Corte costituzionale 6 dicembre 2013, n. 291 (c.c. 25 settembre 2013)

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giur
Arch. nuova proc. pen. 3/2014
CORTE COSTITUZIONALE
tunc del provvedimento governativo. Nella misura in cui
le Camere non rispettano la funzione tipica della legge
di conversione, facendo uso della speciale procedura per
essa prevista al f‌ine di perseguire scopi ulteriori rispetto
alla conversione del provvedimento del Governo, esse agi-
scono in una situazione di carenza di potere.
In tali casi, in base alla giurisprudenza di questa Corte,
l’atto affetto da vizio radicale nella sua formazione è inido-
neo ad innovare l’ordinamento e, quindi, anche ad abroga-
re la precedente normativa (sentenza n. 123 del 2011 e n.
361 del 2010). Sotto questo prof‌ilo, la situazione risulta as-
similabile a quella della caducazione di norme legislative
emanate in difetto di delega, per le quali questa Corte ha
già riconosciuto, come conseguenza della declaratoria di
illegittimità costituzionale, l’applicazione della normativa
precedente (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162 del 2012), in
conseguenza dell’inidoneità dell’atto, per il radicale vizio
procedurale che lo inf‌icia, a produrre effetti abrogativi
anche per modif‌ica o sostituzione.
Deve, dunque, ritenersi che la disciplina dei reati
sugli stupefacenti contenuta nel D.P.R. n. 309 del 1990,
nella versione precedente alla novella del 2006, torni ad
applicarsi, non essendosi validamente verif‌icato l’effetto
abrogativo.
È appena il caso di aggiungere che la materia del
traff‌ico illecito degli stupefacenti è oggetto di obblighi di
penalizzazione, in virtù di normative dell’Unione europea.
Più precisamente la decisione quadro n. 2004/757/GAI del
2004 f‌issa norme minime relative agli elementi costitutivi
dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traff‌ico
illecito di stupefacenti, richiedendo che in tutti gli Stati
membri siano punite alcune condotte internazionali, al-
lorché non autorizzate, fatto salvo il consumo personale,
quale def‌inito dalle rispettive legislazioni nazionali. Per-
tanto, se non si determinasse la ripresa dell’applicazione
delle norme sanzionatorie contenute nel D.P.R. n. 309 del
1990, resterebbero non punite alcune tipologie di condotte
per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di penaliz-
zazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto
dell’Unione europea, che l’Italia è tenuta a rispettare in
virtù degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
6. Stabilito, quindi, che una volta dichiarata l’illegitti-
mità costituzionale delle disposizioni impugnate riprende
applicazione l’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 nel te-
sto anteriore alle modif‌iche con queste apportate, resta
da osservare che, mentre esso prevede un trattamento
sanzionatorio più mite, rispetto a quello caducato, per gli
illeciti concernenti le cosiddette “droghe leggere” (puniti
con la pena della reclusione da due a sei anni e della mul-
ta, anziché con la pena della reclusione da sei a venti anni
e della multa), viceversa stabilisce sanzioni più severe per
i reati concernenti le cosiddette “droghe pesanti” (puniti
con la pena della reclusione da otto a venti anni, anzichè
con quella da sei a venti anni).
È bene ribadire che, secondo la giurisprudenza di que-
sta Corte, sin dalla sentenza n. 148 del 1983, si è ritenuto
che gli eventuali effetti in malam partem di una decisione
della Corte non precludono l’esame nel merito della nor-
mativa impugnata, fermo restando il divieto per la Corte
(in virtù della riserva di legge vigente in materia penale,
di cui all’art. 25 Cost.) di «conf‌igurare nuove norme pe-
nali» (sentenza n. 394 del 2006), siano esse incriminatrici
o sanzionatorie, eventualità questa che non rileva nel pre-
sente giudizio, dal momento che la decisione della Corte
non fa altro che rimuovere gli ostacoli all’applicazione di
una disciplina stabilita dal legislatore.
Quanto agli effetti sui singoli imputati, è compito del
giudice comune, quale interprete delle leggi, impedire
che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada a
detrimento della loro posizione giuridica, tenendo conto
dei principi in materia di successione di leggi penali nel
tempo ex art. 2 c.p., che implica l’applicazione della norma
penale più favorevole al reo.
Analogamente, rientra nei compiti del giudice comune
individuare quali norme, successive a quelle impugnate,
non siano più applicabili perché divenute prive del loro
oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e
quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in
quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4 bis e 4
vicies ter, oggetto della presente decisione.
7. La decisione di cui sopra assorbe l’ulteriore que-
stione sollevata in via subordinata dalla Corte di cassazio-
ne. (Omissis)
CORTE COSTITUZIONALE
6 DICEMBRE 2013, N. 291
(C.C. 25 SETTEMBRE 2013)
PRES. SILVESTRI – REL. FRIGO – RIC. TRIB. SANTA MARIA C.V.
Misure di prevenzione y Appartenenti ad associa-
zioni maf‌iose y Sorveglianza speciale con obbligo
di soggiorno y Sospensione dell’esecuzione a causa
dello stato detentivo in espiazione di pena del sot-
toposto y Presunzione iuris tantum di persistenza
della pericolosità, malgrado il trattamento, nel
momento dell’esecuzione y Ius superveniens che re-
cepisce la disposizione dichiarata incostituzionale,
senza signif‌icative variazioni y Violazione del prin-
cipio di ragionevolezza y Disparità di trattamento
rispetto alla disciplina delle misure di sicurezza y
Illegittimità costituzionale parziale.
. É illegittimo costituzionalmente, in riferimento agli
artt. 3 e 24 Cost., l’art. 12 della L. 27 dicembre 1956, n.
1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone
pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità)
- ora trasfuso nell’art. 15 del D.L.vo 6 settembre 2011,
n. 159 (Codice delle leggi antimaf‌ia e delle misure di
prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di
documentazione antimaf‌ia, a norma degli articoli 1 e 2
della legge 13 agosto 2010, n. 136) - nella parte in cui
non prevede che, nel caso di sospensione dell’esecu-
zione di una misura di prevenzione personale a causa
dello stato di detenzione per espiazione di pena del
sottoposto, il giudice dell’esecuzione debba valutare la

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