Osservazioni sul tema della corrispondenza epistolare tra imputato detenuto e difensore

AutoreStefano Maffei
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@1. Le garanzie di libertà dei difensori nell'ordinamento processuale

In tema di tutela della corrispondenza tra imputato detenuto e difensore si innesta su un tessuto normativo più ampio, legato alla presenza nell'attuale sistema processuale penale di specifiche disposizioni a «garanzia della libertà» dei difensori 1.

Non vi è alcun dubbio, infatti, che l'avvocato, al pari di qualunque individuo, possa essere soggetto a quelle limitazioni che, in una prospettiva di carattere generale, risultano legittimate dall'esercizio del c.d. magistero penale, pur incidendo su diritti fondamentali di libertà (personale, domiciliare, di corrispondenza e comunicazione, di proprietà e possesso esclusivo di cose) del cittadino.

Si tratta di limitazioni riconducibili ad esigenze imprescindibili sia della fase investigativa che delle fasi processuali vere e proprie, e che si concretizzano nella possibilità di privare o limitare la libertà della persona per ragioni cautelari, di violarne il domicilio per eseguirvi ispezioni o perquisizioni, di sacrificarne la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni per ricercare elementi di prova, di togliere al titolare la disponibilità di cose pertinenti al reato.

Nella prospettiva di un delicato, e tuttora irrisolto, contemperamento degli interessi in questione, il codice di procedura penale ha previsto nella disposizione dell'art. 103 tutta una serie di cautele all'esercizio di tali poteri nei confronti dei difensori, riconoscendone pertanto l'eccezionalità e la delicatezza del ruolo 2.

Non è un caso che il legislatore abbia utilizzato in questa sede l'espressione garanzie di libertà del difensore, introducendo un termine - libertà, appunto - del tutto inusuale in un contesto di disposizioni a carattere processuale e palesando, in questo modo, la trasparente volontà di attribuire alla medesima il valore di un vero e proprio bene giuridico 3, collocato al centro di un articolato sistema di garanzie, con cui l'interprete si trova in costante contatto.

È necessario, ad ogni buon conto, chiarire fin d'ora il fondamento teorico di queste disposizioni.

Ciò non per un mero scrupolo teorico-sistematico ma, al contrario, per ragioni che si dimostreranno essere dotate di immediati riflessi applicativi.

Ben diverso, infatti, è l'approccio interpretativo a seconda che le norme in esame siano considerate quali specifiche prescrizioni a tutela di particolari privilegi corporativi della categoria degli avvocati, piuttosto che quali strumenti di attuazione di superiori e inviolabili diritti garantiti a livello costituzionale.

Se la dottrina ha già da tempo preso posizione in questo secondo senso 4, la Corte di cassazione, dal canto suo, nell'affrontare un complesso problema ermeneutico legato all'applicazione dell'art. 103 c.p.p. 5, ha espressamente chiarito come i relativi contenuti «non si configurino quali semplici privilegi di categoria... poiché la tutela apprestata non è finalizzata alla dignità professionale degli avvocati... ma al libero e ampio dispiegamento dell'attività difensiva e del segreto professionale che trovano il diretto supporto nell'art. 24 Cost., che sancisce l'inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona» 6.

Le scelte normative del legislatore si sostanziano nella predisposizione di un'ampia gamma di limitazioni all'uso dei poteri investigativi e di acquisizione della prova, che si pongono astrattamente in antitesi con le esigenze di accertamento processuale.

Se è vero che in una prospettiva inquisitoria ciò può apparire riduttivo rispetto alle incombenti esigenze della verità materiale o della giustizia reale assoluta 7, in una cornice d'impronta accusatoria l'approccio ermeneutico deve necessariamente essere differente.

In generale, il tema della predisposizione di una sfera garantistica a protezione dell'attività difensiva dell'avvocato si colloca nella prospettiva di un bilanciamento tra l'interesse all'accertamento dei fatti oggetto dell'imputazione e il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., diritto che nel caso specifico sembra risultare prevalente.

È possibile trarre da queste prime riflessioni una conclusione importante, che costituisce anche la premessa metodologica che l'interprete deve seguire nell'analisi della normativa in esame.

Se è vero che le prescrizioni dell'art. 103 sono poste a tutela del diritto di difesa, e in questo contesto tale diritto è valutato dal legislatore, con valutazione ex ante e in astratto, come prevalente rispetto alle pur essenziali esigenze di accertamento processuale dei fatti, ogni regola che consenta di derogare ai divieti di acquisizione probatoria stabiliti a garanzia delle libertà del difensore va riguardata indiscutibilmente come eccezionale, con il conseguente divieto assoluto di interpretazioni che si discostino dal tenore dell'espressione normativa 8.

