Danno esistenziale, una riflessione sul «caso»

AutoreAntonio Carnevale
CaricaDottore in filosofia politica
Pagine563-569

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I) Da qualche tempo una nuova tipologia di danno è stata creata dalla giurisprudenza e dalla dottrina: quella del c.d. danno esistenziale (come molti dei suoi fautori sostengono, essa ha avuto il suo primo ed esplicito riconoscimento dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 7713/2000).

Rifacendoci alla definizione datane dalla Corte d'appello di Milano, sez. II, 29 gennaio 2003, possiamo riconoscere il danno esistenziale come «lesione della personalità del soggetto nel suo modo d'essere sia personale sia sociale che si sostanzia in un'alterazione apprezzabile della qualità della vita consistente in agire altrimenti o in un poter più fare come prima».

Essa nasce dunque da una avvertita necessità di ampliare la tutela risarcitoria alle lesioni della persona, tutela sancita dall'art. 2 della Carta costituzionale. La sua storia giuridica ormai quasi ventennale è stata segnata da continue mutazioni definitorie, tra avanzamenti in senso di maggiore autonomia e indietreggiamenti verso una più tradizionale formulazione giuridica.

Trovare quindi un atteggiamento unanime è cosa impossibile, cosa questa che del resto connota in maniera decisiva tutte le «buone» dispute. Molti sono quelli che hanno sostenuto la valenza e la legittimità del danno esistenziale come figura particolare 1.

Altri 2 associano piuttosto il diritto esistenziale alla lesione del diritto alla salute, esteso dalla dimensione meramente biologica al benessere psichico e sociale e alle varie capacità della persona 3.

Altri ancora, invece, negano che il danno esistenziale sia autonomamente configurabile e lo inseriscono nell'alveo dell'art. 2059 c.c., cioè del danno «non patrimoniale» costituzionalmente finalizzato alla tutela dei diritti fondamentali della persona, al di là degli stretti confini dell'interpretazione letterale, capace pertanto di comprendere anche le lesioni della sfera personale non configuranti reato 4.

In generale si può dire che il danno esistenziale, già presente nel novero della casistica giurisprudenziale di specie, è andato acquisendo con il tempo un carattere di legittimità giuridica tutto suo, attirando su di sè l'attenzione delle varie componenti della comunità giuscientifica, tra le quali si è fatta sempre più nutrita la schiera di coloro che l'hanno sostenuto. Il suo progressivo potenziamento e la sua personalizzazione hanno alimentato una sorta di circolo ermeneutico dell'interpretazione. Infatti la sua codificazione, in principio molto faticosa, si è invece via via facilitata con il crescere dell'interesse generale sul «caso del danno esistenziale», producendo due tipi di effetti: direttamente si è creata una tendenza argomentata all'ampliamento del ventaglio dei pregiudizi nel sistema risarcitorio del danno alla persona; indirettamente ciò ha offerto sempre maggiori materiali alla discussione.

Questo modo di procedere però, se da un lato ha inciso in maniera fondamentale sulla sua risonanza, non ha portato a grossi progressi nel tentativo di trovare una definizione, costituendo anzi ulteriore terreno per polemiche divisioni. In questo tipo di situazioni venutasi a creare, ogni tentativo di restringimento non ha potuto esimersi dal cadere nell'accusa del «troppo stretto», così come, all'opposto, ogni tentativo di allargamento non è mai stato scevro da azzardi. E in questo senso che a mio parere si può parlare del caso del danno esistenziale.

La difficoltà di collocazione e di strutturazione hanno fatto del danno esistenziale una massima assai innovativa nel sistema giuridico, che se sviluppata può arrivare a ribaltare il tradizionale orientamento in materia di risarcibilità, tanto da spingere legislatori ed accademici ad una profonda discussione sul merito della stessa, nel tentativo non solo di trovare una conformità di lineamenti disciplinari, ma di inquadrarla in orizzonte di più ampio respiro, vale a dire come una nuova categoria della responsabilità civile. Essendo quindi una figura «eminentemente» ancora in fase di definizione, essa non ha ancora uno spazio proprio, e anzi, come molti sostengono, il danno esistenziale ha trovato valenza costitutiva proprio in quanto si è andato ad inserire in uno spazio vuoto, colmando così la lacuna lasciata tra le due figure del danno morale e del danno biologico, tra le quali «si è aperta una voragine» 5.

Data anche la mia formazione filosofico-sociologica non entrerò qui nel tecnicismo di questa discussione, cercando di spiegare la questione del danno esistenziale dal punto di vista strettamente interno del diritto privato.

Mi interessa affrontare il tema su un diverso versante argomentativo. Credo infatti che il danno esistenziale non sia un «semplice» oggetto di studio ed analisi per interpreti esperti ed istituzionali, ma al contrario esso restituisce una particolarità significativa, direi quasi «sociologica», per comprendre la cui portata si rende opportuna, a mio parere, una lettura trasversale rispetto alle impostazioni dottrinarie sic et simpliciter.

