Corte Di Cassazione Penale Sez. V, 1 Giugno 2018, N. 24757 (C.C. 19 Febbraio 2018)

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giur giur
Arch. nuova proc. pen. 5/2018
LEGITTIMITÀ
5/2018 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
della realtà materiale conseguente all’azione o all’omis-
sione dell’agente. In questo modo è assicurato il massimo
dispiegarsi della funzione di garanzia sottesa all’art. 649
c.p.p. - senza compromissione di altri principi di rilievo
costituzionale - e si evita che la valutazione comparativa
- cui è chiamato il giudice investito del secondo giudizio -
sia inf‌luenzata dalle sempre opinabili considerazioni sulla
natura dell’interesse tutelato dalle norme incriminatrici,
sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell’evento,
sul ruolo che ha un medesimo elemento all’interno delle
fattispecie, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su
quant’altro concerne i singoli reati.
3. Alla luce di tali criteri deve censurarsi la sentenza
impugnata, la quale ha escluso che il giudicato formatosi
sull’appropriazione indebita sia ostativo alla celebrazione
di un secondo giudizio (per la bancarotta patrimoniale),
perchè, è detto in sentenza, “alla apparente unicità della
condotta non corrisponde l’unicità del fatto”. Invero, pro-
segue la sentenza, “anche se la condotta è unica, come si
potrebbe ritenere nel caso in esame, gli eventi possono
essere plurimi e possono dare ontologicamente luogo a
fatti che possono essere separatamente perseguiti” (pagg.
26-27). La spiegazione, evidentemente tautologica, si ap-
poggia, in realtà, alla giurisprudenza richiamata al punto
1.2., per la quale la declaratoria di fallimento, pur non in-
tegrando - per pacif‌ica giurisprudenza - un evento del re-
ato, qualif‌ica la fattispecie di cui all’art. 216 L.F. nella sua
specif‌icità offensiva, per il fatto che attualizza l’offesa al
bene giuridico protetto, rappresentata dalla garanzia che
il patrimonio dell’imprenditore costituisce per i creditori.
Vero è, poi, che la Corte d’appello di Trieste ha inteso raf-
forzare la conclusione cui è pervenuta attraverso la valo-
rizzazione di un dato che è proprio del fallimento: in ogni
caso, aggiunge infatti la sentenza, dopo la formazione del
precedente giudicato è sopraggiunto un fatto nuovo, da in-
tendere come evento in senso naturalistico, costituito dal
dissesto/insolvenza della società.
4. Ritiene il Collegio che né l’impostazione della Corte
d’appello di Trieste, né quelle che l’hanno preceduta pos-
sano essere condivise.
4.1. Anche se si dovesse ritenere che l’appropriazione
indebita e la bancarotta integrino una ipotesi di concorso
formale di reati (cosa decisamente dubbia, per le ragioni
limpidamente esposte nella sentenza n. 37298/2010, sopra
richiamata), la possibilità di procedere per la bancarotta
dopo la formazione del giudicato sull’appropriazione è, ora
- dopo la sentenza n. 200/2016 della Corte costituzionale,
sopra richiamata, la quale ha dichiarato l’illegittimità co-
stituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale,
nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per
la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra
il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile
e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale
- condizionata alla possibilità di leggere, nella banca-
rotta, un fatto diverso rispetto all’appropriazione, sulla
base degli elementi identitari del reato, tradizionalmente
compendiati nella triade condotta, nesso causale, even-
to. Dopo questa pronuncia, infatti, la problematica posta
dall’impatto del ne bis in idem sul concorso reale di norme
va risolta alla stregua dei criteri enunciati in precedenza,
secondo cui un nuovo giudizio è consentito solo se il fatto
che si vuole punire sia, naturalisticamente inteso, diverso,
e non già perchè con la medesima condotta sono state vio-
late più norme penali e offeso più interessi giuridici. Il che
impedisce di far riferimento all’istituto del concorso reale
di norme per dirimere la problematica posta dal sopravve-
nire del fallimento alla pronuncia di appropriazione.
