Corte di cassazione penale sez. IV, 4 dicembre 2013, n. 48573 (c.c. 7 novembre 2013)

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giur
2/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad.
LEGITTIMITÀ
sicuramente essere letta nel senso che il legislatore ha
indicato una opzione di maggiore gradimento per il lavoro
di pubblica utilità da svolgere nel campo “della sicurezza e
dell’educazione stradale”, a carattere però non esclusivo,
lasciando cioè aperta la strada a inserimenti lavorativi in
altri ambiti di pubblica utilità.
Non può essere sottovalutato che non risulta affatto
che il Vaccari abbia scelto il settore in cui svolgere il lavo-
ro sostitutivo, essendo stato avviato alla amministrazione
provinciale, dove venne collocato nel settore che necessi-
tava maggiormente di apporto, di talché non può essere a
lui imputato di aver svolto il lavoro sostitutivo in un cam-
po diverso da quello “preferito” dal legislatore, in quanto
ritenuto maggiormente f‌inalizzato alla rieducazione del
condannato. Come sottolineato dalla stessa Corte Co-
stituzionale nella sentenza 43/2013, la norma in discorso
rinvia per la disciplina della misura, all’art. 54 del D.L.vo
28 agosto 2000, n. 274, con conseguente applicabilità del
decreto ministeriale 26 marzo 2001, adottato dal Ministro
della giustizia che prevede che sia il giudice ad individua-
re, con la sentenza di condanna, il tipo di attività, nonché
l’amministrazione, l’ente o l’organizzazione presso il quale
questa deve essere svolta, avvalendosi dell’elenco degli
enti convenzionati (art. 3); il medesimo decreto mini-
steriale stabilisce altresì, che le apposite convenzioni, sti-
pulate dagli enti interessati con il Ministro della giustizia
o, per sua delega, con il presidente del tribunale, debbano
indicare “specif‌icamente le attività in cui può consistere
il lavoro di pubblica utilità”, oltre ai soggetti incaricati
di coordinare la prestazione lavorativa del condannato e
di impartire a quest’ultimo le relative istruzioni (art. 2).
Sarebbe quindi del tutto irragionevole fare ricadere sul
condannato le conseguenze di opzioni a lui non riportabili,
così come altrettanto irragionevole sarebbe ritenere che il
lavoro di pubblica utilità comunque svolto con diligenza,
non possa fare godere all’interessato i vantaggi ricollegati
al positivo svolgimento di tale incombente, sol perché fat-
to svolgere al di fuori del campo indicato in via prioritario
nella previsione normativa.
Tale modus opinandi si prof‌ila assolutamente vincolan-
te, se solo si consideri la portata e la f‌inalità del lavoro so-
stitutivo, così come la Corte Costituzionale ha avuto cura
di tratteggiarlo, come misura “paradentiva”, costituente un
segno ed un’apertura f‌iduciaria verso i condannati (sent.
157/2010), esaltandone le f‌inalità rieducative per il recupero
sociale del soggetto, perseguito attraverso la scelta di lavoro
a titolo gratuito dell’interessato a favore della collettività of-
fesa, quale evidente segno di riconciliazione sociale. È stato
scritto nella recente sentenza n. 179/2013 sempre della
Corte Costituzionale, a proposito del lavoro di pubblica uti-
lità, che “la f‌inalità rieducativa della pena, stabilita dall’art.
27, terzo comma, Cost., deve rif‌lettersi in modo adeguato
su tutta la legislazione penitenziaria. Quest’ultima deve
prevedere modalità e percorsi idonei a realizzare l’emenda
e la risocializzazione del condannato, secondo scelte del
legislatore, le quali, pur nella loro varietà tipologica e nella
loro modif‌icabilità nel tempo, devono convergere nella valo-
rizzazione di tutti gli sforzi compiuti dal singolo condannato
e dalle istituzioni per conseguire il f‌ine costituzionalmente
sancito della rieducazione (sentenza n. 79 del 2007). Tali
principi, benché riferiti alla legislazione penitenziaria,
ben si adattano anche a fattispecie come quelle in esame,
nelle quali le f‌inalità rieducative della pena e il recupero
sociale del soggetto sono particolarmente accentuati e sono
perseguiti mediante la volontaria prestazione di attività non
retribuita a favore della collettività”.
Attesa la “ratio” dell’istituto in esame non è logico con-
siderare tamquam non esset il lavoro svolto dal Vaccari,
sol perché compiuto in un campo diverso da quello a cui
avrebbe dovuto essere avviato, secondo il provvedimento
del giudice. Ad opinare in tale senso induce del resto la
f‌lessibilità di cui è permeato il testo della previsione nor-
mativa in discorso, che nell’ultima parte del comma 9 bis
dell’art. 186 C.d.S. conf‌igura le ipotesi di violazione degli
obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica
utilità, rimettendo al giudice la valutazione, tenendo conto
dei “motivi, dell’entità e delle circostanze della violazione”;
tale impostazione impone di bandire qualsivoglia tipo di
automatismo e quindi, a “fortiori”, preclude di sottovaluta-
re, f‌ino al punto da annullarne gli effetti, la portata di un
lavoro comunque prestato regolarmente, seppure non nel
campo che era stato indicato nella sentenza di cognizione.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata
con rinvio per nuovo esame al gip del Tribunale di Pia-
cenza, che dovrà uniformarsi al principio di diritto sopra
espresso. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. IV, 4 DICEMBRE 2013, N. 48573
(C.C. 7 NOVEMBRE 2013)
PRES. BRUSCO – EST. DELL’UTRI – P.M. RIELLO (CONF.) – RIC. PRANDINI
Guida in stato di ebbrezza y Rif‌iuto di sottoporsi
all’accertamento y Revoca della patente di guida y
Presupposti y Precedente condanna inf‌litta per rea-
to diverso y Applicabilità y Esclusione.
. La sanzione amministrativa accessoria della revoca del-
la patente di guida prevista dall’art. 186, comma 7, C.d.S.
(e, in forza del richiamo ivi contenuto, anche dall’art. 187,
comma 8, C.d.S.), a carico di chi, essendosi reso respon-
sabile del reato di rif‌iuto di sottoporsi all’accertamento
del tasso alcolemico, risulti essere stato già condannato,
per il medesimo reato, nei due anni precedenti, non può
trovare applicazione nel caso in cui la precedente con-
danna sia stata inf‌litta per un reato diverso, ancorchè
rientrante fra gli altri previsti dai citati articoli, quale, in
particolare, la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto
di sostanze stupefacenti. (Mass. Redaz.) (nuovo c.s. art.
186; nuovo c.s. art. 187) (1)
(1) Nello stesso senso della massima in commento si veda Cass.
pen., sez. IV, 22 marzo 2013, Sternieri, in questa Rivista 2013, 719
che evidenzia l’autonomia delle fattispecie contemplate dall’art. 186,
comma 2, c.s.. In argomento si veda Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio
2009, Carosiello, ivi 2010, 163.

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