Crisi della donazione pura ed evoluzione degli interessi del donante

AutoreGiuseppe Palazzolo
Pagine77-104

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@1. L'idea originaria di Francesco Santoro Passarelli riguardo l'assimilazione tra risoluzione e revoca delle donazioni

Vincenzo Buonocore, rispondendo ad un sociologo che intendeva introdursi in modo critico e dissacrante nel mondo del diritto commerciale e civile, segnandone i limiti e le involuzioni, apponeva, nella testata del suo articolo1, un significativo monito tratto dall'opera di J.W. Goethe, secondo il quale: "Tutti i pensieri sono già stati pensati. Occorre solo tentare di ripensarli".

Ciò vale anche nei nostri più limitati ambiti, sì che, l'insegnamento che deriva dall'anzidetto pensiero è quello che il giurista, specie il moderno, non deve mai innamorarsi di una idea, ritenendola assolutamente propria ed originaria, poiché spesso accade di doversi disilludere, costatando che quella stessa idea, seppur con diversi sviluppi, era già stata pensata.

Preso atto, allora, che l'idea volta ad accostare la revocazione delle donazioni alla risoluzione, ha un suo titolare originario, nella distinta e chiarissima figura di Francesco Santoro Passarelli2, tenteremo di ripensarla, per come già abbiamo fatto nei Page 78 nostri precedenti scritti, per verificare, senza alcuna velleità di primato, se l'illustre maestro che ci ha preceduto aveva colto nel segno oppure no.

La risposta è senz'altro affermativa, e si inquadra, per il nostro ripensamento, nel tentativo di modernizzare il contratto di donazione pura, partendo dalla speciale disciplina degli alimenti dovuti, secondo una sequenza estrapolata dalle regole generali della revocazione delle donazioni per ingratitudine, nell'unica ipotesi di accezione civile ivi contenuta, che, fuori da ogni dubbio, conduce verso gli effetti della risoluzione.

A ciò si giunge, secondo la correlazione delle norme che originano dall'art. 801 ult. comma, in tema di mancata prestazione degli alimenti dovuti al donante caduto in stato di bisogno, da parte del donatario obbligato in primis, per il richiamo dell'art. 437 c.c., da leggere con l'art. 438 comma 3 c.c., il quale segna il limite dell'adempimento in parola. Tutte tali norme si posano sul rimedio processuale previsto dall'art. 445 c.c., stante che non è possibile impiantare l'azione di revocazione alimentare delle donazioni, in modo puro e semplice, se non vi sia in atti la diffida ad adempiere da parte del donante formulata ex art. 1219 c.c., il quale comunica al donatario la sua condizione di sopravvenuto bisogno e nei sei mesi successivi alla notifica della medesima segua la fase di impianto del giudizio alimentare.

Lo schema apparentemente asettico delle norme ora richiamate, per attuare un diritto di cui il donante non si spoglia mai, nonostante la definitiva attribuzione del bene oggetto della donazione, offre un notevole contributo nel ripensamento della causa donativa, donde lo spirito di liberalità che apparentemente la connota, si spegne definitivamente per cedere il passo ad un corrispettività differita, del tutto inconciliabile con esso, laddove sopravvenga una causa alimentare determinata dal bisogno oggettivo del donante medesimo3. Né si può ipotizzare uno spirito liberale Page 79 del donatario con sequenza inversa, men che meno di carattere solidale e disinteressato, dato che, egli è obbligato ad adempiere in presenza delle condizioni dell'azione innescate dal fatto del bisogno sopravvenuto del donante, condizioni, che tutte insieme legittimano il donante - alimentando all'azione revocatoria, laddove non segua, alla necessità alimentare legittimamente manifestata, l'adempimento per come intimato.

L'eccezionalità del fatto sottostante alla costruzione anzidetta non significa che tale posizione, a cagione di essa, non sia possibile in concreto, specie se si riflette intorno alle frequentissime donazioni familiari di modesta entità, nelle quali il donante, del caso genitore anziano caduto in stato di bisogno, reclami la sua tutela alimentare con il meccanismo ora esposto, al cui inadempimento del donatario consegue la restituzione del bene donato4.

Qui il dogma dello spirito di liberalità, dalla sua pura astrattezza, scende nei piani più bassi della fattispecie concreta5 che si enuclea nella tutela offerta al donante, in un tutt'uno, dal contratto e dalla legge che contiene implicitamente la condizione Page 80 prevista dalle norme dianzi evocate, se l'art. 1374 c.c., funziona ancora per la sua integrazione, sicchè rappresenta un inutile esercizio dogmatico il distinguere, la natura delle prestazioni donative rispetto a quelle dei contratti corrispettivi, per giungere alla tipicità del rimedio revocatorio che non consente estensioni6.

