Corte di cassazione penale sez. II, 4 luglio 2014, n. 29017 (ud. 20 giugno 2014)

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giur
Arch. nuova proc. pen. 5/2014
LEGITTIMITÀ
corte di cassazione penaLe
sez. ii, 4 LugLio 2014, n. 29017
(ud. 20 giugno 2014)
pres. casucci – est. carreLLi – p.m. baLdi (diff.) – ric. boschi
Appello penale y Cognizione del giudice di appello
y Reformatio in peius y Riferimenti alla pena com-
plessiva y Determinazione y Violazione del divieto
di reformatio in peius.
. Non costituisce violazione del divieto di “reformatio
in pejus” previsto dall’art. 597, comma 3, c.p.p., il fatto
che il giudice d’appello, su impugnazione del solo im-
putato, pur accogliendo le richieste di riconoscimento
di determinate attenuanti e di prevalenza delle stes-
se sulle aggravanti, abbia tuttavia confermato, nella
ritenuta sussistenza del vincolo della continuazione
fra tutti i reati di cui l’imputato era stato dichiarato
responsabile, la pena complessiva irrogata dal giudice
di primo grado, previa rideterminazione della pena
base per il reato ritenuto più grave in misura superiore
a quella che quel giudice aveva erroneamente f‌issato
restando al di sotto del minimo edittale. (Mass. Redaz.)
(c.p.p., art. 597) (1)
(1) Il principio espresso dalla sentenza in epigrafe si conforma a
quanto già affermato da Cass. pen., sez. un., 16 aprile 2014, n. 16208,
in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Nello stesso senso si veda
Cass. pen., sez. V, 5 aprile 2005, n. 12806, in questa Rivista 2006, 543.
Sulla questione, tuttavia, cfr. Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2012, n.
14991, ivi 2013, 469 e Cass. pen., sez. un, 10 novembre 2005, n. 40910,
ivi 2006, 543 secondo le quali il divieto della reformatio in peius della
sentenza impugnata dall’imputato, riguarda non solo l’entità com-
plessiva della pena, ma anche tutti gli elementi autonomi alla sua
determinazione, per cui il giudice d’appello non può f‌issare una pena
superiore rispetto a quella f‌issata dal primo giudice.
svoLgimento deL processo
1. Con sentenza in data 6 novembre 2013, la Corte d’appel-
lo di Roma, in riforma della sentenza del giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Roma del 5 aprile 2013, dichia-
rate prevalenti le circostanze attenuanti generiche e quella
del risarcimento del danno sulle contestate aggravanti,
riconosciuta la continuazione fra i reati contestati e la di-
minuente per il giudizio abbreviato, riconosciuta altresì la
continuazione con i reati di cui alla sentenza del tribunale di
Roma del 21 febbraio 2012, condannava Boschi Federico alla
pena complessiva di anni due e mesi tre di reclusione ed €
1.200,00 di multa per i reati di cui agli artt. a) 628 comma 3
n. 1 c.p. b) 61 n. 1 c.p. e 4 legge n. 110 del 1975.
1.1. La Corte di Appello di Roma respingeva le censure
mosse con l’atto d’appello proposto dall’imputato ed in
particolare quelle in punto di calcolo della pena nei limiti
indicati nella motivazione ed in punto di concessione del
benef‌icio della sospensione condizionale della pena.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per
mezzo dei suoi difensori di f‌iducia, sollevando i seguenti
motivi di gravame:
2.1. violazione di legge nonché manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b), c) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 62
bis e 62 n. 6 c.p., per la mancata riduzione della pena f‌inale
per i reati contestati nel presente procedimento, determi-
nata nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione ed €
800,00 di multa, su cui è stato successivamente determina-
to l’aumento ex art. 81 c.p. per i reati giudicati con sentenza
del tribunale di Roma del 21 febbraio 2012. Si duole, in par-
ticolare, che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto
le attenuanti generiche e l’attenuante del risarcimento
del danno con giudizio di prevalenza sulle contestate ag-
gravanti, non ha operato alcuna riduzione di pena per il
reato base, pervenendo, dopo avere operato le diminuzioni
per le attenuanti e l’aumento per la continuazione interna,
alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed € 800,00
di multa, pena esattamente corrispondente a quella inf‌litta
dal giudice di primo grado, il tutto in violazione dell’art.
597 comma 4 c.p.p. Evidenzia ancora sul punto che, appli-
cate le riduzioni di pena per le attenuanti, la pena avrebbe
potuto rientrare nei limiti della sospensione condizionale
specif‌icamente richiesta nell’atto di appello.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) c.p.p., in relazione all’art.
597 comma 3 c.p.p., per la violazione del divieto della refor-
matio in peius in ordine alla determinazione della pena per
il reato di rapina nonché per la manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla determinazione della pena base
per il reato di rapina. Evidenzia al riguardo che la Corte ter-
ritoriale ha determinato la pena base per il reato di rapina
in anni tre e mesi due di reclusione ed € 1.500,00 di multa,
mentre il GUP, per il medesimo reato, aveva f‌issato la pena
base in anni due e mesi otto di reclusione ed € 1.200,00 di
multa, pena che, sia pure non conforme a legge, non doveva
essere aumentata, in quanto la sentenza era stata impugna-
ta dal solo imputato, vigendo il principio del divieto della
reformatio in peius di cui all’art. 597 comma 3 c.p.p.
motivi deLLa decisione
3. Il ricorso deve essere rigettato per essere infondati
entrambi i motivi proposti.
Segnatamente con il primo motivo si assume che la
Corte d’Appello avrebbe errato, in quanto, pur avendo
riconosciuto, in accoglimento della relativa doglianza pro-
posta con l’atto di appello, la prevalenza delle attenuanti
generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. sulle
contestate aggravanti, non aveva apportato alcuna ridu-
zione di pena per il reato base in violazione del principio
del divieto della reformatio in peius. Con il secondo motivo
poi si eccepisce pure la violazione del medesimo principio
per avere la Corte territoriale rideterminato la pena base
per il reato di rapina in anni tre e mesi due di reclusione
ed € 1.500,00 di multa, che risulta essere superiore a quel-
la f‌issata dal primo giudice, sia pure in misura illegale, in
anni due e mesi otto di reclusione ed € 1.200,00 di multa.
Ora la Corte territoriale, in risposta al primo motivo di
gravame proposto dall’imputato che atteneva proprio alla
erronea applicazione da parte del giudice di prime cure
della disciplina del reato continuata prevista nell’art. 81
cpv. c.p., ha, correttamente, rilevato che il calcolo della

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