Declaratoria in executivis e preclusione all’estinzione del reato accertato con decreto penale di condanna

AutoreLucia La Gioia
Pagine741-744

Page 741

1. La pronuncia in epigrafe può certamente essere considerata portatrice di un chiarimento in ordine alla declaratoria in executivis di un reato commesso nei cinque anni successivi alla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. e poi accertato con decreto penale di condanna divenuto irrevocabile.

L’iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte parte dal presupposto che la situazione di fatto da cui discende la causa di estinzione del reato, per assurgere a condizione di diritto, necessita dell’intervento ricognitivo demandato al giudice dell’esecuzione. Invero, la fattispecie estintiva rappresenta un profilo premiale che si caratterizza per essere differito nel tempo, stante la subordinazione alla ricorrenza di determinati presupposti di legge. L’estinzione è, infatti, preclusa qualora il soggetto abbia commesso altro reato della stessa indole nel termine fissato e l’accertamento della sua responsabilità penale derivi da una sentenza irrevocabile di condanna, quand’anche pronunciata successivamente al termine in questione.1

Essendo ormai pacifica l’operatività dell’istituto riconducibile alla distinzione tra commissione del nuovo reato e relativo accertamento giudiziale cui si ricollega la revoca della sospensione condizionale della pena e della conseguente estinzione del reato, resta da stabilire se detto accertamento giudiziale contenuto in una pronuncia irrevocabile di condanna debba esclusivamente rivestirePage 742 la forma di “sentenza” ovvero possa anche assumere quella di un “decreto penale di condanna” divenuto irrevocabile.

2. L’argomentazione muove in primis dalle possibili affinità riscontrabili tra la sentenza c.d. di patteggiamento e il decreto penale di condanna: quest’ultimo - una volta divenuto definitivo per omessa opposizione - si sostanzierebbe in un provvedimento adottato senza contraddittorio e in assenza di cognizione piena, pertanto assimilabile alla sentenza di patteggiamento non rientrante nel novero delle cause ostative alla declaratoria di estinzione.

Siffatta tesi non appare condivisibile posto che trattasi di provvedimenti profondamente diversi per presupposti applicativi e finalità processuale.

Per mera completezza espositiva ci limitiamo ad osservare che la vexata quaestio sulla natura della sentenza applicativa di pena su richiesta delle parti può dirsi sopita con l’ultimo intervento delle SS.UU. che hanno determinato un revirement interpretativo, riconoscendo alla sentenza di patteggiamento gli effetti tipici della pronuncia di condanna.2

Orbene, se è vero come è vero che in entrambe le ipotesi - del “patteggiamento” e del “decreto penale” - si è in presenza di riti alternativi rispetto al giudizio ordinario, in quanto diretti a realizzare un’anticipata definizione del procedimento, diversi sono tuttavia i presupposti e le modalità attraverso cui vi si perviene.

Mentre con il decreto penale, omesso il contraddittorio, si giunge alla condanna mediante l’attività esclusiva del p.m. e del g.i.p., senza alcun apporto processuale da parte dell’imputato - alla cui iniziativa, come è noto, è rimessa solo successivamente la possibilità di ripercorrere le fasi processuali omesse per poter esercitare il diritto di difesa - con il c.d. “patteggiamento” la definizione anticipata del processo, in funzione deflattiva del dibattimento, consegue alla iniziativa - o al consenso - dell’imputato, il quale viene a ciò incentivato anche dalla previsione dei benefici previsti ex lege.3

Tanto basta per poter affermare che, pur potendosi riconoscere una certa assimilazione - quoad effectum e nel rispettivo contenuto - della sentenza pronunciata a seguito di “patteggiamento” al “decreto penale di condanna”, il secondo provvedimento si differenzia dal primo sotto il profilo ontologico e strutturale, poiché rappresenta (alla pari della sentenza di condanna in senso proprio) un atto riconducibile esclusivamente alla volontà del giudice.

Alla medesima conclusione perviene la Corte di cassazione con la sentenza che si annota: la parziale sovrapponibilità della relativa disciplina, attestata dalla condivisione di talune caratteristiche, non consente una vera e propria equiparazione, stante le marcate differenze che emergono dalla comparazione stessa dei due istituti processuali.

3. Soffermando, sia pure brevemente, l’attenzione sulle peculiarità del procedimento per decreto, ci limitiamo a rammentare ch’esso si configura come rito a contraddittorio eventuale e differito, connotato dall’anticipazione della pronuncia di condanna rispetto all’esperimento dei mezzi di difesa, la cui esplicazione è rinviata alla fase che segue la notificazione del decreto stesso: ove venga proposta opposizione, il decreto di condanna è infatti posto nel nulla dalla mancata acquiescenza dell’imputato e opera come mero mezzo di contestazione dell’accusa. Le caratteristiche di celerità e semplificazione del rito rendono ragione sia della possibilità che il destinatario del decreto venga a conoscenza del procedimento penale solo nel momento della notificazione del decreto di condanna, sia dell’efficacia di giudicato riconosciuta al decreto penale in caso di mancata opposizione.4

Il decreto penale emesso ai sensi...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT