Decisioni della Corte

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@CORTE DI CASSAZIONE 20 gennaio 2004, n. 24 (ud. 13 gennaio 2003). Pres. Chieppa - Est. Amirante - Ric. Trib. Milano in proc. Berlusconi.

Giudizio penale di primo grado - Dibattimento - Questioni pregiudiziali - Sospensione del procedimento per le più alte cariche dello Stato - Illegittimità costituzionale.

È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, commi 1, 2 e 3, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) in quanto, collegando la non sottoposizione a processo penale e la connessa sospensione dei processi penali in corso all'assunzione ed alla durata della carica o della funzione, configura una ipotesi di non processabilità che non ha nulla a che vedere con cause e motivazioni endoprocessuali e che si atteggia, quindi, come una prerogativa in favore dei soggetti chiamati a ricoprire le cinque più alte cariche dello Stato, con conseguente violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e dell'art. 112 della Costituzione. (L. 20 giugno 2003, n. 140, art. 1) (1).

    (1) I Giudici della Consulta con la pronuncia in commento hanno ritenuto in toto illegittimo l'articolo 1 della legge n. 140 (cd. «lodo Schifani»), che rammentiamo prevede l'impossibilità di sottoporre a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall'articolo 90 della Costituzione, il Presidente del Senato della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall'articolo 96, della Costituzione, ed il Presidente della Corte costituzionale. I giudici, pur sancendo che quello delle sospensioni del processo penale non è un sistema chiuso e che il legislatore può stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali, hanno ritenuto che la misura predisposta dalla normativa censurata verrebbe a creare in realtà un regime irragionevolmente differenziato riguardo all'esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale, menomando il diritto di difesa per gli imputati ma anche per le parti civili, determinando un eccessivo allungamento dei tempi del processo e, se si vuole paradossalmente, caratterizzandosi per incoerenza per la mancata estensione dell'immunità a tutti i componenti di quattro dei cinque organi dello Stato previsti dalla legge.

RITENUTO IN FATTO. 1. - Nel corso di un processo penale in cui è imputato l'on. Silvio Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei ministri, il Tribunale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 101, 112, 68, 90, 96, 24, 111 e 117 della Costituzione, dell'art. 1, comma 2, in relazione al comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).

Osserva innanzitutto il giudice a quo che la questione è rilevante perché, imponendo la norma impugnata la sospensione del processo penale in corso a carico del Presidente del Consiglio, il tribunale è tenuto ad applicare tale norma e, in caso di dubbio sulla legittimità costituzionale della medesima, a sollevare questione davanti a questa Corte.

Ciò posto, il tribunale rileva che occorre occuparsi sia della previsione generale del comma 1 sia di quella specifica del comma 2, allo scopo di valutare la natura della norma impugnata. A tal proposito, il Collegio afferma che la sospensione in esame non ha nulla a che vedere con le altre ipotesi di sospensione del processo penale previste nel nostro ordinamento (normalmente riferibili a situazioni oggettive di carattere endoprocessuale) che, anche nel caso in cui implichino qualità personali dell'imputato (art. 71 c.p.p.), hanno riguardo ad una situazione obiettiva di incapacità del medesimo a stare in giudizio tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento. Né, d'altra parte, possono ravvisarsi analogie tra la norma impugnata e il regime derogatorio dell'assunzione della prova testimoniale dettato dall'art. 205 c.p.p. a favore dei soggetti cui si riferisce l'art. 1 della legge n. 140 del 2003, poiché la suddetta norma del codice di rito si limita a stabilire un contemperamento degli interessi in gioco, ma non sottrae i soggetti da essa contemplati ai doveri comuni a tutti gli altri cittadini rispetto all'esercizio della funzione giurisdizionale. La disposizione impugnata, invece, collegando la non sottoposizione a processo penale e la connessa sospensione dei processi penali in corso all'assunzione ed alla durata della carica o della funzione, configura una ipotesi di non processualità che non ha nulla a che vedere con cause e motivazioni endoprocessuali e che si atteggia, quindi, come una prerogativa in favore dei soggetti chiamati a ricoprire le cinque più alte cariche dello Stato. Poiché tale beneficio incide sull'esercizio dell'azione penale - che è da intendersi non solo come esplicazione di attività di indagine o formulazione di un'accusa, bensì anche come possibilità di vagliare nel contraddittorio processuale la fondatezza dell'ipotesi accusatoria davanti ad un giudice terzo ed imparziale - il giudice remittente ravvisa innanzitutto una violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e dell'art. 112 della Costituzione.