@2. Risoluzione alimentare delle donazioni e controllo legale della causa dell'attribuzione. La pluralità delle tutele in favore del donante

Il fine delle nostre osservazioni sul tema tracciato da Francesco Santoro Passarelli, giunti a questo punto, può dirsi che non è stato compreso, sì che, senza modificare il nostro collegato ripensamento sulla mirabile dottrina evocata, vogliamo ora indicare un altro itinerario che, prendendo le mosse dalla sola disciplina degli alimenti, conduce agli stessi effetti della revoca della donazione per la mancata prestazione alimentare, visti nel difetto funzionale della primigenia causa liberale7.

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In tema di donazioni immobiliari che coinvolgono i membri della famiglia, nella sovente sequenza genitore(i) - figli, ma se si vuole anche gli ascendenti in favore dei discendenti, fino alle linee più estese dei parenti legittimi, approfondendo le norme nella stabile sequenza prima esposta (per memoria, gli artt. 801, 437, 438, 445 c.c.) si assiste alla possibile enucleazione di una alternativa processuale alla revocazione, vale a dire, quando l'azione sia improntata alla sola richiesta di alimenti dovuti per il fatto del bisogno, in termini di vitto, alloggio e vestiario, per come interpretati estensivamente dalla giurisprudenza più sensibile al tema8, sul presupposto della donazione effettuata in favore dell'alimentando.

Non è difficile replicare nei confronti di chi non ci comprende9 che la presunta tipicità del rimedio revocatorio è solo indicata all'art. 801 ult. comma c.c., e non Page 82 può, quindi, revocarsi in dubbio che le norme più efficaci ed al contempo necessarie, per l'attivazione della tutela si ritrovano in quelle dettate in tema di alimenti, vale a dire quelle disposizioni che individuano il soggetto obbligato con precedenza sugli altri obbligati successivi (art. 437 c.c. che supera l'art. 433 c.c. In ordine alla precedenze), il limite della prestazione cui egli è tenuto, rapportato al valore della donazione in suo possesso (art. 438 c.c.), il procedimento necessario all'attivazione del giudizio alimentare ex art. 445 c.c. Va pure detto che, considerata la loro immediata precettività, tali norme sono improntate a calibrare il rimedio processuale nella speciale disciplina dei rapporti familiari, ove la tecnica spesso cede di fronte alla rilevanza degli status familiari coinvolti in una materia così delicata e di estrema responsabilità10, che riguarda la sopravvivenza della persona. Basta la semplice lettura dell'art. 443 c.c. Riguardo il modo di somministrazione degli alimenti, per comprendere come la tecnica delle obbligazioni alternative, cede di fronte alle fattispecie speciali ivi enucleate, che in modo digressivo conducono verso la migliore composizione del diritto reclamato dall'alimentando, cioè quello dell'accoglienza e del suo mantenimento nella casa dell'obbligato, vieppiù giustificato dal legame genitoriale tra i medesimi11.

Il vantaggio concreto, prendendo le mosse dalla revocazione alimentare della donazione pura, è quello di individuare immediatamente l'obbligato per effetto dell'art. 437 c.c.12, a prescindere dal grado si parentela, con precedenza, quindi, sugli Page 83 obbligati ulteriori previsti dall'art. 433 c.c.13, e consente di ottenere, per l'urgenza tipica del procedimento, la liquidazione immediata del rateo alimentare, potendosi posporre la revoca della donazione medesima con effetti restitutori (e naturalmente risolutori) in un momento successivo, laddove l'inadempimento del donatario obbligato agli alimenti persista, ovvero sia incompleto od ancora indebitamente ritardato, dopo la diffida prevista dall'art. 445 c.c. che richiama l'art. 1219 c.c., unitamente ai tempi ivi considerati per l'esercizio dell'azione. Anche qui, strettamente argomentando, il principio della tipicità del rimedio cade inesorabilmente di fronte all'interesse protetto, giacchè il donatario sa bene che per mantenere il bene donato deve adempiere, sicchè il reiterato inadempimento comporterebbe la revoca di diritto della donazione, potendo essere considerata tardiva l'offerta di adempimento o l'adempimento stesso, dopo la scadenza dei termini minimi assegnati al donatario con la diffida.

L'analisi letterale della norma che prevede la revocazione alimentare delle donazioni è sul punto confortante, giacchè il senso della disposizione volta ad affermare Page 84 che il donatario "... ha indebitamente rifiutato gli alimenti dovuti ai sensi degli artt. 433 e 43614", al donante, indica, senza possibilità di sfuggire alle regole sulla risoluzione, la necessità della diffida ad adempiere, quale fase naturalmente precedente la domanda di revocazione, al fine di configurare tecnicamente l'indebito rifiuto degli alimenti.

Del resto è noto, argomentando dai principi generali relativi ai contratti con prestazioni corrispettive che la domanda di risoluzione esclude quella di adempimento, per il noto brocardo, secondo il quale electa una via non datur recursus ad alteram; ma è altrettanto noto che, agito per l'adempimento dell'obbligazione contrattuale non è preclusa la domanda di risoluzione o di revocazione che dir si voglia, essendo il principio ora evocato identico per ogni contratto dal quale la legge e/o la volontà delle parti esige una determinata forma di contengo dei contraenti rispetto agli obblighi derivanti...

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