Corte di Cassazione Penale sez. V, 6 marzo 2018, n. 10133 (ud. 5 febbraio 2018)

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giur giur
Arch. giur. circ. ass. e resp. 6/2018
LEGITTIMITĂ€
6/2018 Arch. giur. circ. ass. e resp.
LEGITTIMITĂ€
estranea al decisum, non essendosi la Corte di appello in
alcun modo pronunciata in merito, e non avendo i ricor-
renti riprodotto nel ricorso - nel rispetto del principio di
autosuff‌icienza - il motivo di gravame che affermano di
avere proposto (p. 31 del ricorso). Per cui, sotto tale pro-
f‌ilo la censura - peraltro neppure proposta come omessa
pronuncia, bensì come violazione dell’art. 1203 c.c. - è da
reputarsi inammissibile.
4. Con il sesto motivo di ricorso, la S. s.n.c. ed i soci
denunciano “l’ingiustizia delle condanne alle spese” e “l’il-
legittimità derivata, contraddittorietà ed illogicità” della
decisione sulle spese dei diversi gradi del giudizio.
4.1. Gli istanti lamentano l’eccessività della liquidazio-
ne delle competenze di primo e secondo grado, non com-
misurate alla “pochezza e superf‌icialità degli argomenti
spesi nelle due pronunzie”, e “non calibrate al piano degli
accadimenti”.
4.2. Il mezzo è inammissibile.
4.2.1. In sede di ricorso per cassazione, la determi-
nazione, del giudice di merito, relativa alla liquidazione
delle spese processuali può essere, invero, censurata solo
attraverso la specif‌icazione delle voci in ordine alle quali
lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, sicchè è gene-
rico il mero riferimento a prestazioni, che sarebbero state
riconosciute in eccesso o in violazione della tariffa massi-
ma, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto
liquidate dal giudice, con derivante inammissibilità dell’i-
nerente motivo (Cass. 20 maggio 2016, n. 10409; Cass. 27
ottobre 2005, n. 20904).
4.2.2. Il motivo non può, pertanto, trovare accoglimento.
5. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso per cassazione
deve, di conseguenza, essere integralmente rigettato, con
condanna dei soccombenti alle spese del presente giudi-
zio. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 6 MARZO 2018, N. 10133
(UD. 5 FEBBRAIO 2018)
PRES. BRUNO – EST. SCOTTI – P.M. LOY (CONF.) – RIC. R.
Violenza privata y Elemento oggettivo y Estremi y
Fattispecie relativa alla condotta dell’agente con-
sistita nel trattenere le chiavi della vettura della
persona offesa per impedirgli di allontanarsi.
. Correttamente viene ritenuta la sussistenza del rea-
to di violenza privata e non di quello di esercizio ar-
bitrario delle proprie ragioni nella condotta di taluno
che, strappando la chiave di avviamento dal cruscotto
della vettura alla guida della quale si trovava la persona
offesa, abbia in tal modo costretto quest’ultima a non
allontanarsi, nell’attesa dell’intervento dei Carabinieri
i quali, nell’intenzione dell’agente, avrebbero dovuto
identif‌icare la stessa persona offesa, resasi inadem-
piente all’obbligo di pagare una fornitura di carburan-
te, e raccogliere quindi una denuncia nei suoi confron-
ti per truffa o insolvenza fraudolenta. (Mass. Redaz.)
(c.p., art. 610; c.p., art. 393) (1)
(1) Fattispecie analoga si ritrova in Cass. pen., sez. V, 25 ottobre
2017, n. 49025, in questa Rivista 2018, 240, che, tuttavia, perviene
alla conclusione di ritenere sussistente il concorso tra il reato di vio-
lenza e privata e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Nel senso che l’elemento della violenza nel reato di cui all’art. 610
cod. pen. si identif‌ica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattiva-
mente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo
consistere anche in una violenza "impropria", che si attua attraverso
l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà
altrui, impedendone la libera determinazione, v. Cass. pen., sez. V, 2
febbraio 2016, n. 4284, in Riv. pen. 2016, 823 e Cass. pen., sez. V, 26
marzo 2010, n. 11907, ivi 2011, 358. Sulla necessità, perchè sussista
il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) che
la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente corrisponda perfetta-
mente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamen-
to giuridico, v. Cass. pen., sez. VI, 17 maggio 2013, n. 21197, ivi 2014,
532 e Cass. pen., sez. V, 8 luglio 2010, n. 26176, ivi 2011, 948.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 26
maggio 2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di
Ferrara del 18 aprile 2014, appellata dall’imputato R.V.,
che l’aveva ritenuto responsabile del reato di violenza pri-
vata di cui all’art. 610 c.p. in danno di B.R., per averla co-
stretta a fermarsi, strappando le chiavi dal cruscotto della
sua autovettura in cui si era repentinamente introdotto,
e, concesse le attenuanti generiche, l’aveva condannato
alla pena di mesi 2 di reclusione, con pena sospesa e non
menzione.
