I contratti di locazione regolamentati

AutoreProspero Pizzolla
Pagine13-21

    Relazione introduttiva svolta al 19° Convegno Coordinamento legali Confedilizia tenutosi a Piacenza il 12 settembre 2009.

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@1. Fonti normative e loro gerarchie

La relazione introduttiva è, come sempre, deputata a fornire un quadro di insieme del tema di base prescelto, che è stato quello dei contratti di locazione regolamentati.

È opportuno considerare, preliminarmente in forma sintetica, come, vigente il codice civile del 1865, nel concetto di locazione venissero compresi molteplici e diversi rapporti contrattuali.

Accanto a quella più articolata e prevalente della locazione di cose, restavano distinte la «locazione di opere» (in cui un soggetto poneva a disposizione e a favore di altri la propria attività lavorativa in cambio di una retribuzione) e la «locazione di opera» (nella quale dietro il pagamento di un corrispettivo si affidava il compito dell’esecuzione di un’opera).

Si era dunque così evidenziata la difficoltà di precisare regole generali per rapporti di tipo diverso; cosicché proprio per tale esigenza, il legislatore del 1942, pur conservando al contratto di locazione la tradizionale struttura, circoscrisse, però, la nozione soltanto a quel rapporto che aveva come contenuto il godimento temporaneo di una cosa. Riservò e regolò invece con apposita disciplina le altre figure nell’ambito della previsione di contratti tipici come il trasporto, l’appalto ed i contratti agrari associativi.

Ma anche la nuova sistemazione dell’istituto non aveva consentito di raggiungere un inquadramento organico della materia; la disciplina del codice, infatti, era rimasta superata, limitatamente alle locazioni di immobili urbani, dagli interventi legislativi di natura eccezionale, diretti ad assicurare al conduttore il godimento dell’immobile locato oltre il termine previsto nel contratto, ovvero ad imporre il blocco dei canoni; disposizioni tutte dettate da necessità socio-politiche, le quali, però, reiterate in modo uniforme nel tempo, avevano finito col produrre una normativa speciale, in deroga a quella contenuta nel codice civile.

Si era dunque instaurato il cosiddetto “regime vincolistico”, che aveva finito con l’annullare, in tale materia, l’autonomia privata (era suscettibile di disapplicazione solo nelle ipotesi tassative di cessazione o decadenza) ed era quindi così divenuto il segno abituale e costante del sistema.

Siffatta situazione perdurò nonostante i molteplici interventi della Corte costituzionale, rivolti al Parlamento ed al Governo perché fosse emanata una disciplina organica di tutta la materia delle locazioni di immobili urbani.

L’epoca della legislazione vincolistica venne chiusa pertanto proprio a seguito degli interventi della Consulta, che confermò la costituzionalità del regime vincolistico solo perché si connotava come un intervento pubblico diretto a fronteggiare crisi congiunturali del settore dell’edilizia abitativa, e precisò che, se tale regime avesse assunto la caratteristica di disciplina ordinaria, il giudizio di costituzionalità non sarebbe potuto essere che di segno diverso. E tale monito della Corte costituzionale si configurò in seguito, con la sentenza del 18 novembre 1976, n. 225, in un “vero e proprio ultimatum rivolto al Parlamento ed al Governo”, come ebbe modo di rilevare il Prof. Andrea Protopisani.

L’invito fu dunque recepito dal legislatore con la promulgazione della legge del 27 luglio 1978, n. 392, denominata “legge dell’equo canone”, con la quale si aboliva il regime vincolistico, ma si introduceva un sistema di “canoni controllati” in una alla stabilità del rapporto, a tutela sia dell’esigenza primaria dell’abitazione che delle attività produttive ed economiche.

E, per rendere meno traumatico il passaggio dal vecchio al nuovo regime, la legge prevedeva una regolamentazione transitoria dei contratti già in corso, come pure prevedeva l’adozione delle norme sul processo del lavoro per la soluzione delle controversie, per fare ottenere al proprietario la restituzione dell’immobile locato, in tempi più contenuti e per le sole ipotesi tassativamente previste.

La nuova legge organica delle locazioni urbane aveva però riproposto il problema di fondo fra l’autonomia privata ed il processo di integrazione da parte del legislatore mediante l’inserzione automatica di clausole. Era quindi rimasto estremamente difficile il coordinamento delle norme codicistiche con quelle contenute nella legislazione speciale, essendo stato sostanzialmente stravolto l’assetto delle prime.

Con la legge n. 392/78 si era voluto invero realizzare un sistema fondato su valori che non erano più quelli del codice, sebbene quelli espressi dalla Costituzione, all’art. 41, 2° comma - secondo cui la iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale -, all’art. 42 - che demanda al legislatore non solo la determinazione dei modi di acquisto ma anche di quelli di godimento e dei limiti della proprietà privata - e all’art. 47 che attribuisce rilevanza sociale e costituzionale al bene della casa.