Né va omesso di considerare che il principio di eguaglianza rientra tra i principi fondanti della Carta costituzionale, derogabile solo dalla stessa Costituzione o con modifiche costituzionali adottate ai sensi dell'art. 138 Cost., come risulta confermato dal fatto che tutte le prerogative riguardanti cariche o funzioni costituzionali sono regolate da fonti di tale rango (artt. 90, 96 e 68 Cost. ed art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.1, che ha esteso ai giudici costituzionali le immunità accordate ai parlamentari dall'art. 68, secondo comma, Cost., nel testo allora vigente). Conseguentemente, da questo punto di vista, l'impugnato art. 1, comma 2, della legge n. 140 del 2003, in riferimento al comma 1 della stessa disposizione, si porrebbe in con- Page 26 trasto con l'art. 3 Cost. in relazione agli artt. 101 e 112 Cost. Né, ad avviso del Tribunale di Milano, è utilmente richiamabile, sotto il profilo della non necessità di una legge costituzionale per introdurre la prerogativa in questione, l'art. 5 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, riguardante i componenti del Consiglio superiore della magistratura. Tale norma infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato, non ha creato alcuna forma di immunità, ma - come precisato da questa Corte nella sentenza n. 148 del 1983 - ha solo previsto una speciale causa di non punibilità, rigorosamente circoscritta «alle manifestazioni di pensiero funzionali all'esercizio dei poteri-doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il Consiglio superiore», la quale, da un lato, non è assimilabile alle immunità e prerogative previste dalla Costituzione e, dall'altro, ha un ambito di operatività che è diverso rispetto a quello delle scriminanti di diritto penale comune e che risulta «frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco». La norma impugnata, invece, non ha creato una scriminante speciale (di per sè compatibile con l'esercizio della giurisdizione), ma una causa di «non processabilità» o di sospensione dei processi in corso che, inevitabilmente, si pone in conflitto col carattere di obbligatorietà dell'azione penale.

Prosegue poi il tribunale ravvisando un palese contrasto tra la norma impugnata e gli artt. 3, 68, 90 e 96 della Costituzione.

L'art. 1 della legge n. 140 del 2003, infatti, fa salva l'applicazione degli artt. 90 e 96 della Costituzione, con ciò indirettamente confermando di voler istituire una prerogativa ulteriore rispetto a quelle ivi previste, per di più priva di ogni collegamento funzionale con la carica rivestita e senza un limite temporale preciso e determinato. Nel disegno fissato dagli artt. 68, 90 e 96 Cost., invece, le speciali forme di immunità e le particolari condizioni di procedibilità ivi regolate risultano strettamente connesse con l'esercizio delle funzioni di parlamentare, di Presidente del Consiglio, di Ministro e di Presidente della Repubblica, mentre la norma in questione non ha alcun collegamento con la funzione, imponendo, come si è detto, la sospensione di tutti i processi penali, per qualsiasi tipo di reato ed anche in riferimento a fatti antecedenti l'assunzione della carica. D'altra parte pare in sè irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa dell'imputato e dell'art. 111 Cost., che, in particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri possa essere sottoposto a giudizio, previa autorizzazione della Camera di appartenenza, per i reati funzionali e non possa - a tempo indeterminato e irrinunciabilmente - esserlo per i reati comuni.

Il giudice remittente, poi, passa ad analizzare - con riguardo alla tutela dei diritti della parte offesa costituitasi parte civile nel procedimento penale sospeso - ulteriori motivi di censura in riferimento agli artt. 24, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in rapporto con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Da tale ultimo parametro, in particolare, si evince, alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la possibilità concreta di accedere agli organi di giustizia è da considerare fondamentale per l'effettiva tutela dei diritti, sicché «uno Stato non può, senza riserve o senza il controllo degli organi della Convenzione, sottrarre dalla competenza dei tribunali tutta una serie di azioni civili o esonerare da...

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