2. Ha proposto ricorso l’avv. C.B., difensore di f‌iducia
dell’imputato, svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo, dedicato al tema della re-
sponsabilitĂ  per il reato di violenza privata, il ricorrente
lamenta malgoverno della legge processuale con riferi-
mento all’art. 581 c.p.p., dovendosi considerare ammissi-
bile il primo motivo di gravame proposto dall’appellante
e ritenuto inammissibile dalla Corte per difetto di speci-
f‌icità estrinseca.
Il motivo di appello era perfettamente ammissibile
perché affrontava il percorso motivazionale della senten-
za di primo grado, laddove aveva affermato che l’elemento
costitutivo della violenza, ravvisato dal Tribunale nella
violenza impropria, esplicantesi attraverso l’uso di mezzi
anomali diretti a coartare l’altrui volontà, poteva ritener-
si integrato solo in presenza dell’idoneità costrittiva del
mezzo usato.
2.2. Con il secondo motivo proposto ex art. 606, comma
1, lett. b), c.p.p. il ricorrente lamenta inosservanza o erro-
nea applicazione della legge penale in relazione alla man-
cata derubricazione della fattispecie di violenza privata ex
art. 610 c.p. a esercizio arbitrario delle proprie ragioni con
violenza o minaccia alla persona ex art. 393 c.p..
Secondo il ricorrente occorreva partire dal principio che
nel nostro ordinamento non esistono fattispecie di attivitĂ 
giurisdizionale il cui contenuto possa concretizzarsi nella
minaccia o violenza alla persona; non era sostenibile che
nel paradigma dell’art. 393 c.p. potessero essere sussunte
solo condotte attuative di un facere suscettibile di essere
preteso e azionato dinanzi alla Autorità giudiziaria, perché
ciò condurrebbe a una interpretatio abrogans della norma.
Al contrario, l’identità fra il risultato astrattamente ot-
tenibile dall’azionamento della legittima potestà giurisdi-
zionale deve coincidere con il f‌ine che l’autore si pref‌igge
di conseguire attraverso la condotta violenta o minatoria e
non giĂ  con la condotta stessa.
Il R. nel caso concreto aveva sf‌ilato le chiavi della vet-
tura per costringere la persona offesa ad attendere l’arrivo
dei Carabinieri, che secondo la sua convinzione avrebbero
potuto attivarsi per coadiuvarlo nel conseguimento del
suo f‌ine (pagamento di una somma di denaro a lui dovuta
per carburante non pagato), raccogliendo la sua denun-
cia per truffa o insolvenza fraudolenta e identif‌icando la
persona offesa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, dedicato al tema della responsa-
bilitĂ  per il reato di violenza privata, il ricorrente lamenta
malgoverno della legge processuale da parte della Corte
territoriale con riferimento all’art. 581 c.p.p., poiché il
primo motivo di gravame proposto dall’appellante, rite-
nuto inammissibile dalla Corte per difetto di specif‌icità
estrinseca, doveva perfettamente ammissibile perché si
confrontava criticamente con il percorso motivazionale
della sentenza di primo grado, laddove aveva affermato
che l’elemento costitutivo della violenza, ravvisato dal Tri-
bunale nella cosiddetta “violenza impropria”, esplicantesi
attraverso l’uso di mezzi anomali diretti a coartare l’altrui
volontà, poteva ritenersi integrato solo in presenza dell’i-
doneitĂ  costrittiva del mezzo usato.
1.1. Il Collegio ritiene che effettivamente la Corte territo-
riale abbia giudicato erroneamente inammissibile il motivo
di appello de quo sol perché, non contestando i presupposti
di fatto, sostanzialmente pacif‌ici, ricostruiti dal giudice di
primo grado, ne aveva criticato la decisione invocando un
diverso orientamento giurisprudenziale, e quindi, in buona
sostanza, una diversa interpretazione della legge penale
relativamente alla nozione di “violenza” necessaria per la
conf‌igurazione del reato di cui all’art. 610 c.p..