4.2. Nemmeno l’impostazione più recente della giuri-
sprudenza di legittimità può essere seguita. Essa fa leva sul
fatto che appropriazione indebita e bancarotta per distra-
zione sono strutturalmente diverse, perchè la bancarotta
ha, in più, l’elemento specializzante della dichiarazione
di fallimento, che “attualizza” l’offesa insita nell’appro-
priazione. Occorre considerare, però, che il diritto penale
punisce i fatti dipendenti dall’azione o dall’omissione
dell’agente; perciò, anche se nel “fatto” vanno ricompresi -
secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle
Sezioni Unite - le conseguenze della condotta (l’evento) e
il nesso che le lega alla condotta, deve trattarsi pur sem-
pre di elementi dipendenti dall’agire del soggetto, perchè
possano essergli addebitati. La dichiarazione di fallimento
è, invece, per generale opinione, indipendente dalla vo-
lontà dell’agente, perchè consegue all’iniziativa dei credi-
tori o del Pubblico Ministero ed è legata alle valutazione
del Tribunale fallimentare, sicché non può essere annove-
rata tra gli elementi che concorrono alla identif‌icazione
del “fatto” nella accezione assunta dal giudice delle leggi e
che qui rileva. D’altra parte, la recente giurisprudenza di
questa sezione (cfr. sez. V, n. 13910 del 9 febbraio 2017, rv.
269388 e 269389, nonché, sez. V, n. 4400 del 6 ottobre 2017,
Cragnotti, n.m.), sviluppando consequenzialmente le pre-
messe poste da S.U., n. 22474 del 27 settembre 2016, Pas-
sarelli, ha ritenuto che la dichiarazione di fallimento co-
stituisca, nei confronti del delitto di bancarotta distrattiva
pre-fallimentare, condizione obbiettiva di punibilità (con-
tra, però, sez. V, n. 17819 del 24 marzo 2017, rv. 269562).
Vale a dire che, in tale f‌igura criminosa, la condotta si per-
feziona con la distrazione, ma la punibilità è subordinata
- secondo lo schema dell’art. 44 c.p. - alla dichiarazione di
fallimento. E dunque, se l’agente è già stato giudicato con
carattere di def‌initività per il delitto di cui all’art. 646 c.p.,
nel caso di condanna egli sarà assoggettato alla sanzione
penale stabilita dal giudice; nel caso di assoluzione, non si
vede come la medesima condotta potrebbe essere contrad-
dittoriamente valutata penalmente rilevante. Depurata,
dunque, di questo elemento (id est, la dichiarazione di fal-
limento), la bancarotta per distrazione non si differenzia
in nulla dall’appropriazione indebita (quando, beninteso,
abbiano lo stesso oggetto), sicché non presenta la diversi-
tà necessaria a superare il divieto del bis in idem. La pro-
fonda diversità della bancarotta per distrazione, rispetto
all’appropriazione indebita, sta, in realtà, nell’offesa che
essa reca all’interesse dei creditori, per la diminuzione
della garanzia patrimoniale che è ad essa collegata; ma
si tratta di una diversità che, stando al dictum della Corte
costituzionale, non rileva ai f‌ini della identif‌icazione del
“fatto”, perchè attiene - insieme all’oggetto giuridico, alla
natura dell’evento, ecc. - ad elementi della fattispecie che,
per la loro opinabilità, non devono concorrere a segnare
l’ambito della garanzia costituzionale e convenzionale del
ne bis in idem.
4.3. Evidentemente, proprio perchè avvertita della fra-
gilità della costruzione prima richiamata, la Corte d’appello
di Trieste ha inteso far leva sulle conseguenze dell’appro-
priazione, individuate, questa volta, nel dissesto/insolvenza
della società. In pratica, il fallimento della società - intesa,
questa volta, non come formale dichiarazione di fallimen-
to, ma come sostanziale dissesto - costituirebbe, nella spe-
cie, l’evento del reato, perchè collegato causalmente con
la distrazione della somma di € 35.000 da parte dell’am-
ministratore. Pur riconoscendosi, in via teorica, che la di-
strazione di somme (evidentemente, di importo rilevante)
possa determinare, nella pratica, il fallimento dell’impresa
e rappresentare, quindi, un evento ulteriore, da prendere
in considerazione per valutare l’identità del fatto, si deve
osservare che, nella specie, non si tratta dell’accusa mos-
sa a P. (al quale non è contestata la bancarotta impropria
ex art. 223, comma 2, L. Fall., ma quella distrattiva ex art.
216), né che sono comunque rinvenibili, in sentenza, ele-
menti de cui desumere che il fallimento della C.S. s.r.l. sia
stato conseguenza della distrazione contestata all’imputa-
to, sicché anche l’argomento speso, da ultimo, dal giudice
d’appello si rivela inidoneo a superare le criticità insite
nella conclusione cui è pervenuto.
In conclusione, nessuna delle impostazioni passate in
rassegna regge all’impatto coi principi enunciati dalla Cor-
te costituzionale nella sentenza più volte richiamata, né si
prof‌ilano, nella specie, situazioni da cui dedurre che la ban-
carotta rappresenti un fatto diverso dal reato per cui vi è pro-
nuncia passata in giudicato, sicché va escluso che P. potesse
essere nuovamente sottoposto a procedimento penale.