L’uso dell’immobile locato finiva dunque coll’essere non più un fatto di esclusivo interesse dei contraenti, ma era predeterminato dal legislatore con la previsione di una tipologia di usi, cui corrispondeva una tipologia di disciplina, tant’è che, all’art. 80, la legge n. 392/78 sanciva che, nell’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso, questo costituisse grave inadempimento, ma che, ove vi fosse stata inerzia del locatore nel farlo valere, e quindi nel richiedere la risoluzione del contratto, si sarebbe prodotta l’ap-Page 14plicazione al rapporto del regime giuridico corrispondente all’uso specifico.

In definitiva, in considerazione della natura del bene locato e della destinazione d’uso, la coesistenza della disciplina codicistica e di quella speciale faceva distinguere varie figure, ovvero: la locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, la locazione di immobili ad uso commerciale, artigianale, industriale, alberghiero o di studio professionale,ed in ultimo la locazione di immobili adibiti ad attività particolari specificate dall’art. 42 della legge n. 392/78.

Tutti gli altri rapporti locativi rimasti esclusi da tali categorie continuavano a trovare la loro regolamentazione nelle norme del codice civile.

Siffatto sistema sortì poi una parziale nuova regolamentazione per le sole locazioni abitative in base alla legge 9 dicembre 1998, n. 431, peraltro già anticipata da altro provvedimento di legge, quello del 9 agosto 1992, n. 359, che aveva gia previsto la possibilità di deroga dalle norme imperative della legge sull’equo canone, con i cosiddetti “patti in deroga”, che avrebbero trovato vigenza fino alla promulgazione della revisione della disciplina stessa.

La legge n. 431/98 ha avuto come tratto distintivo l’abrogazione del sistema dell’equo canone e, pur non abbandonando del tutto il metodo della determinazione imperativa dei contenuti contrattuali, ha introdotto un regime ibrido nel quale, accanto ai contratti ordinari lasciati quasi del tutto alla libera determinazione dei contraenti, convivono contratti alternativi, connotati da una più marcata eterodeterminazione dei contenuti, affidata, seppure in parte, alle indicazioni provenienti dalle organizzazioni di categoria.

La nuova legge regolatrice dei rapporti di locazione ad uso abitativo ha ampliato l’ambito dei contratti sottratti alla disciplina speciale e per i quali, come letteralmente enunciato all’art. 1 della legge stessa, trova applicazione la disciplina di cui agli artt. 1571 e ss. del codice civile.

Per tali rapporti si è avuta quindi una piena restaurazione della autonomia privata, poiché, mentre in base alla legge n. 392/78 restavano escluse dalla regolamentazione imperativa soltanto gli immobili catastalmente classificati in A/8 e A/9 (abitazioni in ville e palazzi di eminente pregio artistico e storico), con la nuova legge sono rimaste regolate dalla disciplina codicistica le locazioni abitative aventi ad oggetto immobili catastalmente classificati in A/1, quelle inerenti immobili vincolati ai sensi della legge 1089/39, in una a quelle concernenti immobili classificati in A/8 e A/9.

A queste categorie di rapporti sottratti alla nuova disciplina speciale se ne aggiunge un’altra, cioè quella concernente i rapporti locativi individuati, con terminologia alquanto generica, come “locazioni per finalità turistiche” e che precedentemente erano state incluse nella più ampia categoria delle “locazioni transitorie”.

La nuova legge ha introdotto ancora il requisito della forma scritta ad substantiam per i contratti di locazione ad uso abitativo, stravolgendo in tal modo la previsione del codice che lega la prescrizione di forma alla durata del rapporto, e cioè alle locazioni ultranovennali per le quali la forma scritta è collegata alla norma di cui all’art. 1350 n. 8, che le qualifica come atto di straordinaria amministrazione.

Il mancato rispetto della forma scritta determina l’invalidità del contratto ma non elimina la tutela del rapporto di fatto, che è espressamente disciplinato dall’art. 13, comma 5 della legge n. 431/98.

Il nucleo della nuova disciplina si individua nell’art. 2, nel quale sono fissati i possibili contenuti dei contratti, dove il legislatore ha seguito la strada - nata anche dalla mediazione intervenuta tra le varie rappresentanze di categoria - di porre a disposizione dei privati due diverse categorie contrattuali. La prima concerne i contratti ordinari, affidati quasi per intero nuovamente alla autonomia delle parti, ad eccezione però della determinazione della durata, fissata imperativamente in quella minima di un quadriennio, con rinnovo alla prima scadenza per un uguale periodo di tempo (sempre che non vi fosse disdetta del conduttore, ovvero diniego di rinnovazione da parte del locatore, ricorrendo una delle ipotesi elencate dall’art. 3 della previsione) e con la previsione alla seconda scadenza di un complesso meccanismo che le parti devono attivare per...

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