La delibera condominiale tra provvedimento e procedimento

AutorePaolo Gatto
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Il Codice civile spende poche righe nel disciplinare il funzionamento dell'assemblea e ancora meno nel determinare le caratteristiche minime di validità della delibera. La ragione di tale fatto è da rinvenirsi nelle radici storiche dell'istituto condominiale.

Il condominio costituisce un fatto giuridico particolarmente recente atteso che, in precedenza alla legge del 1934, il Codice allora in vigore non conosceva il fenomeno se non in una particolare modalità di atteggiarsi delle servitù prediali.

È solo in seguito all'urbanesimo che il condominio comincia a presentare la sua rilevanza sociale e la legge del 1934 altro non è stata se non la formalizzazione legislativa di accordi regolamentari diretti alla gestione dell'edificio.

Sta di fatto che il principio maggioritario, applicato forse semplicisticamente a situazioni che, nel contesto giuridico nel quale erano disciplinate, erano considerate non tangibili se non a seguito di contratto, così come era considerata la proprietà in periodo liberale, sacra ed inviolabile ha dato corso ad una normativa che appare incompleta.

  1. La delibera come provvedimento. - Come accennato, l'applicazione del principio maggioritario ai diritti reali costituisce un'eccezione che si integra in un sistema fondato sull'assolutezza del diritto.

    Il diritto di proprietà si configura, ancora oggi, quale posizione soggettiva caratterizzata dalla facoltà di godimento e di disposizione; alle due principali facoltà si aggiunge il corollario dato dal potere gestorio, ovvero dalla possibilità di disciplinare liberamente la gestione dell'immobile, impiegando somme se e quando ritenuto opportuno senza alcun limite che non sia dato dal principio del neminem laedere.

    Nel condominio, la facoltà di godimento permane quale diritto soggettivo, viene eliminata la facoltà di disporre del bene ai sensi dell'art. 1119 c.c. (indivisibilità delle parti comuni) ed il potere gestorio viene sottratto al comproprietario e conferito all'assemblea la quale, corpo collegiale, decide in base a maggioranze; alle decisioni assembleari il condomino di minoranza deve sottostare, salvo impugnazione per motivi di legittimità (contrasto con legge o regolamento).

    L'art. 1137 c.c., pertanto, attribuisce il potere digestire le parti comuni all'assemblea, la quale viene a trovarsi ad un livello giuridico superiore al condomino che è tenuto a sottostare a decisioni altrui.

    È chiaro che l'introduzione del principio maggioritario esclude, in ipotesi di mancato unanime accordo negoziale, tutta la fase istruttoria davanti al magistrato, ad esempio, prima dell'introduzione della legge sul condominio, non poteva essere imposto il rifacimento di un tetto al condomino dissenziente, per cui era necessario adire l'Autorità Giudiziaria...

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