5. Peraltro, alla medesima conclusione bisogna giunge-
re per altra via. È generalmente riconosciuta l’esistenza,
nell’ordinamento, del giudicato parziale, che può riguar-
dare uno dei fatti di cui un soggetto sia contemporanea-
mente accusato, ovvero un elemento del fatto a lui adde-
bitato. Tale giudicato si forma a seguito dell’accertamento
giudiziale contenuto in un provvedimento def‌initivo del
giudice penale e poggia su una imprescindibile ragione di
ordine logico, non potendosi ammettere che sulle medesi-
me circostanze di fatto - che possono riguardare anche la
sola condotta del soggetto - siano emesse pronunce con-
traddittorie, con frustrazione degli scopi della giurisdizio-
ne. Infatti, proprio per evitare un corto circuito logico, è
ammessa la revisione della sentenza quando i fatti stabiliti
a fondamento di una pronuncia di condanna non possono
conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza irrevo-
cabile. E proprio in applicazione di tale principio è stato
costantemente affermato che - se la preclusione di cui
all’art. 649 c.p.p. non può essere invocata qualora il fat-
to, in relazione al quale sia già intervenuta una pronuncia
irrevocabile, conf‌iguri un’ipotesi di “concorso formale di
reati” (impostazione ancora valida, col limite introdotto
dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale) -
tanto non vale allorché il secondo giudizio si ponga in una
situazione di incompatibilità logica con il primo: ciò che
potrebbe verif‌icarsi allorché nel primo giudizio sia stata
dichiarata l’insussistenza del fatto o la mancata commis-
sione di esso da parte dell’imputato (Cass., n. 11918 del 20
gennaio 2016, rv. 266382; sez. III, n. 50310 del 18 settem-
bre 2014; sez. III, n. 25141 del 15 aprile 2009).
Ciò che vale per il concorso reale di norme incrimim-
natrici vale, stante l’identità di ratio, per il reato comples-
so (a cui, si è visto, viene ricondotta, da parte di alcune
pronunce, la sequenza appropriazione-bancarotta), che si
caratterizza per la presenza di elementi riconducibili ad
altre fattispecie delittuose, su cui potrebbe essere senz’al-
tro intervenuto - prima dell’avvio dell’azione penale per il
reato complesso - un accertamento giudiziale con eff‌icacia
di giudicato.
Ebbene, P. è stato assolto - con sentenze del Tribu-
nale di Pordenone, passate in giudicato il 24 luglio 2012
- dall’accusa di essersi appropriato della somma di 35
mila euro, che è anche alla base della contestazione di
bancarotta. Pur ammettendo (in ipotesi) che, agli effetti
dell’art. 649 c.p.p., appropriazione indebita e bancarotta
siano fatti diversi, per la presenza, nella bancarotta, di un
elemento naturalisticamente diverso dall’appropriazione,
deve riconoscersi che l’unica condotta che ha dato origine
ad entrambi procedimenti era stata, prima dell’avvio del
procedimento per il reato fallimentare, oggetto di accerta-
mento in sede penale, con esito liberatorio per l’imputato,
sicché su di esso si era formato il giudicato. Anche per tale
motivo, quindi, la seconda azione penale non avrebbe po-
tuto essere promossa.
6. In conclusione, la sentenza impugnata non ha fat-
to corretta applicazione dei principi in materia di ne bis
in idem, sicché, ravvisandosi, nella specie, sulla base di
quanto sopra esposto, una preclusione derivante da prece-
dente giudicato, va annullata senza rinvio. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 1 GIUGNO 2018, N. 24757
(C.C. 19 FEBBRAIO 2018)
PRES. ZAZA – EST. RICCARDI – P.M. FIMIANI (CONF.) – RIC. P.G. IN PROC. P. ED
ALTRA
Misure di prevenzione y Singole misure y Conf‌isca
di prevenzione y Revoca in appello y Assunta senza
alcun confronto con la biograf‌ia criminale del pro-
posto y Legittimità y Esclusione.
. In tema di misure di prevenzione deve ritenersi in-
sussistente o meramente apparente (con conseguente
conf‌igurabilità del vizio di legittimità costituito dalla
violazione di legge), la motivazione del provvedimen-
to con il quale la corte d’appello, in accoglimento del
gravame proposto dall’interessato, abbia revocato la
conf‌isca disposta dal giudice di primo grado, senza in
alcun modo confrontarsi con quanto da quest’ultimo
era stato ampiamente illustrato circa la biograf‌ia cri-

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