La cross-examination nel giudizio penale

AutoreLuigi Fadalti
Pagine257-266

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@1. Introduzione

- La c.d. cross examination (esame «incrociato» o «controesame») deve essere considerata nel suo contesto, cioè alla luce del diritto alle prove penali, dei principi deontologici della professione forense e della disciplina della fase dibattimentale.

In un sistema processuale e penale di tipo accusatorio, come il dibattimento è il centro del processo, così l'istruzione dibattimentale è il centro del dibattimento1: utilizzabile ai fini della decisione è, infatti, la prova che progressivamente si forma in sede dibattimentale nel contraddittorio delle parti. È stato, infatti, lucidamente rilevato che la differenza sostanziale tra il sistema inquisitorio e quello accusatorio risiede nel metodo di accertamento dei fatti, incentrati in un caso attorno alla figura del giudice, nell'altro sul contrasto dialettico tra accusa e difesa davanti al giudice che ha il compito di decidere il merito della causa2. Nella seconda prospettiva non ogni strumento è idoneo alla ricerca della verità, poiché il sistema delinea le regole, operando una selezione del materiale conoscitivo utilizzabile dal giudice ai fini decisori.

L'accettazione del criterio di legalità della prova nel procedimento di formazione della medesima non comporta, tuttavia, venire meno del «principio del libero convincimento» del giudice, il quale, peraltro, come ha chiarito la Corte costituzionale, potrà riferirsi esclusivamente «alle prove legittimamente formate ed acquisite»3, con la conseguenza che anche l'obbligo della motivazione dovrà sottostare alle regole di utilizzabilità previste dal codice di rito.

@2. L'esame incrociato avanti il tribunale

- L'art. 496 c.p.p. prevede una precisa scansione per lo svolgimento dell'esame incrociato: dapprima vengono esaminati i testi a carico (ed in tale ambito prima i testimoni del P.M. e poi quelli della parte civile) e di seguito i testimoni a discarico (del rappresentante civile, del civilmente obbligato alla pena pecuniaria e dell'imputato)4.

Tale ordine, peraltro, può essere modificato sull'accordo delle parti. All'interno di ciascuna lista, invece, è la parte richiedente che stabilisce la successione degli esaminandi.

Le modalità di assunzione della prova testimoniale sono scandite negli artt. 498 e 499 c.p.p.

Le domande proponibili trovano, innanzitutto, la loro fonte nelle circostanze enunciate nella lista testimoniale (art. 468, comma 1, c.p.p.).

L'art. 498 c.p.p. ci indica la sequenza, i tempi ed i modi in cui si deve svolgere l'esame incrociato. L'esame è articolato in tre momenti fondamentali:

- esame diretto;

- controesame;

- riesame.

Le domande nell'esame diretto sono poste dalla parte che ha chiesto di interrogare il testimone.

Il controesame è eventuale ed è condotto da chi non ha chiesto l'esame.

Il riesame, doppiamente eventuale, è riservato a chi ha chiesto l'esame al fine di proporre nuove domande: non è, di regola, consentito un ulteriore controesame5.

Al termine del riesame, il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande; in tal caso, le parti hanno diritto a concludere l'assunzione della prova secondo l'ordine prescritto e, pertanto, si può rinnovare in tutto od in parte la successione «esame diretto-controesame-riesame» (art. 506, secondo comma, c.p.p.)6. I tre momenti fondamentali sono tra loro distinti e ciascuno riveste una finalità specifica,

@3. L'esame diretto

- L'esame dei testimoni, che sono tenuti ad impegnarsi a dire la verità secondo la formula di cui all'art. 497, comma 2, c.p.p., è condotto direttamente dalla parte che ne ha chiesto l'ammissione7. Si tratta di una fase che ha come fine primario quello di ottenere la ricostruzione dei fatti conosciuti dal testimone così da influenzare favorevolmente chi ascolta.

Colui che propone le domande deve fare riferimento alle linee tracciate nella lista testimoniale, dalle quali almeno teoricamente non dovrebbe essere possibile discostarsi (art. 468 c.p.p.). È bene, pertanto, che tali liste siano redatte indicando le circostanze in maniera quanto più possibile aperta8: in dottrina si esclude la possibilità di condurre l'esame su circostanze diverse da quelle contenute nella lista ex art. 468 c.p.p. o nell'esposizione introduttiva, evidenziandosi «l'eventuale violazione del principio della piena discovery per l'assoluta lealtà del contraddittorio»9.

Le domande poste al teste dovranno riguardare fatti «determinati» (art. 194, comma 3 c.p.p.) e «specifici» (art. 499, comma 1 c.p.p.)10.

Si ritiene che tale vincolo non debba essere inteso in modo rigido. Il criterio guida dovrebbe discendere dalla ratio del deposito delle liste: se la loro funzionePage 258 è quella di tutelare la controparte dalle prove a sorpresa e consentire la deduzione della prova contraria, dovrebbero essere vietati solo quegli ampliamenti dell'esame idonei ad aggirare tale garanzia. Tendenzialmente, dunque, le domande possono vertere anche su circostanze ulteriori emerse nel corso dell'esame, a meno che queste ultime non fossero già note e, quindi, suscettibili di essere precisate al momento del deposito delle liste.

