Corte di Cassazione Penale sez. V, 29 ottobre 2015, n. 43634 (ud. 24 aprile 2015)

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Arch. giur. circ. e sin. strad. 2/2016
LEGITTIMITÀ
espressamente nell’atto di appello, di cui all’art. 346 c.p.c., non trova ap-
plicazione – anche nel rito del lavoro – con riguardo alle istanze istrutto-
rie, quando sia stata impugnata “in toto” la sentenza.
(34) Cfr. Cass. 4 ottobre 1995, n. 10406 e Cass. 16 maggio 1990, n. 4239.
(35) Edita in Foro it. 2005, I, 2719 e segg., con nota di M.C. CEA.
(36) Cfr., ad es., Cass. 14 marzo 2006, n. 5465; Cass. 12 maggio 2006,
n. 11039, e, da ultimo, Cass. 2 febbraio 2009, n. 2577.
(37) V., sul punto, da ultimo, Cass. 9 marzo 2009, n. 5642, in Foro
it. 2009, I, 2093 e segg., con nota di G. MASSETANI. Nel senso adesivo
all’orientamento tracciato dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 8203
e 8202 del 2005, secondo cui la vigenza nel nostro ordinamento di un
sistema di preclusioni, rispondendo al principio della ragionevole durata
del processo, impedisce l’ingresso incondizionato di prove documentali
in appello, cfr. M. BOVE, Sulla produzione di nuovi documenti in ap-
pello, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 303 e segg., nonché G. RUFFINI,
Produzione ed esibizione di documenti, in Riv. dir. proc. 2006, 434 e segg.
(38) Occorre evidenziare che il giudice d’appello non può, per il di-
sposto dell’art. 437 c.p.c., pronunciare comunque sentenza se non sentiti
i difensori delle parti, il che implica che detto giudice, dopo la relazione,
deve, in ogni caso, ammettere le parti alla discussione orale del merito
della causa, salva rinuncia espressa dei rispettivi procuratori; cfr. Cass.
26 maggio 2000, n. 6979, in Mass., 2000.
(39) Il mancato richiamo al 3° comma dello stesso art. 429 c.p.c., da
parte del 1° comma dell’art. 2, comma 1, dell’art. 2 del D.L.vo n. 150/2011,
si giustif‌ica per la sua inapplicabilità ontologica alle controversie in ma-
teria di sanzioni amministrative.
(40) È rilevante osservare come - secondo il recente avviso della giu-
risprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. 28 febbraio 2014, n. 4854)
- nel rito del lavoro, il divieto di “nova” in appello, ex art. 437 c.p.c., non
riguarda soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso
alle contestazioni nuove, cioè non esplicitate in primo grado, sia perché
l’art. 416 cod. proc. civ. impone un onere di tempestiva contestazione
a pena di decadenza, sia perché nuove contestazioni in secondo grado,
oltre a modif‌icare i temi di indagine (trasformando il giudizio di appello
da “revisio prioris instantiae” in “iudicium novum”, estraneo al vigente
ordinamento processuale), altererebbero la parità delle parti, esponen-
do l’altra parte all’impossibilità di chiedere l’assunzione di quelle prove
alle quali, in ipotesi, aveva rinunciato, conf‌idando proprio nella mancata
contestazione ad opera dell’avversario.
(41) Le Sez. Un. della Corte di cassazione - con la sentenza 21 marzo
2001, n. 122 (in Dir. e giustizia, 2001, n. 14, 48 e segg.) – hanno, peraltro,
stabilito che nelle controversie soggette al rito del lavoro, il giudice di
appello che rilevi la nullità dell’introduzione del giudizio di prima istan-
za, determinata dall’inosservanza del termine dilatorio di comparizione
stabilito dall’art. 415, comma 5°, c.p.c., non può dichiarare la nullità e
rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipo-
tesi né la nullità della notif‌icazione dell’atto introduttivo, né alcuna degli
altri casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354, comma 1°, c.p.c.),
ma deve trattenere la causa, e previa ammissione dell’appellante ad eser-
citare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo
grado se il processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito.
(42) Per i primi commenti a questi due nuovi importanti articoli v.,
ad es., A. PANZAROLA, Le prime applicazioni del c.d. f‌iltro in appello,
in Riv. dir. proc. 2013, 715-723; R. POLI, Il nuovo giudizio di appello,
ivi, 2013, 120-144; A. DIDONE, Appunti sull’inammissibilità dell’appello
ex art. 348 bis c.p.c., in Corr. giur. 2013, 1136-1149; P. DI FRANCESCO,
Primi orientamenti sul “f‌iltro” dell’inammissibilità in appello, in Corr.
giur. 2013, 979-984.
