La decisione delle controversie tra giudizio ordinario e arbitrato

AutoreGiorgio De Nova
Pagine603-610

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rivista di diritto privato Problemi delle professioni 4/2012

La decisione delle controversie tra giudizio ordinario e arbitrato *

di Giorgio De Nova

S OMMARIO : 1. L’anima dell’arbitrato. – 2. Giudizio togato e procedimento arbitrale. – 3. L’istruttoria. – 4. Il lodo e la sua impugnazione. – 5. Le interferenze tra arbitrato e giudizio togato. – 6. Contrasti tra giurisprudenza arbitrale e giurisprudenza togata. – 7. L’arbitrato internazionale. – 8. Una considerazione conclusiva.

1. L’anima dell’arbitrato

Per cogliere lo spirito, vorrei dire l’anima dell’arbitrato, conviene muovere dal compromesso (e non, come si fa di solito, dalla clausola compromissoria).

Tra le parti sorge una controversia in materia contrattuale, le parti ed i loro avvocati non riescono a chiuderla con una transazione.

A questo punto la controversia deve essere decisa da un terzo: da un giudice togato, o da un arbitro, il contratto tace sul punto.

I colloqui tra le parti non hanno consentito di chiudere la controversia, ma hanno creato un clima che consente almeno su un punto un accordo: quello di deferire la controversia ad arbitri.

Ecco che le parti sottoscrivono un compromesso, in cui identi cano l’oggetto della controversia, e individuano di comune accordo l’arbitro (o gli arbitri).

Ed allora, nel corso dell’arbitrato, i difensori si asterranno da eccezioni processuali, si concentreranno sul merito, magari riusciranno ad individuare la questione giuridica decisiva, con dando che, decisa quella dagli arbitri, sui numeri le parti potranno poi da sole concordare.

Gli arbitri decideranno, ed il loro lodo sarà, ragionevolmente, accettato dalla parte soccombente, che spontaneamente lo eseguirà, astenendosi dall’impugnarlo.

È questo il modello di arbitrato virtuoso.

In linea di principio, non dovrebbe essere diverso l’arbitrato che si fonda su una clausola compromissoria, perché, se le parti hanno voluto a suo tempo l’arbitrato, il loro atteggiamento dovrebbe essere analogo al sorgere della controversia.

* Relazione tenuta al convegno di Portogruaro, 21-22 settembre 2012, La composizione del con itto nei rapporti tra privati – le tecniche giuridiche e le dinamiche sociali.

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Opposto è, sotto questo pro lo, il giudizio innanzi al giudice togato. Perché, come dice un antico brocardo, judicium reddit in invitum, sed compromissum non reddit in invitum: la parte è trascinata in giudizio, ed invece vuole l’arbitrato.

In verità la contrapposizione tende a sfumare quando l’arbitrato si fonda su una clausola compromissoria, perché la parte chiamata in arbitrato spesso tende ad assumere lo stesso atteggiamento difensivo che assumerebbe se chiamata davanti al giudice ordinario. Di qui le molteplici eccezioni in limine: gli arbitri sono stati nominati male, l’arbitrato è multiparte e non può essere retto dalla clausola compromissoria, sussiste litisconsorzio necessario con un terzo estraneo, la domanda è estranea alla clausola compromissoria, la clausola compromissoria è nulla.

Si tratta, a mio avviso, di patologia.

Devo anche dire che sarebbe bene che chi accetta di essere difensore in arbitrato abbia esperienza di arbitrato, perché il procedimento arbitrale postula comportamenti difensivi che non sono coincidenti con la difesa nel giudizio togato.

Un esempio per tutti. Il giudice togato può guardare con simpatia ad una eccezione pregiudiziale, che gli consente di alleggerire il ruolo; l’arbitro suole guardare con antipatia ad eccezioni volte a contestare la sua competenza.

2. Giudizio togato e procedimento arbitrale

Il giudizio togato e il giudizio arbitrale hanno in comune l’esito, dato che il lodo ha «gli e etti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria» (art. 824 bis cod. proc. civ.): ma sono diversi i procedimenti, il giudizio togato è caratterizzato da fasi ben scandite, e segnato da preclusioni, il procedimento arbitrale è più libero, deve essere soltanto rispettoso del principio del contraddittorio (art. 829, c. 1, n. 9 e 808ter, c.2, n. 5 cod. proc. civ.).

Nel procedimento arbitrale, se le parti o gli arbitri non hanno diversamente previsto, non operano le preclusioni, e sono ammesse modi cazioni delle domande e domande nuove, purché sia appunto rispettato il principio del contraddittorio.

La non applicazione all’arbitrato delle norme del codice di procedura civile sul processo togato va intesa però cum grano salis.

Proprio in tema di contraddittorio vorrei so ermarmi su una questione non nuova, ma che ha destato rinnovato interesse dopo l’introduzione, nel 2009, di un secondo comma all’art. 101, 2° comma cod. proc. civ. che così dispone «Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’u cio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione».

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Trattandosi di norma che speci ca il principio del contraddittorio, si applica, ritengo, anche all’arbitrato. Anche l’arbitro deve evitare la c.d. «terza via», deve evitare di prendere di sorpresa le parti con un lodo che si basa su una questione non discussa tra le parti e rilevata, in sede di lodo, d’u cio, deve provocare, su tale questione, il contraddittorio. Se non lo facesse, il lodo sarebbe nullo per violazione del principio del contraddittorio, ex art. 829, 1 c., n. 9 cod. proc. civ.

Nell’arbitrato, l’applicazione del principio non è, tuttavia, identica a quella pre-vista nel processo togato.

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