1.2. Così ragionando la Corte territoriale non ha letto
correttamente il reale signif‌icato della sentenza “Galtelli”
delle Sezioni Unite.
In tale fondamentale arresto, questa Corte, nella massi-
ma espressione nomof‌ilattica, ha sì puntualizzato che l’ap-
pello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile
per difetto di specif‌icità dei motivi quando non risultano
esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici ri-
spetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento
della decisione impugnata, fermo restando che tale onere
di specif‌icità, a carico dell’impugnante, è direttamente
proporzionale alla specif‌icità con cui le predette ragioni
sono state esposte nel provvedimento impugnato. (Sez.
un., n. 8825 del 27 ottobre 2016 - dep. 2017, Galtelli, Rv.
268822); tuttavia la pronuncia ha avuto cura di precisare,
proprio per scongiurare il fraintendimento in cui è incorsa
la Corte felsinea, che il sindacato del giudice di appello
sull’ammissibilità dei motivi proposti non può estendersi,
a differenza di quanto accade nel giudizio di legittimitĂ  e
nell’appello civile, alla valutazione della manifesta infon-
datezza dei motivi stessi (Rv. 268823).
Nella specie il vizio di “genericità estrinseca” dei motivi
di appello, inteso come “mancanza di correlazione fra que-
sti e le ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza
impugnata”, non era ravvisabile per la semplice ragione
che l’appellante non contestava la ricostruzione del fatto
e dissentiva solamente dall’interpretazione offerta della
norma incriminatrice dell’art. 610 c.p..
Solo nel giudizio di legittimitĂ  (art. 606, comma 3) la
manifesta infondatezza delle censure è equiparata alla
loro inammissibilitĂ .
1.3. Tuttavia la Corte bolognese ha motivato, di fatto,
anche nel senso dell’infondatezza del motivo, aderendo
alla tesi accolta dal Tribunale ferrarese e richiamando a
sostegno un recente arresto di questa Corte.
Infatti l’elemento della violenza nel reato di cui all’art.
610 c.p. si identif‌ica in qualsiasi mezzo idoneo a privare
coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di
azione, potendo consistere anche in una violenza “impro-
pria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti
ad esercitare pressioni sulla volontĂ  altrui, impedendone
la libera determinazione (Sez. V, n. 4284 del 29 settembre
2015 - dep. 2016, G., Rv. 266020, in fattispecie di chiusura
a chiave di una serratura di una stanza; Sez. V, n. 11907
del 22 gennaio 2010, Cavaleri, Rv. 246551, in fattispecie
relativa a sostituzione della serratura della porta di acces-
so di un vano-caldaia; Sez. V, n. 1195 del 27 febbraio 1998,
PG in proc. Piccinin ed altri, Rv. 211230, in fattispecie di
apposizione di una catena con lucchetto ad un cancello).
Nella fattispecie il R. sottraendo le chiavi di accensione
della vettura ha effettivamente coartato la volontĂ  della
persona offesa, impedendole di allontanarsi, come avreb-
be voluto, senza attendere l’arrivo dei Carabinieri.
Sussisteva anche l’idoneità costrittiva del mezzo usato,
che, se non altro, impediva alla B. di allontanarsi con l’uso
dell’autoveicolo.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta erronea
applicazione della legge penale in relazione alla mancata
derubricazione della fattispecie da violenza privata ex art.
610 c.p. a esercizio arbitrario delle proprie ragioni con vio-
lenza o minaccia alla persona ex art. 393 c.p..
Il R. nel caso concreto aveva sf‌ilato dal cruscotto
dell’auto le chiavi per costringere la persona offesa ad at-
tendere l’arrivo dei Carabinieri, che secondo la sua con-
vinzione avrebbero potuto attivarsi per coadiuvarlo nel
conseguimento del suo f‌ine (pagamento di una somma di
denaro a lui dovuta per carburante non pagato), racco-
gliendo la sua denuncia per truffa o insolvenza fraudolen-
ta e identif‌icando la persona offesa.
2.2. L’errore concettuale del ricorrente è evidente. Il
ricorrente sostiene che occorre partire dal principio che
nel nostro ordinamento non esistono fattispecie di attivitĂ 
giurisdizionale il cui contenuto possa concretizzarsi nella
minaccia o violenza alla persona e nega che nel paradigma
dell’art. 393 c.p. possano essere sussunte solo condotte at-

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