Questo non deve far ritenere, però, che le domande debbano essere scontate; sarà sufficiente che siano «pertinenti» a quei fatti e soddisfino il requisito della «verosimiglianza»11.

La dottrina ritiene verosimile quel fatto caratterizzato da una «ipotetica verificabilità»12: intendendosi «nel processo penale, ... per verosimiglianza l'eventualità che certi fatti del passato si siano verificati nel modo che risulta dalle dichiarazioni della teste»13.

Affinché l'esame raggiunga il suo scopo - impressionare positivamente il giudice - sarà necessario che le domande vertano su circostanze «verosimili».

Spetterà all'esaminatore, secondo la sua «arte nel porre le domande», scegliere la tecnica più idonea a raggiungere gli obiettivi prefissati, optando per le c.d. short questions (domande brevi), ovvero lasciare più spazio al teste durante la narrazione dei fatti14.

@4. Il controesame

- Il controesame è una fase eventuale ed è condotta dalla parte che non ha chiesto l'esame a cui viene riconosciuta la «facoltà» di porre domande alla persona già sentita nell'esame diretto.

È uno strumento decisivo nella logica dialettica del processo di parti. Serve a fornire una spiegazione dei fatti alternativa a quella emersa durante l'esame del teste, dimostrando che questo ha riferito, intenzionalmente o meno, fatti e circostanze errate.

La centralità del controesame nella formazione della prova dibattimentale trova una conferma anche nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo15, la quale in più occasioni ha affermato come la mancata possibilità di controinterrogare i soggetti che abbiano reso dichiarazioni a carico dell'imputato comporti una violazione dell'art. 6, primo e terzo comma, della Convenzione dei diritti dell'uomo16.

La finalità del controesame è duplice: da una parte far dichiarare al testimone un fatto diverso o contrario a quello emerso nell'esame diretto e, dall'altro, dimostrare la non credibilità del testimone.

La norma dice che la controparte può porre «altre domande»; i dubbi sorgono intorno al significato da attribuire all'espressione «altre»: diverse rispetto a quelle poste nell'esame (ma sulle stesse circostanze) od «altre», cioè autonome rispetto alle prime?

Per dottrina17 e giurisprudenza18, «la parte che non ha indicato il teste a suo favore non può porre in sede di controesame di quello introdotto d'altra parte, domande su circostanze diverse da quelle specificate da chi ha richiesto l'esame al momento della presentazione della relativa lista; se così non fosse verrebbero frustrati i termini temporali ed i limiti di ammissibilità prescritti dal codice di rito per l'ingresso nel processo delle prove indicate dalle parti, nonché le regole concernenti le modalità di assunzione delle stesse». Pertanto, le «altre domande» si devono configurare come «nuove domande» (strettamente connesse alla materia del controesame) e non come «domande nuove», cioè volte ad introdurre un diverso tema od un diverso argomento.

Ne segue, tra l'altro, che non può (ri)esaminarsi un teste rinunciato dalla parte che lo abbia proposto: la giurisprudenza di legittimità, alla quale si è conformata quella di merito, ha deciso, infatti, che qualora il P.M. abbia rinunciato all'audizione dei propri testimoni, la difesa può procedere al loro esame solo se, avvalendosi «della facoltà concessale dall'art. 468, comma 4 c.p.p.» ne abbia chiesto «nei termini di legge la loro citazione a prova contraria» o se li presenti direttamente al giudice dibattimentale19.

Nel controesame il legame tra le domande e le circostanze indicate nella lista testimoniale appare più elastico rispetto all'esame: «esiste una zona franca ove le parti possono svolgere incursioni senza essere vincolate da preventive deduzioni. È l'area occupata da quanto attiene alla credibilità della fonte di prova sottoposta ad esame»20.

Alla parte che conduce il controesame sarà così consentito, come del resto prevede lo stesso comma 2 dell'art. 194 c.p.p., approfondire gli aspetti inerenti la credibilità del teste che nell'esame siano stati trascurati, al fine di incrinarne l'attendibilità e credibilità.

@5. Il riesame

- Il riesame è un momento eventuale: «è condotto dalla persona che ha chiesto l'assunzione della testimonianza. Avviene soltanto se si è svolto il controesame e, inoltre, soltanto se la parte, che ha chiamato a deporre il testimone, intende procedere al riesame stesso»21.

Lo scopo è quello di «riabilitare» il teste, cioè di ristabilire la sua credibilità, ovvero di chiarire, rettificare, completare quanto emerso nel corso del controesame. Talora può essere utilizzato per completare lacune emerse già durante l'esame. In tal caso dovrebbe essere consentito il controesame, ricominciando così la sequenza.

Anche in questo caso l'ambigua locuzione «nuove domande» adoperata dal legislatore, ha sollevato molti problemi...

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