(43) In dottrina si è, peraltro, sostenuto che l’estensione del vaglio
preliminare in questione all’appello in materia di lavoro (e controversie
“quoad processum” assimilate) appare, da un punto di vista sistematico,
discutibile, non emergendo particolari vantaggi sul piano della tempisti-
ca processuale dall’assoggettare ad un controllo preliminare di fonda-
tezza il gravame nelle cause di lavoro, poiché la decisione, in entrambi i
casi, dovrebbe intervenire nell’ambito di quell’unica udienza prevista per
lo svolgimento e l’esaurimento del giudizio di appello laburistico.
(44) Per le prime applicazioni di questa norma v., ad es., App. Roma,
ord. 30 gennaio 2013; App. Roma, ord. 23 gennaio 2013 e App. Roma, ord.
11 gennaio 2013 (edite in Riv. dir. proc. 2013, 711-715, con nota cit. di A.
PANZAROLA), alla stregua delle quali la mancanza di ragionevole pro-
babilità di accoglimento dell’appello, legittimante la sua declaratoria di
inammissibilità, si risolve, in sostanza, nella verif‌ica della sua manifesta
infondatezza. Nella dottrina prevale la tesi che il presupposto previsto
dal comma 1° dell’art. 348 bis c.p.c. debba consistere nella sussistenza di
un “fumus boni iuris” rafforzato dalla valutazione della probabilità di ac-
coglimento di uno o più motivi del gravame. Per un panorama scientif‌ico
sull’argomento v. R. POLI, op. cit., spec. 132-136.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 29 OTTOBRE 2015, N. 43634
(UD. 24 APRILE 2015)
PRES. VESSICHELLI – EST. MICHELI – P.M. ANGELILLIS (PARZ. DIFF.) – RIC. M.
Truffa y Tentativo y Presentazione di falsa docu-
mentazione per non corrispondere l’importo liqui-
dato y Conf‌igurabilità y Sussistenza y Fattispecie
relativa alla condotta posta in essere da un mare-
sciallo dei Carabinieri al f‌ine di sottrarsi al paga-
mento di una sanzione amministrativa in seguito
ad infrazione al Codice della strada.
. Integra il delitto di tentata truffa la condotta di un
maresciallo dei Carabinieri che - per conseguire l’in-
giusto prof‌itto corrispondente alla mancata esazione
della sanzione amministrativa per una contravvenzione
stradale, conseguente ad un’infrazione da lui commes-
sa - rappresenti falsamente di esser stato autorizzato,
nell’occasione, all’uso della vettura per il compimento
di attività istituzionali. (nuovo c.s., art. 177; c.p., art.
56; c.p., art. 640) (1)
(1) Qualche utile riferimento si rinviene in Cass. pen, sez. II, 9 marzo
2015, n. 9951, in questa Rivista 2015, 743 e Cass. pen., sez. sez. II, 23
aprile 2009, n. 17472, ivi 2010, 147.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. In data 8 ottobre 2013, la Corte di appello di Palermo
riformava parzialmente la sentenza emessa il 17 maggio
2011 dal G.u.p. del Tribunale della stessa città nei con-
fronti di S. M., Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, che
in primo grado era stato ritenuto responsabile di falso ma-
teriale, falso ideologico e tentata truffa aggravata. I fatti
si riferivano a condotte che il sottuff‌iciale, secondo l’as-
sunto accusatorio, aveva posto in essere al f‌ine di sottrar-
si al pagamento di una sanzione amministrativa disposta
a seguito di una infrazione al codice della strada, da lui
commessa il 19 gennaio 2008 alla guida di un’autovettura
intestata alla propria f‌idanzata; volendo rappresentare di
essere stato, in quella occasione, impegnato in attività isti-
tuzionali per le quali doveva intendersi autorizzato all’uso
del veicolo privato de quo, il M. aveva:
- formato una nota recante la f‌irma apparente di un supe-
riore (il Ten. B. B.), datata 4 aprile 2008, con la quale si dava
atto dell’utilizzo per f‌ini di servizio dell’auto suddetta, nel
giorno della riscontrata violazione, da parte dell’imputato;

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