A tal proposito, occorrerà quindi, in via preliminare, vedere cosa fa del danno esistenziale quel particolare oggetto di produzione disciplinare in materia giurisprudenziale e dottrinale, cosa lo fa diventare così particolare da poterlo definire, così come io voglio fare in questa sede, un caso. Page 564

A mio parere, la particolare novità di questa figura nella riflessione normativa riposa fondamentalmente su due linee parallele di guida all'interpretazione. Di queste più avanti cercherò di dare chiarimenti maggiori (I.I). Qui invece vorrei dare qualche elemento in più per la comprensione di quanto dirò in seguito, vorrei fare una breve premessa prima di proseguire. Ho parlato infatti di due linee parallele, evidentemente la raffigurazione di un'immagine che sta a dire qualcosa. Invero intendo le due linee come due possibili chiavi di lettura che si possono dare della figura del danno esistenziale, due chiavi che, almeno per chi scrive, sono significative per l'analisi del caso.

Volutamente ho sottolineato che questo è appunto un livello «analitico» dell'approccio, in cui le distinzioni che si possono fare non stanno nella realtà degli oggetti su cui le dispute si aprono, ma sono dei passaggi metodologici per esplicarne la complessità dei singoli casi. Per questo quelle stesse linee che possono apparire distinte e parallele per quanto riguarda l'interpretazione e l'analisi, potrebbero in realtà congiungersi poi, quando si estende il discorso e si punta l'attenzione fuori dalle ristrettezze a cui la disputa di fattispecie ci costringe. Ed è questa manovra che vorrei tentare nella seconda parte di questo articolo (I.II).

Concludendo questa breve premessa: nella prima parte di questo scritto proverò a definire e a spiegare quali sono questi due assi significativi, sulle coordinate dei quali si muove la particolarità del danno esistenziale, acquistando così la sua dignità di «oggetto di definizione normativa» con una sua rappresentazione autonoma.

Nella seconda, astraendomi dal piano oggettuale della disputa, ma tentando di non perdere la complessità di rimandi e di nessi che questa apre, vorrei provare a passare dal piano dell'analisi a considerazioni più sintetiche su alcuni spunti interessanti che, a mio parere, questa figura lascia intravedere per quanto riguarda l'evoluzione dell'idea di soggetto, di come questa stia antropologicamente cambiando e di come queste mutazioni non stiano senza inferenze con il diritto con le forme in cui lo si riconosce.

I.I) Per comprendere meglio l'analisi che si può fare del danno esistenziale e di come questo abbia portato ad una mutazione all'interno del sistema della risarcibilità dei criteri di apprezzabilità del danno, e di conseguenza dell'obbligo, si deve provare a sdoppiare l'interpretazione sulla base, come si diceva poc'anzi, di due fondamentali strade di lettura.

Da una parte vi è uno spostamento dell'obbligo di risarcire il danno. Tale movimento va verso un piano sempre meno ontologico del diritto, per aprirsi sempre più alle dinamiche del quotidiano, del normativo come momento di riconoscimento del carattere solidale dell'interpersonalità, prospettiva che potremmo chiamare «ontica». Non a caso si è parlato di una esistenzializzazione del diritto privato. In questa ricostruzione dell'elemento soggettivo della responsabilità civile si rende sempre meno centrale l'importanza del patrimonio come elemento identificativo del danno.

Ho dato a questa tendenza una linea interpretativa che qui voglio definire di depatrimonializzazione del danno. In altre parole, intendo cioè fare riferimento allo sviluppo che c'è stato nell'interpretazione tradizionale dell'art. 2043 c.c.

Dall'altra parte, il danno esistenziale rappresenta un caso particolare di aumento della possibilità di tutela della persona, e del suo diritto a godere di una vita degna di essere vissuta, attraverso la costituzione di un obbligo risarcitorio che sempre meno si vede implicato con una determinazione ipotesi di reato o di colpevolezza. Al riguardo, potremmo parlare di depenalizzazione della colpa.

Qui faccio invece riferimento all'evoluzione che c'è stata rispetto a quanto detto nell'art. 2059 c.c.

Andiamo per gradi.

L'interpretazione tradizionale affermava che, ai sensi dell'art. 2043 c.c., potessero essere risarciti soltanto i danni di contenuto patrimoniale, cioè quei danni suscettibili di essere apprezzati dal punto di vista del decremento del patrimonio del soggetto danneggiato, causato dalla perdita della capacità lavorativa generica (ossia, l'idoneità psico-fisica all'espletamento di un'attività lavorativa qualunque, prescindendo dalle specifiche caratteristiche e attitudini del danneggiato) o specifica (cioè, la peculiare idoneità del soggetto all'espletamento dell'attività concretamente svolta o di altra similare, tenuto conto delle caratteristiche fisiche o intellettuali del soggetto). Con il passare del tempo ci si è accorti come la particolarità di alcuni casi collidesse in maniera...

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