I diritti che, mediante il dettato dell'art. 103 c.p.p., ricevono tutela con riferimento al difensore ed alla sua attività di titolare della funzione difensiva (insieme, in taluni casi, ai propri consulenti tecnici, sostituti e ausiliari), sono raggruppabili nelle seguenti aree:

1) la libertà e inviolabilità del domicilio professionale, attraverso la previsione di limiti alle ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori, con presupposti e modalità esecutive nettamente differenti da quelli ordinari 9;

2) la libera disponibilità e la garanzia della connessa segretezza dei materiali funzionali allo svolgimento della difesa tecnica, in particolare attraverso la previsione del divieto di sequestro «di carte e documenti relativi all'oggetto della difesa» 10;

3) la libertà e segretezza della corrispondenza e, più in generale, delle comunicazioni, attraverso le previsioni di di-Page 4 vieti di controllo e sequestro della prima, quando intercorre tra difensore e imputato, e di intercettazione delle seconde 11.

In questa prospettiva, pertanto, il sequestro e la sottoposizione a qualsiasi forma di controllo delle comunicazioni epistolari tra detenuto e difensore, in violazione del dettato dell'art. 103 c.p.p., non possono che essere riguardate come abusive intrusioni in uno spazio giuridico riservato al libero esplicarsi dell'attività difensiva, corollario imprescindibile di un processo degno dell'attuale sensibilità e civiltà giuridica.

Nonostante il sostanziale accordo su tale assunto di principio vedremo oltre 12 quali e quante difficoltà si presentino all'interprete di fronte alla necessità di determinare, proprio in relazione alle comunicazioni epistolari, gli esatti confini delle garanzie predisposte dall'articolato codicistico.

@2. Il quadro delle disposizioni internazionali

Non stupisce come anche a livello internazionale il tema della riservatezza della corrispondenza tra detenuto e difensore trovi ampio riconoscimento, nella cornice di disposizioni, più o meno dettagliate e vincolanti, dettate a sostegno dello sviluppo di processi «giusti», o quanto meno, di standard minimi di tutela nei confronti dei soggetti sottoposti a provvedimenti privativi della libertà personale.

Il primo riferimento è, ovviamente, al testo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo 13 e, all'interpretazione che, sulla base della stessa, si è sviluppata grazie alla giurisprudenza evolutiva della Corte europea dei diritti dell'uomo 14

Il supporto normativo va ricercato nella norma dell'art. 8 comma 2, cui si fa, paradossalmente, riferimento solitamente per giustificare (non certo per escludere) l'imposizione di limiti alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza dei detenuti 15.

A ben guardare, l'articolo in esame non prende esplicitamente posizione sul tema della tutela della corrispondenza del detenuto con il proprio difensore, e la ragione di ciò va ricercata nel fatto che la norma è finalizzata a garantire il diritto alla riservatezza dei singoli, indipendentemente dalla loro posizione processuale.

Proprio grazie all'interpretazione della Corte europea dei diritti dell'uomo, tuttavia, tale aspetto della questione ha acquisito concreta rilevanza, in virtù di un coordinamento tra l'art. 8 comma 2 e l'art. 6 comma 3 lett. b) nella misura in cui si attribuisce all'imputato il «diritto di disporre delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa».

Nel novero di queste va compresa, di certo, anche la possibilità, specialmente per l'imputato detenuto, di avvalersi di comunicazioni riservate con il proprio avvocato 16.

In alcune interessanti pronunce la Corte ha avuto modo di fissare alcune interessanti linee-guida sul tema in esame.

Punto di partenza è il riconoscimento di come anche i detenuti abbiano diritto al rispetto della loro corrispondenza, il che, se non esclude che un certo controllo possa essere esercitato, atteso il loro status peculiare, elimina invece la possibilità che la restrizione possa essere la conseguenza automatica dello status di detenzione.

In altre parole, il diritto alla corrispondenza si colloca tra quei diritti il cui esercizio non va considerato incompatibile di per sè con la limitazione della libertà personale, ma piuttosto come una restrizione ulteriore, legata ad autonome e specifiche esigenze, ed applicabile solo sulla base di un provvedimento motivato da parte dell'autorità giudiziaria 17.

La Corte ritiene che sia compito di ogni Stato stabilire in quali situazioni concrete sia ammissibile un controllo della corrispondenza del soggetto detenuto, tenendo presente, in ogni caso, come le eccezioni alla garanzia della libertà di corrispondenza vadano interpretate restrittivamente, «poiché il potere di limitare la libertà dei cittadini è tollerabile in una società democratica solo nella misura strettamente necessaria» 18.

Proprio sulla valutazione di tale necessità, la Corte si è spinta oltre, fino a stabilire come tale concetto, pur non indicando un livello di assoluta indispensabilità, vada comunque ricollegato all'esistenza di un «bisogno sociale imperioso» 19, pressante, con connotati...

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