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AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 4 febbraio 2005, n. 4132 (c.c. 7 ottobre 2004). Pres. Romano - Est. De Roberto - P.M. Cedrangolo (diff.) - Ric. Pollari.

Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità - Gravi indizi di colpevolezza - Dichiarazioni di collaboratori di giustizia - Riscontri - Carattere individualizzante - NecessitàEsclusione.

In tema di misure cautelari e con specifico riguardo al disposto di cui all'art. 273, comma 1 bis, c.p.p., deve ritenersi che i riscontri obiettivi alle dichiarazioni accusatorie, pur indispensabili, non devono tuttavia necessariamente raggiungere quel livello di individualizzazione che sarebbe occorrente per la formazione della prova nel giudizio di merito, essendo, invece, sufficiente una ricostruzione logica degli stessi che consenta di valutare appieno l'attendibilità del dichiarante e di offrire un quadro storico della vicenda narrata del tutto rispondente al vero ed in cui la posizione dell'accusato trovi collocazioni sintomatiche della sua colpevolezza. Può quindi affermarsi che anche la valutazione complessiva di plurime chiamate in correità, munite del comune attributo della «vocazione individualizzante», rispetta il principio di «individualizzazione» del riscontro. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 273; c.p.p., art. 192) (1).

    (1) La questione permane controversa. Conforme al principio espresso dalla massima de qua è Cass. pen., sez. I, 11 luglio 2003, Esposito, in questa Rivista 2004, 94, con nota di precedenti giurisprudenziali, cui si rinvia. Sostengono, al contrario, la necessità del carattere individualizzante dei riscontri alle dichiarazioni accusatorie Cass. pen., sez. I, 24 aprile 2002, Schiavone, ivi 2003, 160; Cass. pen., sez. I, 6 dicembre 2001, Caliò, ivi 2002, 174. Si segnala, altresì, l'orientamento che ritiene sufficiente la presenza di riscontri solo parzialmente individualizzanti, di cui sono espressione Cass. pen., sez. fer., 26 settembre 2002, Musitano, ivi 2002, 695 e Cass. pen., sez. I, 5 dicembre 2001, Calabretta, ibidem, 478.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Con ordinanza 8 marzo 2004 il Tribunale di Palermo, in sede di riesame, confermava il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale che aveva adottato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Giovanni Pollari quale persona gravemente indagata del delitto di sequestro di persona aggravato in danno di Giuseppe Di Matteo.

Il giudice del riesame disattendeva, preliminarmente, due censure di ordine processuale avanzate dal Pollari entrambe aventi ad oggetto la mancata trasmissione di atti; più precisamente, di una serie di dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Salemi e del verbale di trascrizione integrale del riconoscimento fotografico negativo del Pollari da parte del collaborante Ciro Vara.

Osservava, sul punto, il giudice del riesame che le dichiarazioni del Salemi non sono state trasmesse al Giudice per le indagini preliminari a fondamento della domanda cautelare; oltre tutto, trattandosi di elementi preesistenti, non potrebbe trovare applicazione il disposto dell'art. 309, comma 5, ultima parte c.p.p. che riguarda «gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini». In più, la difesa non avrebbe fornito alcun elemento in grado di far ritenere che sussistessero - oltre alle dichiarazioni riprese dalla sentenza allegata - elementi favorevoli all'indagato, essendosi limitata all'elencazione «delle date dei relativi verbali». Senza che, peraltro, sia consentito al giudice del riesame sindacare le scelte del pubblico ministero di trasmettere gli atti sia al Giudice per le indagini preliminari sia, a maggiore ragione, al giudice dell'impugnazione.

La mancata trasmissione al giudice del riesame del verbale di trascrizione integrale del riconoscimento fotografico negativo del Pollari ad opera del Vara, viene ritenuta assolutamente irrilevante dal Tribunale, «emergendo anche dalla forma riassuntiva il contenuto dell'atto». Senza contare che nessuna prova dell'esistenza di elementi favorevoli all'indagato proverrebbe dalla trascrizione integrale. Il tutto in un quadro che impone alla difesa l'onere di comprovare l'esistenza di elementi favorevoli all'indagato.

L'ordinanza, dopo aver delineato le linee ermeneutiche della giurisprudenza di legittimità in tema di chiamata di correo, in forza delle novazioni normative scaturenti dal comma 1 bis dell'art. 273 c.p.p., mostra di prediligere gli approdi interpretativi contrassegnati dall'assegnazione di una valenza «debole» da attribuire alla «novella».

Nel «merito», il giudice del riesame precisa che il procedimento instaurato (anche) a carico del Pollari non è altro che il prosieguo delle indagini volto ad accertare le responsabilità del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo.

Era, infatti, risultato, dal processo conclusosi davanti alla Corte di assise di Palermo con sentenza 10 febbraio 1999, che una parte della prigionia del Di Matteo venne trascorsa nella provincia di Agrigento.

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Peraltro, il contributo dato dal Pollari al fatto criminoso emergeva dalle dichiarazioni di Ciro Vara e, successivamente, di Giovanni Brusca.

Più in particolare, il Vara, capo della famiglia di Vallelunga Pratamento, avrebbe fatto luce sulla fase agrigentina del sequestro, in ordine alla quale aveva ammesso le sue responsabilità. Aveva così coinvolto il Pollari nella vicenda concernente il trasferimento dell'ostaggio, in quanto capo del mandamento di Cianciana, con minuta descrizione dell'arrivo dei sequestratori. Aveva precisato che, incontratosi con Totò Longo, aveva da costui appreso «che il Pollari aveva provveduto al piccolo rapito per poco tempo, giacché presto restituito al medesimo Longo». Le dichiarazioni del Vara sarebbero riscontrate da quelle di Giovanni Brusca che ha, poi, riconosciuto il Vara in fotografia, definendolo come una delle persone cui consegnò materialmente il Di Matteo.

Un ulteriore, «importantissimo riscontro» viene ravvisato dall'ordinanza denunciata nelle dichiarazioni di Pasquale Salemi, il quale ha riferito di aver saputo che il Pollari era uno dei sequestratori del Di Matteo e di averlo notato una volta in un ristorante, insieme alle altre persone incaricate di custodire l'ostaggio.

Ancora, Antonino Giuffré ha dichiarato di avere incontrato il Vara durante il periodo del sequestro e che, proprio costui gli rivelò le difficoltà della custodia del Di Matteo. Il fatto, poi, che il Vara non avesse riconosciuto in fotografia il Pollari, sarebbe perfettamente spiegabile, solo considerando che il collaborante ha dichiarato di aver visto l'indagato solo due volte.

Il Pollari, dunque, capo della famiglia di Cianciana (un ruolo acclarato dalla sentenza della Corte di assise di Agrigento del 9 giugno 1998) avrebbe sicuramente prestato il suo contributo al sequestro del Di Matteo, senza che possano rilevare le dichiarazioni di Alfonso Falzone, che aveva rivestito un ruolo del tutto marginale nella vicenda.

  1. - Ricorre per cassazione il Pollari, spiegando una numerosa serie di articolati motivi.

    Ripropone, anzi tutto, la censura incentrata sull'omessa trasmissione di atti al giudice del riesame, tanto più che gli atti in parola vengono menzionati nella richiesta del Pubblico ministero e nell'ordinanza impositiva della custodia in carcere.

    Denuncia, ancora, mancanza e manifesta, illogicità della motivazione, travisamento dei fatti in relazione alle propalazioni di Ciro Vara circa - fra l'altro - il ruolo di capo mandamento di Cianciana segnalando che il Vara non ha mai dichiarato che il Pollari trattenne l'ostaggio, né per molto né per poco tempo; né, tanto meno, che restituì il sequestrato al Longo.

    Lamenta, poi, mancanza e manifesta illogicità della motivazione relativamente al riconoscimento fotografico negativo del Pollari da parte del Vara.

    In più, violazione degli artt. 273, comma 1 bis, 292, comma 2, lettera c) bis c.p.p., sul punto riguardante le divergenze tra le dichiarazioni dei collaboratori Vara e Falzone, da una parte e Falzone e Salemi, dall'altra parte; mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa le divergenze tra le dichiarazioni del Vara e del Brusca, in più, omettendo, gli elementi favorevoli addotti dalla difesa; travisamento dei fatti, mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle dichiarazioni di Pasquale Salemi ed agli elementi favorevoli addotti dalla difesa; travisamento dei fatti, mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alle dichiarazioni di Alfonso Falzone ed agli elementi favorevoli addotti dalla difesa; travisamento dei fatti, mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla divergenza delle dichiarazioni di Ciro Vara rispetto a quelle di Alfonso Falzone.

    Il ricorso è infondato.

  2. - Quanto al primo motivo, devono condividersi le argomentazioni del Tribunale circa la natura di atti preesistenti delle dichiarazioni di cui si contesta la mancata trasmissione ed in ordine ai quali, dunque, non può trovare applicazione il disposto dell'art. 309, comma 5, ultima parte, c.p.p. che concerne «gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini». Senza contare la genericità degli elementi addotti sul punto dalla difesa. Peraltro risulta rigorosamente argomentata la vicenda concernente la mancata trasmissione al giudice del riesame del verbale di trascrizione integrale del riconoscimento fotografico negativo del Pollari ad opera del Vara sia perché assolutamente irrilevante, «emergendo anche dalla forma riassuntiva il contenuto dell'atto» sia perché nessuna prova dell'esistenza di elementi favorevoli all'indagato proverrebbe dalla trascrizione integrale.

  3. Poiché nel caso di specie l'impianto accusatorio risulta fondamentalmente incentrato sulla chiamata in correità del Vara, appare subito necessario rammentare che, ai fini di ogni verifica positiva dell'attendibilità della dichiarazione...

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