale la diminuzione della pena è quantificabile «fino ad un terzo» (art. 444, comma 1, c.p.p.) - detto abbattimento è perentorio nella sua dimensione: un terzo della pena, appunto.

Dalla premessa che precede e dall'analisi dell'esperienza concreta dell'istituto - ormai non più giovane, anche nella sua nuova veste di esperibilità in modalità condizionata (art. 438, comma 5, c.p.p.) - deriva una connotazione di estrema importanza dell'istituto processuale di che trattasi e dello sconto di pena che viene attribuito a colui che scelga di percorrerlo, potendosi in concreto trattare di diminuzioni della sanzione irrogata di consistente entità, anche di parecchi anni di reclusione in meno rispetto a quello che sarebbe, in alternativa, il corrispondente esito dibattimentale.

Occorre puntualizzare come questo «sconto» non integri un beneficio premiale in senso proprio2.

La diminuzione di pena che in questa sede ci occupa, invero, rappresenta - per così dire - il corrispettivo di una «via processuale breve» penalizzante quasi sempre sul piano difensivo: un baratto (tra sconto di pena e chances di difesa), in cui il rito diviene merce di scambio e, insieme ad esso, tutte le garanzie del dibattimento, sovrana tra le quali la prerogativa di formazione della prova innanzi al giudice attraverso l'opera delle parti processuali, la quale costituisce la struttura portante del vigente modello dibattimentale.

A ben vedere, in fondo, una scelta processuale nemmeno troppo lautamente ricompensata, ove si consideri che, al di là di eventuali integrazioni probatorie ex art. 438, comma 5, c.p.p., ci si trova a discutere su prove preconfezionate spesso direttamente dalla polizia giudiziaria, il cui operato, spiace evidenziarlo, a volte prescinde dal nobile principio imposto al pubblico ministero dall'art. 358 del codice di rito (asettica ed assiomatica prescrizione, peraltro, che il legislatore ha ben pensato di non sanzionare nella sua inosservanza).

Quanto sopra, volendo escludere alcuni casi particolari in cui lo sviluppo dibattimentale appare in effetti come maggiormente rischioso e possibilmente peggiorativo per l'imputato sul piano probatorio.

@2. Distonie applicative della diminuzione di pena in questione

- Venendo al tema che ci occupa, la concreta esperienza applicativa dell'istituto in parola evidenzia una netta distonia tra il suo «dover essere» (in base all'intentio legis) ed il suo «essere» (in virtù dell'actio iudicis).

Ciascun difensore, invero, si è almeno una volta trovato a constatare (magari con il rimpianto di avere percorso una strada prefigurante solo in apparenza uno sbocco meno pesante sul piano sanzionatorio) che la dimensione della riduzione di pena, realmente ottenuta all'esito...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT